domenica 15 ottobre 2017

Nicchie d'esistenza nella Civiltà Moderna

Sopravvivere è indubbiamente difficile.
Peccato, però, che il concetto di sopravvivenza sia indissolubilmente legato a quello di natura selvaggia e mai necessariamente ed effettivamente associato a quello di cultura e civiltà e quindi di società antropologicamente, istituzionalmente e tecnologicamente affermata.
Peccato... altrimenti la comprensione delle difficoltà umane nell'era presente risulterebbe più immediata, utile e intuitiva.

Dovendo evidentemente far a meno di questa eventualità nell'interpretazione della realtà sarà opportuno intraprendere una diversa strada per tentare di far almeno breccia nell'immaginario collettivo dell'opinione pubblica.

A tal proposito si rivela interessante lo spunto che la situazione politica spagnola attuale (precipitata incoscientemente nel vulnus e nel caos giuridico-democratico, dai risvolti e dalle conseguenze drammaticamente concreti per gli equilibri sociali e civili) ci offre su di un piatto d'argento.

Una situazione paradossale in cui gli establishment stessi,di entrambe le parti in contesa, hanno deciso volontariamente di cacciarsi, ognuno con i propri obiettivi (non dichiarati) di corto raggio.

Prima, però, di entrare nel merito dell'argomento che mi accingo a trattare si rende necessaria una piccola parentesi.

Non molto tempo addietro mi sono avventurato in alcune considerazioni storico/istituzionali rispetto al percorso parabolico di un certo grado di affermata Civiltà e conseguente degrado di ordine politico-sociale-economico.

Nella fattispecie si era preso in considerazione (in parallelo alla Catalogna nel contesto Europeo contemporaneo) la nascita, affermazione e declino dell'Impero Romano.

Disquisendo, infatti, dell'esistenza (più o meno qualificata) del concetto di "Popolo" e/o "Nazione", mi ero permesso di ragionare su quanto riporto:

...ai suoi albori, anche la fondazione di Roma fu a seguito dell’unione tra diverse comunità (quella dei Latini, quella dei Sabini ed in parte quella degli Etruschi). Nella cartina dell'epoca è variamente quanto incisivamente rappresentata la penisola italiana dei tempi.

Il popolo romano fu il frutto di una progressiva maturazione ed emancipazione culturale, politica e militare che visse il suo apice (a mio stretto avviso) proprio nella Repubblica.

Inizio il suo declino con l’impero, la vastità del quale portò inevitabilmente ad un lento decadimento “sociale”.

Il popolo, in nome del quale si arringava in Senato, era quindi un popolo non etnico ma politico... rappresentato "in primus et solus" dalla Civitas.

Tale termine infatti indicava uno status giuridico ben preciso: la cittadinanza romana così come l’insieme dei suoi cittadini, che nel corso della storia di Roma assunse (assunsero) via via diversi significati più o meno concretamente incisivi nella vita politica e sociale ed economica di Roma quale entità Stato (dal centro alla periferia, dalla penisola alle province più immediate ed a quelle più remote, da un continente all’altro, dalla Repubblica all’Impero appunto).

Una cittadinanza romana che poteva essere concessa a comunità o a singoli individui ma tramite normative ed istituzioni (Comizi, Senato, Magistrati) ben individuate e formalmente riconosciute ed accettate. Dotate, in altre parole, di un autorità ed autorevolezza politicamente e socialmente condivisa.

Essere cittadino di Roma equivaleva ad un riconoscimento giuridico di “partecipazione” da tutti ambito. Equivaleva al riconoscimento civile e sociale di diritti e doveri fondamentali per le comunità e gli individui dell’epoca.

La Civitas consentiva l’accesso alle cariche pubbliche ed a quelle delle varie magistrature, la possibilità quindi di espressione di voto nelle assemblee politiche a nelle diverse elezioni alle cariche istituzionali.

Fu poi con l’avvento dell’impero (ed la lenta agonia dello Stato) che venne efficacemente usata come mezzo per “romanizzare” le nuove province… ma al tempo stesso tale processo di annacquamento delle identità statuali, politiche e culturali (secolarizzate) portò alla loro successiva erosione ed implosione sotto la pressione di nuovi e diversamente vitali “interessi”.

Una storia che si ripete probabilmente ma una storia anche che insegna come l’entità popolo non possa essere banalizzata (come la Civiltà Moderna sospinta dal globalismo ed incarnata da conflitti sezionali tra minoranze di individui portatori di interessi particolari, spesso insensatamente iper-individualizzati e tra loro assolutamente confliggenti) nel mero significato di appartenenza etnico/tribale o geografico/culturale.

Il popolo esiste in quanto espressione giuridica di una comunità coesa che si riconosca in principi e valori sanciti in un documento fondamentale, che ne rispecchi la storia, la maturazione l’emancipazione e l’autodeterminazione, i presupposti ed i progetti del viver comune.

Un popolo che non si forma e non si esaurisce in sterili localismi rivendicatori d’indipendenza ma che si basa su solide fondamenta istituzionali.

Sono tali fondamenta che stiamo distruggendo!

Non da ultimo con la velata e subdola macchinazione ed incentivazione (mia personalissima opinione) dei “Regionalismi” in salsa europea.

Divide et impera recitavano in latino… ed oggi più che mai siamo divisi e si cerca ostinatamente la divisione… scomparendo come popoli effettivi sotto il gioco schiacciante di poteri sovrannazionali spersonalizzanti, tanto invisibili quanto incisivamente pervasivi.

Si cerca un riconoscimento giuridico (nella migliore delle ipotesi) senza peso effettivo ed in base a vacue enunciazioni enfatiche. Nella peggiore, istigatrici di un suicidio fratricida: politico, civile, sociale... senza precedenti...

Credo debba apparire evidente, da quanto appena menzionato, come la stretta connessione tra le necessità impellenti di sopravvivenza e le pulsioni ataviche di socializzazione siano in grado di portare, da un lato (in embrione) allo sviluppo della Civiltà e dall'altro (in consunzione) all'inevitabile tramonto della stessa.

Quello che tenterò di argomentare nel presente scritto, quindi, non è solo una fattuale correlazione tra l'esigenza di preservazione materiale dell'esistenza con la ricerca inevitabile di una controparte sociale... quanto la simbiotica connessione "intellettuale" (ossia da percezione genetico/primordiale e tradizionale/sapienziale dell'intelletto umano) tra lo spirito individuale votato essenzialmente alla soddisfazione unica dell'interesse di parte ed il suo alter ego esistenziale legato invariabilmente alla difesa ed all'emancipazione condivisa di un principio universale di appartenenza comune.

Una Tesi tanto ostica quanto olistica la mia, non posso negarlo... ma che si pone quale sommo obiettivo (forse troppo radicale) di dimostrate come i tentativi "umani" di Costruire civiltà "Avanzate" entrino prima o poi inevitabilmente in conflitto "auto.distruttivo" rispetto agli stessi ambiziosi progetti che ci si era prefissati di raggiungere... e come (Forse!) poter tentare di evitare che una tale ciclica "catastrofe" possa continuare a ripetersi e rigenerarsi.

Partiamo da un assunto:

L'uomo è il frutto delle proprie esperienze o il risultato delle proprie necessità (...e/o vicissitudini) casuali?

Con una certa ragionevolezza potremo magari convenire che... l'uomo sia il frutto di una sintesi fondamentale di una non omogenea quantità d'inferenze ed interferenze nella spasmodica ricerca di un durevole ed al contempo soddisfacente equilibrio.

Preso, pertanto, come parametro di riferimento un tale manifesto ed instabile contesto... conseguenzialmente potremmo asserire che le difficoltà di "adattamento" siano direttamente proporzionali alle capacità di azione/reazione degli individui alle diverse situazioni.

Con ciò non si vuole affermare una presunta preminenza e supremazia della teoria Evoluzionista e Darwiniana sul divenire umano quanto sottolineare una decisa prevalenza dell'istinto primitivo rispetto al ragionamento cognitivo di fronte a vitali ed immediate urgenze.

Torniamo allora alla questione Catalana ed al perché di un repentino cristallizzarsi delle esigenze d'indipendentismo regionalizzano. Un secessionismo parcellizzante che tende a miniaturizzare e snaturare in fatui provincialismi le effettive ed anelate istanze di sovranità democratica di un popolo.

Per farlo, ossia per efficacemente sostenere la Tesi su esposta di una contraddizione di fondo nelle volontà umane, sarà opportuno richiamare e riportare l'attenzione su di alcuni dati "quantitativi e qualitativi" essenziali.

Il primo ed inequivocabile seppur di ordine puramente numerico, risulta o meglio dovrebbe risultare decisivo nell'analisi concreta degli eventi: una minoranza di cittadini (non già del popolo etnicamente o politicamente o istituzionalmente... sovranamente riconosciuto) catalani ha deciso di partecipare al voto per la presunta dichiarazione d'indipendenza e tra questi... sempre una minoranza "sembra" (il condizionale è d'obbligo rispetto ad una consultazione avvenuta al di fuori di ogni canale ufficiale ordinatamente programmato e accuratamente gestito secondo canoni accettati ed accettabili di trasparenza e legalità) aver concesso il proprio assenso.

Una minoranza che, come nel caso delle elezioni presidenziali francesi, è stata trasformata in una schiacciante maggioranza dal racconto e dall'enfasi mediatica della vicenda!

Perché? Sarà utile qui passare all'altra faccia della medaglia: l'elemento qualitativo. La qualità ossia la genesi della "protesta" montata ad arte dalla "classe dirigente" catalana (partitica/politica e non). Una genesi che appartiene a molte delle rivendicazioni "territoriali" di autonomia o separazione che animano il malcontento continentale europeo, dal Regno Unito [oggi già con un piede fuori (o dentro) la fossa "immobile" della UE] al Belgio, dal sud della Francia al nord dell'Italia, dalla Baviera alla Carinzia e dalla Moravia alla Slesia.

In ogni dove è un fiorir campanilistico di "autodeterminazioni"... eppure...

Eppure l'autodeterminazione è un concetto assai preciso e determinato ufficialmente sancito in precetti di diritto internazionale ecumenicamente riconosciuti.

Allorché non è possibile farsi beffe di esso se non in spregio ad una convenzione sociale (giuridico-sociale-internazionale in tal caso). E se si sceglie di farlo nel supporto di una minoranza il proprio dolo è coscientemente determinato ed altrettanto sostenuto da una volontà confliggente tra istanze ed interessi personali e peculiarità e/o necessità generali della comunità cui si fa riferimento.

Il prendere semplicemente atto di una tale irrazionalità spesso fondata su ipocrisie indotte ed induttive potrebbe rivelarsi essenziale nell'affrontare con maggior risolutezza ogni sorta di tentativo di capovolgimento della realtà in base ad interessi particolari che si voglian tradurre in principi e valori universali.

Il benessere comune non può legittimamente passare attraverso la soddisfazione di un interesse particolare ma solo attraverso il riconoscimento di un interesse comune oltre il quale il conflitto possa trovare quel giusto equilibrio capace di confinare gli attriti (tra diversi interessi in disputa) nell'alveo di un interesse generale superiore pacificamente riconosciuto...

Utopia?

E sì... trattasi di pura Utopia... ma proseguendo determinati nella Tesi della ricerca di un punto d'incontro effettivo e necessario tra individuo e società si potrà senza dubbio constatare che l'interesse particolare faccia prima o poi il gioco dello scorpione con la rana nel tentativo di attraversare il guado infido del fiume... solo una intelligenza emotiva, empatica e raffinata sarà in grado di metterci e porci al riparo dall'egoismo atavico e dall'ancestrale timore della perdita insito in ognuno di Noi.

Solo l'emergere di una sana capacità critica della realtà potrà condurci solidi ed intatti alle "estreme" porte della percezione (ogni riferimento al saggio di Aldous Huxley è puramente casuale!).

...

E con la promessa di ritornare sulla Tesi in argomento... Vi saluto e vi ringrazio per la pazienza e la lettura.

Elmoamf