mercoledì 24 ottobre 2012

Perduta oratoria o spuria teoria economica

Riprendo qui un commento personale pubblicato sul seguente blog che tratta temi economici ed al quale va tutta la mia personale stima:


Pertanto non disdegno farne pubblicità come non disegno la volontà di diffusione del pensiero  e delle opinioni dall'autore esposte, sempre con estrema chiarezza e rispetto dell'intelletto umano...o almeno è questa la mia personale opinione.

Nel caso della pubblicazione del presente articolo, almeno per questa volta, ho dato per scontato l'assenso dell'autore, senza chiederne preventivamente (lo ammetto) l'autorizzazione alla pubblicazione.

Spero solo che venga compresa la volontà divulgativa dei contenuti, assieme alla volontà di esprimere mie personali opinioni a riguardo.

Tale Blog è nato sotto la spinta di pubblicare commenti personali sulle alterne vicende umane, contrite od esaltate da fattori esterni non direttamente riconducibili al ns proprio ed essenziale essere.

Pertanto lo scopo rimane quello di far riflettere: su se stessi, la ns comunità (presunta o tale che sia) la ns esistenza, il motivo per cui oggi ci troviamo qui e non altrove!?

Qui di seguito riporto l'articolo di efficace matrice divulgativa. Sia in campo economico che, volendo  aggiungere, in campo socio-politico.

Di tale articolo ho tralasciato naturalmente i commenti ma chi volesse approfondirli potrà seguirne il link principale al fine menzionato.

P.S.: l'esposizione dell'articolo, per la sua complessità e dovizia di contenuti, richiederà tempo e raziocinio per cui armatevi di Santa Pazienza nel leggerlo ed mi raccomando arrivate sino in fondo!

Cordialmente

Elmoamf

FINE DELL’EURO ATTO TERZO:
LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA, ORA TOCCA ALL’ITALIA


Che cosa è un’opera buffa? L’opera buffa è un genere teatrale che si diffuse prima in Italia e poi nel resto d’Europa a partire dal XVIII secolo, avendo come scopo principale quello di presentare storie semplici, commedie, personaggi di estrazione popolare, problemi più quotidiani e comuni in cui si poteva riconoscere la maggioranza del pubblico pagante e non solo i nobili e i monarchi. Come ho già detto altre volte l’Unione Europea, e l’eurozona in particolare, è diventata da tempo, da quando tutti i nodi sono venuti al pettine, un grande immenso palcoscenico a cielo aperto in cui a cadenza pressoché giornaliera si recita a soggetto. Un circo itinerante che da Bruxelles, Berlino, Francoforte, Parigi, Madrid, Roma, arriva fino ad Atene per poi ricominciare il giro, con gliattori più esilaranti e comici che impresario poteva mai sperare di ingaggiare: abbiamo Merkel la cattivona, Hollande l’ipocrita, Montiil viscido, Rajoy il furbo, Samaras il codardo, Draghi il subdolo. Se non fosse per i risvolti drammatici di tutta la faccenda, che coinvolge direttamente noi spettatori paganti sia in termini economici che umani, ci sarebbe di che sbellicarsi dalle risate ad ogni ora, ad ogni dichiarazione dei buffoni all’opera. Anche la morte di un uomogreco di 66 anni, deceduto durante le sommosse ad Atene e gli scontri con la polizia dei giorni scorsi, diventa subito un fatto grottesco ed inverosimile: le persone muoiono quasi sempre di infarto, perché essendo anziane e cagionevoli vengono travolte e spaventate da una folla di giovani inferociti e incappucciati. Mentre la circostanza che queste persone possano essere state spintonate, percosse, manganellate dalla polizia prima di cadere esanimi sul campo, non viene mai presa in considerazione. No, questo non è previsto dal copione.

Nel primo atto dell’interminabile commedia europea avevamo descritto lo scricchiolio del ramo sul quale è seduta la Germania, che i suoi governanti si stanno impegnando a segare con una solerzia che ha dell’incredibile e del paradossale: ogni imposizione di austerità e rigore fiscale in più nei paesi della periferia, significa una proporzionale quantità di merci che la Germania non esporta più in quei paesi, affossando di fatto la sua stessa economia. Tuttavia siccome i tedeschi non capiscono questa semplice relazione contabile e nella prossima primavera ci saranno le elezioni, la cancelliera Merkel per tenersi buono l’elettorato deve mostrare buon viso a cattivo gioco, facendo la voce grossa al Bundestag contro i paesi spendaccioni e poi cercando accordi sottobanco con gli altri buffoni suoi pari per limitare i danni e tenere in piedi baracca e burattini. Nel secondo atto invece avevamo assistito alla miserevole disfatta della Spagna, che dopo Irlanda, Portogallo, Grecia era puntualmente caduta come un birillo, mostrando al mondo intero in tutta la sua grandezza il fallimento del suo sistema bancario e l’insostenibile leggerezza dei conti pubblici, che un tempo erano tra i più virtuosi della terra e oggi sono stati sventrati appunto per fornire salvataggi di emergenza alle banche. Nel terzo atto che raccontiamo oggi la trama è molto più semplice e dozzinale, perché si articola tutta intorno ad un motto di spirito abbastanza noto ai mercanti: “Prima vedere cammello, poi pagare moneta!”. Con un colpo di scena finale ad effetto, in cui si scoprirà chi e cosa è il “cammello” in questione. 

Come tutte le commedie dell’arte che si rispettano, anche il terzo atto della nostra opera buffa si apre con unantefatto a sorpresa. Mercoledì scorso, il giorno prima del vertice di Bruxelles, il presidente franceseHollande, l’ultimo buffone sceso nell’arena, colui che doveva portare la crescita in Europa (dei capelli forse, non certo dell’economia) e combattere aspramente contro il Fiscal Compact (stiamo ancora aspettando), rilascia un’intervista a giornali unificati a sei delle maggiori testate europee, tra cui l’italiana La Stampa, in cui dichiara senza troppe reticenze ciò che vuole ottenere l’indomani: l’unione bancaria deve venire prima dell’unione fiscale. Ben detto, così si fa, ma cosa significa esattamente? Per capirlo dobbiamo chiarirci subito sui termini: quando i buffoni parlano di “unione” non si riferiscono mai al concetto di unità, solidarietà, sussidiarietà, assistenza reciproca che potremmo intendere noi, qualcosa del tipo “l’unione fa la forza” o “tutti per uno, uno per tutti” dei Tre Moschettieri di Dumas. Per i buffoni la parola unione è sinonimo di “accentramento unificato del sistema di vigilanza, controllo e repressione”, e nello specifico l’unione bancaria auspicata da Hollande doveva essere propedeutica ad un ben determinato scopo: attivare il Meccanismo Europeo di Stabilità MES per ricapitalizzare direttamente le banche più disastrate (spagnole in particolare), senza passare per i bilanci dei vari stati, che già sono belli che cotti. In pratica, l’accordo di massima del MES prevede che prima di ricorrere al fondo e per garantire una maggiore uniformità e regolarità dei salvataggi bancari, la BCE diventi l’ente unico di vigilanza, spodestando da questo ruolo le banche centrali nazionali (per l’Italia, Banca d’Italia). In effetti le norme di vigilanza bancaria sono già uniche a livello mondiale (Accordi di Basilea) e in Europa riadattate principalmente dall’EBA (European Banking Authority), ma è altrettanto vero che poi ogni banca centrale nazionale adotta metodi più o meno stringenti di controllo secondo propri criteri di affiliazione e contiguità con le maggiori banche private locali.

Ma perché Hollande ha tutta questa fretta di attivare il MES per il salvataggio diretto delle banche? Cosa c’entra questo con la ripresa economica in Europa? Niente. Assolutamente niente. Essendo un semplicemenestrello di corte, portato di peso all’Eliseo per difendere interessi distanti anni luce da quelli dei cittadini, Hollande sta solamente suonando il suo mandolino: le banche francesi sono impazienti di riscuotere i crediti sospesi concessi a suo tempo alle banche spagnole, chiudendo le posizioni ancora aperte con i soldi del MES e rientrando dall’esposizione prima che sia troppo tardi. Non è una novità insomma, perché fin dall’inizio della crisi finanziaria dell’eurozona, l’unico vero obiettivo dei politicanti e dei tecnocrati di turno è stato sempre e solo quello di assicurare un celere e puntuale rimborso dei crediti pubblici o privati erogati dai grandi gruppi bancari coinvolti, di qualunque nazionalità o provenienza essi fossero. E Hollande, così come gli altri buffoni di corte, non fa certo eccezione a questa trama generale, che con diversi gradi di sfacciataggine e platealità si ripete ormai ininterrottamente da quattro anni. Ma da dove vengono i soldi del MES? Non certo dal cielo, ma dalle tasche dei cittadini europei, e la quota parte a carico dei cittadini francesi ammonta a ben €142 miliardicomplessivi. Tenete bene a mente questa cifra, che ci servirà per fare un confronto con la ridicola proposta per la crescita economica fatta dall’ipocrita Hollande. Ricapitolando: l’intenzione di Hollande è quella di utilizzare i soldi dei cittadini francesi ed europei per salvare le banche spagnole, in modo che queste ultime possano rimborsare le banche francesi, che sono gli unici veri referenti a cui deve dar conto e ragione il buffone dell’Eliseo. Indirettamente si tratta quindi di un salvataggio pubblico delle banche francesi, che passa attraverso le banche spagnole.

Per dirla in altre parole, la parte interpretata da Hollande nella scenetta dei mercanti, perché sempre di questo stiamo parlando, è quella di colui che chiede di “pagare moneta”, subito, ora, cash, mentre dall’altra parte, la sua presunta rivale, la cattiva Merkel, si ostina a ripetere che prima di pagare moneta, attraverso il MES, bisogna “vedere cammello”. A quale “cammello” si riferisce la cancelliera? All’unione fiscale, che ripetiamo nel linguaggio degli eurocrati non significa un governo federale di trasferimento democraticamente eletto dai cittadini, che si occupi di stabilire a livello centrale le singole quote di spesa e tassazione per riallineare eventuali squilibri fra i paesi della stessa unione, ma la possibilità di nominare un super-commissario europeo che abbia ilcompito di verificare, validare, modificare i bilanci pubblici dei vari stati. Un’idea ovviamente in linea con lavisione rigorista e austera di repressione della Germania, che priverebbe i governi della periferia delle residue sovranità politiche ed economiche rimaste: in pratica, nessuna istituzione in Spagna o in Italia, né il governo né il parlamento, potrebbe più decidere quante tasse fare pagare ai cittadini e quanta spesa pubblica utilizzare per fini sociali e assistenziali, senza l’approvazione del super-commissario, che lavorerebbe a stretto contatto con i funzionari della trojka UE, BCE, FMI. Una proposta bislacca, fin troppo bislacca per non essere in realtà unasemplice provocazione, che serve evidentemente ad alzare la posta per riuscire ad ottenere altro. Ma cosa vuole in realtà la Merkel? Allungare i tempi di introduzione dell’unione bancaria di sorveglianza, per salvaguardare i soliti interessi delle banche tedesche, perché la Merkel non è meno mercatista e manovrata del collega Hollande, anzi. Semplicemente la cancelliera ha altri interessi nazionali da difendere e tutelare, prima delle prossime elezioni politiche dell'autunno 2013 (ma già a gennaio ci sarà un importante test elettorale nel popoloso e strategico land della Sassonia), in cui sa di rischiare molto perché incalzata dai socialdemocratici.

Le banche tedesche sistemiche di grandi dimensioni, per intenderci Deutsche Bank, Commezbank, Allianz, hanno già ridotto la loro esposizione con le banche spagnole e il credito nei confronti della Spagna è confinato più che altro ai €122,5 miliardi di titoli di stato ancora in portafoglio (dato aggiornato a giugno 2012, già in netto calo rispetto ai 177 miliardi dell'anno precedente, perchè le banche tedesche così come quelle francesi nel frattempo continuano a disfarsi senza tregua dei titoli degli stati periferici). Quindi più che l’attivazione del MES per la ricapitalizzazione delle banche spagnole, per loro sarebbe interessante rendere operativa l’altra arma del MES, che è l’acquisto dei titoli di stato sul mercato secondario con il supporto tecnico della BCE e del suo programma OMT (Outright Monetary Transactions). La sorveglianza diretta e unificata della BCE è inoltre malvista da un’altra categoria molto potente in Germania che è quella delle banche regionali (Landesbanken) e delle casse di risparmio (Sparkasse), che intrattengono relazioni molto strette e opache con i politici locali e nazionali riguardo soprattutto i progetti di finanziamento delle opere pubbliche (e non solo visto che in Germania gestiscono il 40% dei finanziamenti alle imprese e il 50% dei crediti privati), sotto il complice e tacito assenso della banca centrale tedesca Bundesbank. Insomma i politici e i piccoli banchieri tedeschi se ne fregano altamente delle norme di vigilanza europee e fanno quello che vogliono con i loro istituti di credito, quindi non gradirebbero affatto l’intromissione della BCE, che anche solo di facciata e per evitare le accuse di disparità di trattamento dovrebbe essere più severa e imparziale nei loro confronti.

Quale compromesso è stato trovato fra i due contendenti Merkel e Hollande? Va bene l’unione bancaria o sarebbe meglio chiamarla la vigilanza centralizzata della BCE, ma con un programma di inclusione graduale e progressivo: a partire dal gennaio 2013 si partirà con il raggruppamento delle banche sistemiche più importanti, mentre da gennaio 2014 inizierà il lento adeguamento di tutte le rimanenti 6000 banche europee coinvolte, tra cui le stesse piccole e medie banche tedesche. Dopo questa finta schermaglia fra Hollande e Merkel, che piace tanto al pubblico pagante, il quale ha bisogno della sua buona dose di pathos e adrenalina giornaliera per essere anestetizzato a dovere e deve mantenere sempre l’impressione che in Europa ci sia effettivamente unaccesso dibattito democratico in realtà inesistente, entrambi hanno ottenuto senza troppi sforzi i loro obiettivi iniziali: l’ipocrita francese salverà le sue grandi sistemiche (Credit Agricole, BNP Paribas, Société Générale), mentre la cattiva tedesca è riuscita a tenere buoni i politici e i banchieri locali in vista delle prossime elezioni. E fin qui abbiamo visto il grosso della riunione di Bruxelles, il vero motivo per cui è stato indetto il vertice ovvero gliinteressi della grande finanza tedesca e francese, ma andiamo adesso alle trovate propagandistiche che secondo le intenzioni di questi pseudo-politicanti da quattro soldi dovrebbero servire a ridare slancio a tutta l’economia depressa dell’eurozona.

Partiamo dalla leggendaria Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe essere introdotta a partire da gennaio prossimo (il condizionale è d’obbligo visto che si parla invano di Tobin Tax dal 1972) e a cui hanno già aderito in prima battuta 11 paesi europei, tra cui la stessa Italia. A seconda della tipologia di strumento finanziario più o meno speculativo a cui sarà applicata, l’imposta di bollo potrà variare fra lo 0,05% e lo 0,1% del valore della transazione e i proventi saranno destinati ai progetti di sviluppo delle aree più disagiate dell’eurozona. Per carità si tratta di un primo passo ammirevole per mettere un freno alle compravendite speculative, ma pensare di regolamentare la finanza mettendo la Tobin Tax è come credere di combattere la mafia obbligando i clan a versare un obolo al giorno presso l’offertorio di una chiesa: soprattutto per le grandi società finanziarie che movimentano ingenti capitali l’effetto di deterrenza complessivo sarà irrilevante e non si esclude che gli intermediari mobiliari e i gestori di fondi possano poi recuperare gli esborsi pagati ai governi rivalendosi sui clienti e aumentando il costo dei servizi. Particolare poi la circostanza che la tassa non si applica sulle negoziazioni in titoli di stato e in strumenti derivati associati (vedi le obbligazioni strutturate o indicizzate o i CDS, Credit Default Swap), su cui si concentrano oggi i volumi maggiori e le conseguenze socialmente più dannose dell’attività speculativa degli operatori finanziari. “Stranamente”, anche quando indovinano uno degli strumenti giusti da utilizzare, i tecnocrati europei finiscono poi quasi sempre per sbagliare il bersaglio.

Fra l’altro, se esaminiamo il disegno di Legge di Stabilità presentato dal governo Monti (articolo 12, “Disposizioni in materia di entrate”, comma 20), ritroviamo quanto segue: “Sono esentate dall’imposta le operazioni che hanno come controparte l’Unione Europea, la Banca centrale europea, le banche centrali degli Stati membri della Unione Europea e le banche centrali e organismi che gestiscono anche le riserve ufficiali di altri Stati, nonché gli enti od organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali (per esempio il MES) resi esecutivi in Italia”. Considerando che a causa dell’attuale congelamento degli scambi interbancari, il flusso più cospicuo di transazioni finanziarie a titolo definitivo o parziale avviene fra le banche centrali e le banche private, questa esenzione limita i possibili benefici dell’imposta, sempre nell’ottica di sfavorire i piccoli investitori e itraders indipendenti a vantaggio dei grandi gruppi che hanno accesso ai canali di rifinanziamento istituzionali. Dalle stime calcolate dai funzionari del governo Monti, la Tobin Tax dovrebbe portare alle casse dello stato un gettito annuale di €1 miliardo circa, provocando l’abbattimento in volume del 30% degli scambi nel mercato azionario e addirittura dell’80% nel comparto degli strumenti derivati. Ora, se con buona approssimazione per eccesso, immaginiamo di ricavare €1 miliardo di euro per ognuno degli 11 paesi membri firmatari dell’iniziativa, l’importo complessivo da destinare al rilancio dell’economia sarebbe di €11 miliardi: uno stimolo fiscale da 0,08% del PIL europeo, praticamente nulla, una goccia in un oceano.


Sarà per questo che, prevedendo già il buco nell’acqua provocato dalla Tobin Tax, l’ipocrita Hollande insiste tanto sul Patto per la Crescita, che dovrebbe mobilitare€120 miliardi (1% del PIL europeo), ma evitando bene di spiegare il meccanismo per mezzo del quale la BEI(Banca Europea per gli Investimenti) erogherà questi finanziamenti: ci sono sul piatto solo €10 miliardi di capitale iniziale, mentre tutto il resto sarà raccolto a leva sul mercato finanziario emettendo dei project bonds, obbligazioni finalizzate allo scopo, che alla fine non sono nient’altro che prestiti agevolati alle imprese. In buona sostanza la proposta geniale di Hollande si riduce allacreazione di altri debiti, ovvero tutto ciò che le aziende non vogliono più contrarre in questo periodo di incertezza e di recessione. Molto più incisivo sarebbe stato invece un piano strutturale di detassazione straordinario per le aziende produttive operanti in territorio europeo, ma sappiamo bene che di questo i buffoni non parleranno mai, dato che le tasse servono a rimborsare i crediti dei loro committenti e mecenati della finanza. Se ricordiamo che solo con il MES verranno sottratti complessivamente a famiglie e aziende europee ben €700 miliardi, di cui appunto €142 miliardi solo in Francia, possiamo capire bene per quale motivo questi €120 miliardi di prestiti agevolati sono un contentino per le disperate pecore da tosare: uno schiaffo in faccia all’intelligenza di chi ancora pensava che l’arrivo di Hollande avrebbe smosso qualcosa in Europa, in termini di una stretta della linea del rigore e di un cambio di strategia in senso espansivo. Niente di tutto questo: il buffone francese di “sinistra” (viene da ridere solo a pensare che costui abbia una vaga vicinanza con la tradizionale idea storica di “sinistra”) è perfettamente allineato con i colleghi. Banche, finanza, grandiinteressi, protezione dei privilegi delle oligarchie, massacro sociale del popolo, dei lavoratori, delle piccole e medie aziende, dei diritti democratici.

E arriviamo adesso alla Spagna, la malata terminale sotto osservazione. Il furbo Rajoy è stato piuttosto in disparte durante il vertice di Bruxelles, perché ormai ciò che doveva essere fatto per il suo paese è stato giàdeciso e decretato da un pezzo. La Spagna chiederà nelle prossime settimane un pacchetto di aiuti al MES per ricapitalizzare le banche fallite, per una somma complessiva che andrà dai €40 miliardi ai €100 miliardi e graverà tutta sui bilanci pubblici dello stato. Il tentativo di aggirare l’ostacolo per attivare direttamente il MES con l’introduzione anticipata dell’unione bancaria è andato a vuoto, ma a differenza degli altri salvataggi effettuati in Irlanda, Portogallo, Grecia, la Spagna ha goduto di un trattamento speciale e ha strappato la concessione di non dovere inasprire ulteriormente la pressione fiscale e i tagli alla spesa pubblica, mantenendo un vincolo molto alto di deficit di bilancio, intorno al 6%-7%, ben lontano dal pareggio di bilancio a cui si sono legati mani e piedi altri paesi, Italia in testa. I tassi di interesse sui titoli di stato si sono molto abbassati rispetto alle punte del 7% della scorsa estate, con uno spread di 377 punti base e un rendimento del 5,37%, ma l’effetto è solo momentaneo e l’agenzia di rating Moody’s ha tenuto a precisare nel suo ultimo comunicato che la decisione di non declassare ulteriormente il debito pubblico spagnolo è subordinata alla prossima richiesta di aiuti. Qualora la Spagna dovesse ritardare ancora la firma del memorandum d’intesa per accedere al programma di salvataggio, il nervosismo sui mercati finanziari potrebbe riprendere a crescere con una violenta accelerazione dello spread, perché è chiaro che se da un lato gli speculatori sono in attesa di potere vendere in massa i titoli artificialmente apprezzati alla BCE, sul versante strutturale, economico e sociale la situazione della Spagna non solo non migliora ma precipita a vista d’occhio.

Madrid è sotto assedio permanente, le proteste dilagano in tutte le regioni, la gente è esasperata, ladisoccupazione aumenta in modo galoppante con punte ormai di ben oltre il 50% di giovani disoccupati, i soldi nelle casse degli enti locali sono praticamente finiti. Ieri, domenica 21 ottobre, si sono tenute le elezioni regionali in Galizia e nei Paesi Baschi, territori poveri e a rischio fallimento che sono già in rivolta da tempo, ma il test più importante la Spagna lo dovrà affrontare il prossimo 25 novembre con le votazioni regionali in Catalogna, dove già infervorano le mai sopite spinte indipendentiste. Un’eventuale vittoria dei partiti di opposizione che soffiano sul fuoco della protesta antieuropeista o peggio ancora dei movimenti locali per l’autonomia, potrebbe mutare non poco gli equilibri di forze e lo scenario politico spagnolo, con effetti dirompenti e imprevedibili per il futuro. Questo è il classico intoppo che potrebbe scompaginare di colpo i piani dei tecnocrati e dei banchieri europei, che malgrado i loro continui tentativi di indirizzare e imbavagliare la protesta verso l’astensionismo, dovranno prima o dopo fare i conti con il voto popolare: “Questa è la democrazia, bellezza!”. La finanza potrà pure manipolare le menti e gli organi di informazione, grazie al lavoro incessante e pervicace dei suoi menestrelli, ma fino a quando non sarà in grado di eliminare il diritto al suffragio universale, facendolo passare magari per pratica inutile, anacronistica, controproducente e dispendiosa, non potrà ancora entrare all’interno delle cabine elettorali e dovrà accettare suo malgrado il responso dei votanti. A poche ore dalla chiusura dei seggi i menestrelli e i buffoni ricominceranno a tessere le loro trame di palazzo, ma il giorno delle elezioni i tecnocrati europeisti potranno solo incrociare le dita e attendere in religioso silenzio.

Sulle condizioni pessime in cui è stata ridotta la Spagna, dopo anni di investimenti selvaggi e indiscriminati nel settore immobiliare e accumulo di debito estero, abbiamo già detto ampiamente in altri articoli, ma qui mi preme invece sottolineare solo alcuni dati. Innanzitutto non è vero che le banche europee, incluse quelle spagnole, hanno iniziato un virtuoso cammino di abbattimento delle attività (assets) e del debito necessario a finanziarle (deleveraging), come suggerito insistentemente dallo stesso Fondo Monetario Internazionale che ha stimato per il 2013 una massiccia vendita di assets per 58 importanti gruppi bancari europei da €3,5 trilioni. Come si può vedere bene dal grafico riportato sotto, a parte la momentanea flessione nel 2011, le banche hanno approfittato dei vantaggiosi rifinanziamenti della BCE (SMP, LTRO) per riprendere la loro marcia trionfale di investimenti finanziari fuori controllo, che ormai superano abbondantemente di 3 volte l’intero PIL europeo. Se ai cittadini è richiesto di stringere la cinghia, per motivi che sicuramente non dipendono da loro e dal loropresunto stile di vita insostenibile (i salari reali sono fermi o decrescenti in Europa da almeno 30 anni), imanagers delle banche continuano invece ad inseguire i loro ambitissimi bonus milionari e ad utilizzare i fiumi di liquidità a buon mercato concessi dalla BCE non per chiudere le precedenti posizioni debitorie e consolidare i bilanci, ma per aprirne di nuove e sempre più rischiose (moral hazard).


L’unica evidente differenza con il passato è che le banche hanno stretto il rubinetto dei finanziamenti alle famiglie e alle imprese, dedicandosi con maggiore profitto alla solite attività finanziarie speculative o ancora meglio al carry trade sui titoli di stato, che essendo molto volatili e parzialmente sicuri assicurano elevati rendimenti certi in breve tempo. Unendo a questa insopprimibile tentazione di scommettere al casinò della finanza, la scarsa capacità di valutazione del rischio degli investimenti arriviamo alla condizione disastrosa in cui ci troviamo oggi, con l’economia reale sempre più a corto di liquidità e lo stato a mettere continuamente toppe ai fallimenti a catena delle banche, a danno dei contribuenti. Proprio in Spagna il valore dei bad loan (prestiti sorvegliati, incagliati, in sofferenza, ai limiti dell’insolvenza) rappresentano ormai il 10,5% del totale e hanno raggiunto la clamorosa cifra di €178,6 miliardi: ecco per quale motivo possiamo dire con assoluta certezza che il primo salvataggio richiesto dalle banche spagnole non sarà di certo sufficiente e ne serviranno altri nel giro di qualche mese.

L’ultimo stress test condotto sulle banche spagnole risale ad agosto scorso e aveva stabilito un fabbisogno finanziario per il triennio 2012-2014 pari a €59,3 miliardi, tuttavia dettaglio non trascurabile il calcolo è stato fatto sottostimando le prospettive di recessione per il periodo, con una caduta complessiva del PIL di solo -1%. In uno scenario più realistico, la previsione più attendibile di flessione cumulata del PIL ci fornisce una cifra pari al -6,5%, e considerando (vedi grafico sotto) che esiste una forte correlazione fra riduzione del PIL, aumento della disoccupazione e incremento delle sofferenze bancarie, ecco che la necessità di copertura finanziaria per gli istituti creditizi potrebbe lievitare più del doppio rispetto alla cifra precedentemente calcolata. Il discorso è abbastanza semplice da capire, perché il minore reddito nazionale e il numero crescente di persone che non hanno più un reddito (a parte i sussidi minimi di disoccupazione) produce per le stesse persone unamaggiore difficoltà a rimborsare regolarmente i debiti contratti in passato. Senza contare poi il fenomeno inarrestabile di riduzione dei depositi presso le banche spagnole e fuga dei capitali all’estero, che in un contesto già così drammatico e turbolento potrebbe rappresentare l’ultima goccia capace di far traboccare il vaso del fragile sistema bancario spagnolo.


Questo discorso ci porta dritti in Italia, uno dei luoghi centrali e cruciali dove è ambientata l’opera buffa. Malgrado si continui a ripetere da ogni parte che il sistema bancario italiano è più solido di quello spagnolo, le condizioni al contorno non sono molto differenti: fuga dei capitali, riduzione dei depositi, aumento dei bad loan che hanno raggiunto a settembre la quota di €116 miliardi, il 15,6% in più rispetto allo scorso anno. Dato che tutti gli indici economici in Italia continuano a peggiorare, grazie anche alle manovre recessive del governo Monti che hanno amplificato gli effetti del ciclo economico in corso, esistono alte probabilità che buona parte di questi bad loan si trasformino presto in crediti inesigibili, con relativa necessità di ricapitalizzare le banche della stessa cifra. Fra l’altro, gli istituti più in difficoltà non sono soltanto quelli a carattere locale, regionale o nazionale, ma c’è addirittura una grande banca sistemica, d’importanza strategica internazionale, come Monte Paschi di Siena che ormai barcolla vistosamente verso la bancarotta. Abbiamo già detto più volte dello scellerato programma di salvataggio pubblico da €3,9 miliardi, ma adesso quello che più preoccupa gli addetti ai lavori sono le conseguenze dell’ultimo declassamento di Moody,s, che ha degradato i titoli di debito dell’istituto senese a livello spazzatura (junk bonds), portandolo a livello Ba2, sotto la soglia del grado di investimento: ciò significa che i grandi operatori internazionali, fondi pensione, fondi comuni, fondi sovrani, per tutelare i loro clienti dovranno disfarsi automaticamente dei titoli di MPS, facendo crollare ulteriormente il loro valore.

Dopo il comunicato di Moody’s, il crollo di giovedì scorso in borsa delle azioni MPS è stato preoccupante (-6,36% e 0,23 euro per azione), riducendo il valore patrimoniale di mercato del gruppo a meno di €2,6 miliardi. Già oggi il 17% dei crediti della banca sono problematici e dato che l’emersione di nuovi incagli e sofferenze segue l’andamento delle crisi economiche con un ritardo di 12-18 mesi, secondo Moody’s la qualità del credito di MPS "è probabile che continui a deteriorarsi nel 2013 e nel 2014". Ma se i nuovi depositi scarseggiano e la fragilità creditizia renderà sempre più difficile l’accesso al mercato, l’unica fonte di sostegno per MPS rimane ad oggi la liquidità fornita dalla BCE, che già a fine giugno ammontava a ben €31,5 miliardi. Oltre ovviamente aisalvataggi pubblici di emergenza garantiti senza limiti di quantità e di tempo dallo stato italiano. E tuttavia l’ingarbugliata faccenda MPS deve farci sorgere subito un sospetto: forse l’unico vero “cammello” che è stato trattato al vertice di Bruxelles come bene pregiato di scambio dai mercanti europei, tedeschi e francesi soprattutto, non è stata l'unione bancaria o fiscale, ma proprio noi. l’Italia.

Archiviato il caso Spagna, ormai tutti i faccendieri, i banchieri, i tecnocrati che ruotano intorno ai tavoli delle trattative europee hanno decisamente cambiato bersaglio, con la compiacenza e il supporto tecnico dei maggiori organismi internazionali pubblici e privati della finanza. Il tempismo con cui Moody’s ha sferrato l’attacco a MPS è sintomo inequivocabile di questo cambio di obiettivo: bisogna mettere il governo italiano spalle al muro, in modo che come la Spagna chieda un piano di aiuti e firmi l’accordo capestro d’intesa con la trojka UE, BCE, FMI prima delle prossime elezioni di aprile. In questo modo, qualunque nuovo governo verrà eletto dal popolo avrà già le mani legate ancora prima di cominciare e sarà obbligato a rispettare le condizionalità repressive di cessione di sovranità politica, economica, fiscale, previste dal memorandum. Bisogna tosare legrasse pecore italiane prima che queste possano uscire dall’ovile e il governo Monti è l’unico pastore affidabile e credibile dai “mercati” che possa svolgere diligentemente l’ingrato e indigesto compito (ingrato e indigesto per noi, non certo per Monti e la sua cricca, che più di una volta hanno mostrato parecchia soddisfazione e godimento a sforbiciare i risparmi e i patrimoni del popolo italiano).

La quiete apparente che regna sui “mercati” nei confronti dell’Italia, con lo spread che è sceso fino a sfiorare addirittura quota 300, dimostra che alcuni operatori finanziari, il cosiddetto “parco di buoi”, si sono piazzati in massa sui nostri titoli e danno già per certo un prossimo intervento della BCE. Altri invece, coloro che le mandrie riescono ad indirizzarle con brevi comunicati e dispacci ad orologeria, stanno soltanto caricando il fucile per iniziare a sparare nel momento opportuno, quando si dovrà scatenare la Tempesta Perfetta sull’Italia. Lecondizioni strutturali dell’economia italiana non sembrano infatti giustificare tutto questo ottimismo dei “mercati” e l’opera del governo di Mario Monti, che nel giro di poco meno di un anno è riuscito nella memorabile impresa di peggiorare tutti i principali indicatori economici del paese (PIL, inflazione, disoccupazione, consumi, produzione industriale, pressione fiscale, debito pubblico) è evidentemente funzionale al raggiungimento di questo momento della resa italiana. Una disfatta che con ogni probabilità avverrà quando saremo prossimi alle elezioni (gennaio, febbraio), in modo da consentire ai tecnici di defilarsi nell’ombra e dilasciare la patata bollente ai nuovi arrivati. Si tratta ovviamente di opinioni e valutazioni personali, ma dopo avere intuito bene o male cosa accade dietro le quinte dell’opera buffa, capire quale sarà lo svolgimento del canovaccio già scritto da tempo è diventato un gioco da ragazzi. Un passatempo, purtroppo o per fortuna, accessibile a tutti.

Alcune strane e curiose operazioni, come il passaggio per €10 miliardi dal Ministero dell’Economia alla Cassa Depositi e Prestiti (CdP), che già controlla quote di Eni, Terna e Snam Rete gas, delle partecipazioni inFintecna (che a sua volta controlla Fincantieri), Sace e Simest, confermano che il governo Monti ha già iniziato in sordina il piano di smantellamento e svendita dello stato italiano. La CdP, banca per il 30% privata che gestisce i risparmi dei correntisti postali e si occupa principalmente di finanziamenti agli enti locali e alla pubblica amministrazione, non avrà difficoltà a rivendere agli investitori stranieri le sue partecipazioni quando i tempi saranno maturi e l’emergenza causata dal deprezzamento dei titoli di stato (uno dei maggiori investimenti dellaCdP, con i suoi €11 miliardi di titoli in portafoglio) renderà indispensabile questa rinuncia. Ricordiamo che ci sonograndi gruppi stranieri, come il colosso francese dell’energia EDF, che a causa del referendum di giugno 2011, sono rimasti a bocca asciutta sia per quanto riguarda la costruzione delle 7 nuove centrali nucleari che per l’eventuale partecipazione nell’affare della privatizzazione dell’acqua pubblica, e adesso esigono che venga pagato il conto. In un altro articolo avevamo già rimarcato che una delle maggiori cause degli attacchi speculativi ai titoli di stato italiani, iniziati guarda caso a giugno 2011, e indirettamente della caduta del governo Berlusconi, era stata l’incapacità del cavaliere di Arcore di manipolare e distrarre l’opinione pubblica, come accadeva ai bei tempi andati del bunga bunga, e di fare passare sotto traccia queste indegne operazioni di colonizzazione straniera, evitando l’intoppo del referendum. Mario Monti invece, grazie ai suoi legami con gli ambienti che contano della finanza e degli affari, era l’uomo giusto per ridare credibilità all’Italia agli occhi dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale e per condurre in porto quelle stesse manovre, sulla spinta delpanico da spread che il professore ha abilmente contribuito ad ingenerare nelle masse.

Un’altra manovra a dir poco sciagurata e infame è quella delle dismissioni forzate di immobili del patrimonio pubblico, partecipazioni statali in società strategiche di interesse nazionale (Eni, Enel, Finmeccanica, Anas), municipalizzate, concessioni, soprattutto in un periodo come questo in cui il valore di mercato è ampiamente sottostimato. Una svendita che secondo le previsioni del ministro Grilli dovrebbe fruttare alle casse dello stato solo nel 2013 €50 miliardi (mentre a regime le entrate stimate sono nell’ordine dei €15-20 miliardi all’anno), da destinare unicamente all’acquisto e al rimborso dei titoli di stato, dando ovviamente priorità ai creditori stranieri, francesi e tedeschi in particolare. Considerando che l’intero patrimonio pubblico da piazzare è di circa €571 miliardi, l'intenzione del ministro Grilli, in chiaro accordo con i suoi mandanti e manovratori esteri, è quella di garantire ai tecnocrati dell’Unione Europea il pagamento delle prime 12 rate annuali da €45 miliardi ciascuna, previsto dal piano ventennale di rientro entro la soglia del 60% del rapporto debito pubblico/PIL sottoscritto e controfirmato nel Fiscal Compact. Le modalità con cui si vuole procedere a questa ennesima spoliazione criminale e occulta del patrimonio pubblico dei cittadini italiani è abbastanza singolare: una Società privata di Gestione del Risparmio (SGR) si occuperà di acquistare questi beni direttamente dallo stato, grazie al collocamento di titoli presso i privati, assicurando il pagamento del flusso di cassa degli interessi tramite principalmente gli affitti che riceverà dallo stato per utilizzare quei palazzi e quegli edifici che un tempo erano suoi. Praticamente lo stato si priverà di un asset, di un’attività, che se sfruttata bene può generare profitti, per avere poi certamente delle uscite, dei costi ripetuti che prima non aveva. Ovviamente di questa truffa non beneficeranno solo gli investitori della SGR, ma gli stessi acquirenti privati (soprattutto stranieri, data la carenza di capitali interni) a cui il fondo venderà progressivamente i beni strappati allo stato per rimborsare i titoli in scadenza.

Questi contorti meccanismi finanziari servono solamente a mascherare l'inganno e ad indorare la pillola, ma alla fine si tratta di un furto bello e buono compiuto ai danni dei cittadini che sono i legittimi proprietari di quei beni. Un crimine che si può commettere impunemente davanti agli occhi di tutti grazie all’opera martellante della stampa e della propaganda di regime, la quale ripete fino allo sfinimento che la vendita del patrimonio pubblico consentirà di abbattere il debito pubblico e di liberarci da quest’incubo. Ne siamo veramente sicuri? E’ davvero il debito pubblico il nostro problema? E’ stato l’acquisto di quei beni a causare l’aumento del debito pubblico? No, assolutamente no. Quei palazzi e quegli edifici storici appartengono allo stato italiano nella maggior parte dei casi fin dai tempi dell’Unità dell’Italia, quindi i cittadini non hanno mai speso una lira (o un euro) per comprarli, ma ne sono per costituzione i proprietari di diritto. La panzana del debito pubblico è solo un vile pretesto per frodarli, perché ormai anche i muri sanno che il debito pubblico italiano è cresciuto a partire dal 1981 (quando era solamente al 55% del PIL) a causa del divorzio fra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, che impedendo alla banca centrale di intervenire nelle aste di collocamento dei titoli pubblici per calmierare i rendimenti, ha favorito un’inarrestabile crescita degli interessi da corrispondere ai titolari. Una maggiore spesa per lo stato, che gravava anno dopo anno sui bilanci pubblici, di cui inizialmente hanno beneficiato soprattutto privati cittadini, aziende e banche italiane, ma poi con la disinvolta apertura ai capitali internazionali avvenuta con l’adesione all’euro, la deregolamentazione, la globalizzazione, ha avvantaggiato principalmente gli investitori stranieri. 

Se osserviamo l’andamento degli avanzi primari al netto degli interessi cumulati dallo stato italiano dal 1992 ad oggi (vedi grafico sotto), ci accorgiamo che i nostri governi applicano il rigore e l’austerità da almeno vent’anni, senza che questo abbia apportato mai un reale beneficio all’economia nazionale o alla solidità del nostro paese. Il continuo drenaggio di liquidità dal basso verso l’alto, ha prodotto soltanto l’impoverimento generale della maggioranza dei cittadini e l’arricchimento di coloro che vivono di rendita speculando sull’acquisto dei nostri titoli di stato. I €600 miliardi complessivi di maggiori entrate rispetto alle uscite che lo stato ha raccolto in questi ultimi venti anni, prosciugando i risparmi dei cittadini e inaridendo il tessuto produttivo, sono serviti esclusivamente a pagare gli interessi sul debito pubblico alle banche italiane e straniere, aigrandi investitori, ai singoli operatori finanziari. Non un centesimo in più di ciò che abbiamo pagato con le tasse è stato speso nel miglioramento dei servizi pubblici, nel rafforzamento dello stato sociale, nei programmi di assistenza e sussidi all’economia, per farci vivere, come dicono molti menestrelli della propaganda, “al di sopra delle nostre possibilità”.


A parte la leggera flessione del montante complessivo del debito pubblico avvenuta poco prima della crisi del 2007, grazie alla favorevole congiuntura dei bassi tassi di interesse creata dall’illusoria ed effimera introduzione dell’euro, i governi che via via si sono succeduti negli ultimi trenta anni sono stati quasi sempre costretti ad emettere nuovi titoli per riuscire ad andare dietro al meccanismo fuori controllo di incremento degli interessi (Schema Ponzi). Alcuni recenti studi rivelano che la quantità totale di interessi pagati dal 1981 ad oggi ammonta alla stratosferica cifra di €2.141 miliardi, a fronte di una maggiore spesa pubblica rispetto alle entrate di soli €140 miliardi nell’arco dello stesso trentennio. Quindi in verità il nostro debito pubblico da €2000 miliardi noi italiani ce lo saremmo già belli che ripagati, se non fosse stato appunto per la truffaldina e famelica amputazione della nostra sovranità monetaria, avvenuta nel 1981 ed effettuata ad hoc per fregare i cittadini a favore dei soliti noti. Lo scandalo ormai è sotto gli occhi di tutti, anche se molti, soprattutto quelli che si sono arricchiti con il bottino del furto, cercano di deviare maldestramente l’attenzione verso altri argomenti, come gli sprechi, la corruzione, i privilegi della casta (che per carità vanno eliminati, ma non sono affatto la causa dei nostri problemi).

Fra l’altro, questo continuo spostamento di soldi dall’economia reale della produzione al mercato finanziario della rendita, con conseguente necessità di applicare poi politiche economiche recessive per risanare i bilanci, ha provocato ovviamente una caduta libera del reddito lordo nazionale lungo il trentennio (vedi grafico sotto), passando dalle incoraggianti medie di crescita del primo decennio degli anni ottanta (+3,8%) fino alla stagnazione completa o recessione degli ultimi anni (+0,3%). Con le cupe previsioni di riduzione del PIL per i prossimi anni, sarà sempre più difficile il raggiungimento dell’ecumenico quanto mai inutile obiettivo del 60% del rapporto debito pubblico/PIL, perché ogni anno che passa dovremo abbattere il debito di una quota sempre superiore rispetto all’anno precedente solamente per recuperare i punti di PIL persi per strada. Cosa ben diversa accadrebbe invece se riuscissimo a far crescere il PIL con una politica economica espansiva di aumento della spesa pubblica, dei consumi e degli investimenti, perché in quel caso il debito non solo si ripagherebbe più agevolmente con le maggiori entrate fiscali calcolate su un reddito più elevato, ma avrebbe un peso specifico marginale sempre minore rispetto al PIL. La politica restrittiva serve soltanto ad esaltare il peso del debito pubblico, a renderlo ingombrante e dannoso, quando invece per un "paese democratico normale", non ingabbiato in vincoli esterni come la moneta unica, il debito dello stato rappresenta un semplice strumento di politica economica e fiscale, che ha davvero poche controindicazioni. E l’ultima disgraziata protagonista dell’opera buffa, la Grecia, è indubbiamente l’esempio più concreto e lampante dell’errore che si commette quando si cerca di costringere un paese debitore a risarcire un debito togliendogli non solo la propria moneta di stato ma anche tutte le fonti esterne di reddito.


Dopo la loro ultima ricognizione in suolo greco, i funzionari della trojka hanno confermato quello che sapevamo già: il disavanzo primario di bilancio è stato quasi azzerato, le uscite superano le entrate di soli €1,4 miliardi, ma i €12,5 miliardi di interessi sul debito che paga la Grecia ogni anno costringono il paese a dipendere dagli aiuti dei fondi di salvataggio europei, del FMI e della BCE. Siccome i creditori privati sono praticamente usciti dall’affare greco con i primi pacchetti di aiuti, questi nuovi finanziamenti dei creditori istituzionali della trojka servono solamente a ripagare gli interessi alla stessa trojka, ma neppure un centesimo va ad abbattere il debito pregresso o viene utilizzato per far ripartire l’economia, i consumi, gli investimenti, la fiducia. La Grecia è già spacciata, il suo PIL è in picchiata, il debito pubblico per quanto quasi costante in valore assoluto continua ad aumentare in relazione al PIL, dal 130% del 2010 al 167% attuale. Le domande quindi da porsi sono: possibile che sia proprio questo lo scopo della trojka? Sapendo già che la Grecia in queste condizioni non potrà mai consolidare i conti pubblici, possibile che la presenza di questo debito sia solo un pretesto per ottenere altro? Possibile che il debito serva solo a tenere in tensione l’intero paese e mettere pressione alla gente, mentre i funzionari studiano i piani più convenienti per frodare e depredare lo stato greco? Che senso ha e quanto potrà durare ancora la truffa della trojka?

Con questi ultimi inquietanti interrogativi si cala il sipario sul lungo terzo atto dell’opera buffa dell'eurozona. Certo si potrebbe parlare ancora delle comparse Portogallo e Irlanda, paesi già distrutti e annientati, che continuano mestamente il loro lento calvario verso il nulla, con i governanti servili che seguono pedissequamente gli ordini e le ricette amare della trojka e il popolo già rassegnato a soffrire ingiuste pene. Ma con tutto il rispetto, se portoghesi e irlandesi non sapranno risvegliarsi dal torpore opponendo un’adeguata resistenza al massacro, rimarranno sempre e solo comparse, inutili scenografie sullo sfondo che non aggiungono o tolgono nulla al dibattito. Perché è chiaro che l’unica variabile che può fare saltare in aria i piani dei vari buffoni che si alterneranno sulla scena è la reazione possente, competente, organizzata, coordinata della gente e se questa non ci sarà loro non si fermeranno mai. La fine di questa tragicomica farsa dipende dalla scelta consapevole del pubblico pagante di alzarsi in piedi e uscire dal teatro perché stanco del pietoso spettacolo a cui sta assistendo da tanti, troppi anni. Rimanere impassibili è comodo, ma il biglietto si paga lo stesso, e non si paga una sola volta all’ingresso, ma tutti i santi giorni, si consegna in eredità ai propri figli, ai propri nipoti, si tramanda di generazione in generazione. I buffoni in fondo si divertono a saltellare e strimpellare i mandolini sul palco, mentre noi spettatori inermi e impotenti, consapevolmente o inconsapevolmente, siamo gli unici a pagare per il loro divertimento. Loro si prendono gioco di noi con semprenuove ingegnose macchinazioni, ma ripeto, per mettere fine a questa straziante agonia basterebbe soltanto avere la forza di alzarsi e dire ad alta voce: “No grazie, abbiamo già dato. Abbiamo pagato abbastanza per il vostro ludibrio e godimento. Conosciamo bene come funzionano le mille sfaccettature del potere totalitario, oligarchico, monarchico, imperialista e preferiamo la democrazia”.

La democrazia è l’unico personaggio ancora in cerca di autore che può stravolgere il triste scenario che ci aspetta, ponendo fine alla dittatura di mercenari e lacchè al governo e accelerando il processo di collasso dall’area euro, prima di essere spogliati del tutto dei nostri risparmi, del patrimonio pubblico e della nostra stessa capacità di resistenza. Ci vuole più democrazia nell’informazione per capire che l’euro è l’ultimo e più raffinato strumento di dominio inventato dai soliti tiranni e la fonte principale e originaria delle loro logiche predatorie. Ci vuole un ritorno alla democrazia per ridare speranza, futuro, dignità ai popoli. Ci vuole un recupero della sovranità monetaria, politica ed economica di ogni singolo paese, caposaldo fondamentale sul quale si costruisce una vera democrazia, per capire che l’unione, l’unità, la compattezza granitica che esclude le differenze, la molteplicità, non è quasi mai sinonimo di equilibrio, armonia, bellezza. Ci vuole unareazione forte da parte della società civile per cambiare rotta al cammino sbagliato di evoluzione che ci stanno imponendo dall’alto. Ci vuole uno stato di mobilitazione permanente, come sta già avvenendo in Spagna e in Grecia, per uscire dall’accerchiamento. Ci vuole una discesa in campo convinta e rumorosa che abbia come unico scopo quello di cacciar via dal suolo nazionale tutti i tecnocrati, i vecchi partiti, i politicanti, i funzionari che sono stati complici di questo sfacelo.

La manifestazione del 27 ottobre a Roma, il No Monti Day, rappresenta quindi un vero spartiacque politico per capire fino a che punto gli italiani sono pronti per affrontare questa battaglia, con le dovute armi di conoscenza e consapevolezza. In questa prima fase non è tanto importante il numero dei partecipanti, ma ladeterminazione e costanza che ognuno dei presenti avrà nel proseguimento della lotta, con i propri mezzi, con le proprie competenze, con i propri limiti. Gli spagnoli, i greci, gli italiani che stanno già scendendo e scenderanno in piazza a protestare nei prossimi giorni, nei prossimi mesi, nei prossimi anni, sono in verità gli unici “europei” degni di questo nome, che hanno rispetto per la storia, la cultura, le tradizioni del nostro amato continente, mentre gli altri sono solo merce di scambio dei mercanti. Gli irriducibili sognatori degli Stati Uniti d’Europa non sono “europei”, non sono portatori sani di modernità, non sono gli abitanti di una terra promessa che non esiste e non esisterà mai. Sono soltanto schiavi illusi e raggirati, accattoni opportunisti e profittatori, venditori di fumo agli stolti, persone prive di spina dorsale e lungimiranza, vittime della loro stessa fragilità. Ma forse per capire meglio il senso di queste ultime parole e rinvigorire l’orgoglio di sentirsi veramente “europei”, come suggerito da un lettore, bisognerebbe rileggere con attenzione una frase del filosofo, politico e storico francese Alexis de Tocqueville, uno che di democrazia se ne intendeva eccome:

“Si può davvero credere che la democrazia, che rovesciò il sistema feudale e liquidò i re, si ritiri davanti a mercanti e capitalisti?”
...
...
...
Alla fine di questa maratona, Vi risparmio il mio commento personale.
Se vorrete leggerlo ed approfondire gli ulteriori e pertinenti commenti Vi rimando al link su evidenziato

Ed Infine e di Nuovo...

Un saluto sempre cordiale,
Elmoamf

venerdì 19 ottobre 2012

Inferno in Terra! O la luce in fondo al Tunnel...

Esporrò di seguito un concetto, frutto di riflessioni sulla comunicazione cinematografica occidentale.
Ovviamente mi riferisco, in primis, a quella Nord Americana, non necessariamente made in Hollywood.
Questo concetto trae spunto da un articolo che, come molti altri nel panorama alternativo dell'informazione (Web o meno che sia!), chiama in causa una delle "casate" più discusse probabilmente della storia moderna:
La famiglia Rothschild!

Mi permetto di riproporre l'articolo (traduzione di altro articolo dall'originale inglese) per meglio lasciar comprendere il mio pensiero a riguardo.
Osservando, naturalmente le debite regole di citazione delle fonti e attenendomi (là dove espressamente richiesto) alla rimozione di quanto qui esposto se ne verrà successivamente fatta richiesta!

Per esser sinceri...
Pur avendo istintivamente ed inconsciamente a cuore l'Africa (come in altri post spero di aver evidenziato, cercando di fornire spunti di riflessione) non è tanto per il contenuto della notizia riportata (che tratta indirettamente della grave situazione sociale, economica, politica e militare del "Sudan" come esempio delle razzie "oligarchiche") che mi espongo in questo scritto...quanto per la brama o sete di dominio che in se la notizia stessa riporta, probabilmente in modo non direttamente consapevole!

In ognuno di noi giace, insonne, il personale delirio di onnipotenza.

Questo delirio è evidentemente scatenato da forze a noi intime e non immediatamente comprensibili, tanto meno gestibili.

Così espresso il mio incipit, vorrei proseguire nell'esporre la mia tesi a riguardo. A riguardo di quel titolo che ho ritenuto opportuno per questo intervento, come a riguardo di quanto già esposto nel successivo commento personalmente rimarcato nell'articolo che qui ripropongo. 

In preda a "Quel" delirio l'uomo si abbatte come una furia contro il suo prossimo.
Cieco, indomito, privo di raziocinio o coscienza...privo di consapevolezza ultima o di ultimativa istanza!

Consapevolezza ed istanza di se stesso e di ciò che lo circonda...sempre per mio personale avviso...ci mancherebbe altro!

Unicamente guidato da sentori primordiali che nulla hanno da spartire con l'elevazione "morale" ben descritta dal pensiero "Socratico".

Siamo facili prede del martirio dogmatico privo di riflessioni sui ns "talenti" o diversamente prede del delirio altrettanto dogmatico sui ns "vanti"senza riflettere sui ns "limiti"!

Qui di seguito l'articolo tratto dallo stimato e più volte citato sito Stampalibera.com:

I Rothschild mettono le mani sul petrolio del Sud Sudan

19 ottobre 2012 | Autore Lino Bottaro | Stampa articolo

Autore originario:
Dean Henderson, Counterpsyops 11 ottobre 2012




Il 9 luglio 2011 il Sud Sudan è diventato la 193.ma nazione del mondo. Meno di una settimana dopo violenze sono scoppiate nel Sud Kordofan, una zona alla nuova frontiera tra Sudan e Sud Sudan, controllata dal Sudan e ricca di petrolio. Non contenti del sequestro di giacimenti di petrolio del Sud Sudan, il cartello delle otto famiglie di banchieri guidato dai Rothschild, sembra voler spostare la nuova frontiera più a nord, strappando ancora più petrolio greggio al popolo del Sudan. Per decenni i servizi segreti occidentali hanno sostenuto l’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLA), nel tentativo di consegnare la parte meridionale del Sudan ai quattro cavalieri del petrolio. La regione possiede il 75% delle riserve petrolifere del Sudan.
Ciò che è stata la più lunga guerra civile dell’Africa, alla fine terminò quando il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir, sotto pressione, cedette la parte meridionale del suo paese ai vampiri bancari del FMI/Banca Mondiale, dopo un conflitto che ha lasciato più di 2 milioni di morti. [1] Pochi giorni dopo essersi dichiarata nazione sovrana, la società petrolifera statale del Sud Sudan, la Nilepet, costituiva una joint venture con la Glencore International Plc., per commercializzare il suo petrolio. Glencore è controllata dai Rothschild. La joint venture sarà la PetroNile, con il 51 per cento controllato da Nilepet e il 49 per cento dalla Glencore. [2]
Il nuovo presidente del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, ha firmato una legge che istituisce formalmente la Banca Centrale del Sud Sudan. Il Sudan è uno dei cinque paesi – insieme a Cuba, Corea del Nord, Siria e Iran – la cui banca centrale non è sotto il controllo del cartello delle otto famiglie di banchieri guidate dai Rothschild. Non è dunque un caso che la moneta di questo nuovo feudo petrolifero dei Rothschild, si chiami sterlina del Sud Sudan. [3] Già nel 1993 il presidente sudanese al-Bashir aveva accusato l’Arabia Saudita di fornire armi all’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLA) di Johnny Garang. Il Mossadisraeliano ha anch’esso rifornito lo SPLA per anni attraverso il Kenya, con l’approvazione della CIA.


Nel 1996 l’amministrazione Clinton annunciava che l’aiuto militare a Etiopia, Eritrea e Uganda doveva essere utilizzato per aiutare l’SPLA per un’offensiva contro Khartoum. [4] Quando questo sforzo sanguinoso fallì, gli scagnozzi delle otto famiglie iniziarono ad armare i ribelli in Ciad. Il Ciad è stato a lungo un paese importante per gli schemi produttivi in Nord Africa dell’Exxon-Mobil e della Chevron-Texaco. Il presidente del Ciad, Idriss Deby, che salì al potere nel 1991, era condiscendente con Big Oil. Fu anche classificato 16.mo nella lista dei peggiori dittatori del mondo, nel 2009, sulla rivista Parade. [5]
I ribelli in Ciad avevano due obiettivi. Gli ufficiali pagatori della casa dei Saud della CIA, fornirono il supporto al Fronte Nazionale per la Salvezza (NFS), che aveva tentato di rovesciare il Presidente libico Muammar Gheddafi. Nel 1990, a seguito del successo del contro-colpo di stato supportato dai libici contro il governo del Ciad che sponsorizzava la NFS, gli Stati Uniti evacuarono 350 capi del NFS con il finanziamento saudita. Gli Stati Uniti consegnarono 5 milioni di dollari in aiuti al governo dittatoriale del Kenya di Daniel Arap Moi, in modo che il Kenya ospitasse i leader del NFS, che gli altri governi africani si rifiutarono di accogliere. Arap Moi poi figurò nelle operazioni segrete della CIA in Somalia, dove i sauditi avevano finanziato anche la controinsurrezione. [6]
Le agenzie di intelligence occidentali poi utilizzarono il governo del Ciad per finanziare il Movimento Giustizia e Uguaglianza (JEM). Dalle basi in Ciad, questi terroristi lanciavano incursioni nella regione sudanese del Darfur, creando la grave crisi dei rifugiati, durante l’apertura del secondo fronte settentrionale della guerra condotta contro il Sudan sul fianco meridionale, dall’SPLA di Big Oil. [7]
I media occidentali, ovviamente, accusarono del conflitto in Darfur soltanto il governo sudanese e l’idiocrazia liberale seguì presa per il suo stupido naso, come in Jugoslavia. Nel marzo 2009 il tribunale farsa preferito dalle otto famiglie, la Corte penale internazionale (CPI), accusò il presidente sudanese al-Bashir di crimini di guerra. Non vi fu alcuna menzione del JEM nelle accuse del CPI. Nell’agosto 2006, il presidente del Ciad Deby aveva fatto una svolta a sinistra, chiedendo che il Ciad ottenesse la quota del 60% della sua produzione petrolifera nazionale, dopo aver ricevuto per decenni solo le “briciole” dalle società straniere che gestivano il settore. Aveva accusato Chevron e Petronas di rifiuarsi di pagare le tasse, per un totale di 486,2 milioni dollari. [8]
Nel 2008, il presidente sudanese al-Bashir partecipò all’inaugurazione della rielezione di Déby, segnalando la ripresa delle relazioni che posero fine al conflitto nel Darfur. Con al-Bashir ancora seduto in cima a enormi giacimenti di petrolio, le otto famiglie idearono il piano per la secessione del Sud Sudan dal Sudan. Estenuato dai continui attacchi al suo popolo, che avevano lasciato due milioni di morti, al-Bashir è stato costretto all’accordo sulla divisione. Con le violenze che già esplodono nel Sud Kordofan, controllato dal Sudan e ricco di petrolio, sembra che l’SPLA e il suo sponsor Glencore/Rothschild non si accontentino di aver rubato la maggior parte dei giacimenti petroliferi del Sudan. I vampiri li vogliono tutti.

Note:
[3] “South Sudan Establishes Central Bank As It Receives Its New Currency” BNO News. 15.7.11
[4] “US to Aid Regimes to Oust Government”, David B. Ottaway. Washington Post. 10.11.96
[5] “The World’s Ten Worst Dictators” Parade Magazine. 23.3.09
[6] “Mercenary Mischief in Zaire”, Jane Hunter. Covert Action Information Bulletin. Spring 1991.
[7] “Sudanese Warplanes Hit Darfur Rebels Inside Chad” Sudan Tribune. 3.6.09
[8] “Petronas Disputes Chad’s Tax Claims” Aljazeera. 30.8.06

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


E qui di seguito il mio intervento personale:

"La realtà evidentemente non è mai pura figlia dei fatti ma astuta conseguenza di disegni ben congegnati. Tra l’altro questi disegni vengono, spesso in anticipo, ben raccontati attraverso la patina delle pellicole cinematografiche. Come se produttori, sceneggiatori e registi si fossero trasformati in novelli Nostradamus! Mi riferisco in particolare ai messaggi subliminali trasmessi e non alle storie di per se filmate. Per meglio lasciarmi intendere citerò alcuni titoli in cui il sacrificale martirio e le fiamme dell’inferno (come simbolo di peccato, condanna e redenzione al tempo stesso) sono i concreti protagonisti delle vicende narrate:
“L’avvocato del Diavolo” – “Angel Heart – Ascensore per l’inferno” – “Cape Fear – Il promontorio della paura”.
Titoli in cui la regressione animale dell’uomo (…per ego, per avidità, per paura, per rabbia, per delirio di onnipotenza…) esplode ed invade in negativo ogni azione, reazione ed emozione umana!
Forse sembrerò andare fuori tema…ma le citazioni esposte forse tornerebbero utili per riflettere almeno un secondo sulle “saghe familiari” dei potenti: futuri o presenti, passati o trapassati remoti. O, se non addirittura che furono nei tempi al di là della ns immediata portata, in epoche per noi ancora non del tutto chiare e conosciute.
Come quella della famiglia qui direttamente citata e delle sue presunte e probabili consorelle.
Quale delirio d’onnipotenza pervade loro? Ed attraverso tale “potere”, come influisce silenziosamente ma inevitabilmente e fatalmente sui ns destini? Quelli di ignare comunità africane come quelli di beate e “superficiali” comunità occidentali ed orientali?
Non è solo questione di lotte intestine, geopolitiche, finanziarie o…
Qui è questione, per me, di delirio di onnipotenza!
Un delirio che scaturisce dal fatto di sentirsi superiori in tutto e per tutto alla miseria e miserabilità umana.
Un concetto, anzi e più concretamente e profondamente, un atteggiamento che si esprime nel piccolo come nel grande, nel quotidiano come nello storico, nel sociale come nel professionale, nel nazionale come nell’internazionale!
Per concludere con un episodio cinematografico…spesso avviene…nelle pellicole apocalittiche…che l’arcangelo di turno condanni l’uomo per la sua natura abominevole non degna dell’amore incondizionato di Dio…per questo scatena le forze antagoniste dell’inferno affinché vi sia una lotta estrema, all’ultimo sangue, ove l’uomo possa riscattare se stesso e meritare, infine, puramente e sinceramente, quell’amore incondizionato…che da Dio, nella Sua infinità bontà, gli viene concesso quale figlio dell’Eterno!
Ebbene, nelle pellicole citate come in molte altre…la risposta è chiara e sottintesa:
Non v’è redenzione per l’uomo ma solo martirio: Eterno!
Condito da sprazzi di presunta Salvezza…come quella luce in fondo al Tunnel cui si auspica arrivare ma a cui mai sostanzialmente si giungerà!"

Un saluto per il momento ancora caro,
Elmoamf

lunedì 15 ottobre 2012

Africa, Banca Mondiale e Land Grabbing

Questo è un tema che particolarmente mi sta a cuore, perché rientra nei consueti meandri del dietrologismo complottista.

Si...certamente, chi vuole può gettare tutto nel generico inceneritore confondendo questo come altri temi nell'onnicomprensivo cestino dei dibattiti tra intellettuali di seconda linea.

Ovviamente, renderà un buon servizio autodistruttivo solo alla sua (...e probabilmente alla di lui affine e conseguenziale) cricca di parassiti.

Quel che a me interessa, al di là della passione e dell'enfasi con la quale rimarcare personali affermazioni, è il messaggio o meglio la divulgazione dell'informazione.

Come altre notizie che, personalmente, ritengo pregne di significato e necessaria condivisione...così quella del Land Grabbing è per me una tematica da non sottovalutare o già e purtroppo ampiamente sottovalutata.

Una pratica anonima che difficilmente assurge agli onori della cronaca!

Perfetto, allora ne parlo Io qui e meglio di me ne parleranno altri.

Pertanto, per iniziare segnalo questo link:

Ancora Land Grabbing....per non dimenticare

Direttamente dall'ottimo sito su argomenti relativi all'affascinante continente africano: http://www.sancara.org/

E poi, proseguendo, riprendo questo articolo tratto dal sito on line della Stampa!

Non potendone vantare i diritti, certamente, ve ne propongo di seguito solo un estratto:



Un accaparramento eovuto alla pressione ambientale, all’esplosione della popolazione, al cambiamento climatico, alla volatilità dei prezzi dei prodotti alimentari, alla scarsezza dell’acqua. Fenomeni che rendono la semplice terra un bene sempre più prezioso. Soprattutto per chi ha potenza e danaro, e acquista terreni a rotta di collo in Africa, Asia ed America Latina come “assicurazione” per il futuro o per produrre biocarburanti: è il caso della Cina, ma anche degli stati petroliferi del Golfo Persico. L’accaparramento di terre – in inglese, land grabbing – è diventato una realtà impressionante: la terra venduta in tutto il mondo negli ultimi dieci anni ha una superficie pari a quasi 7 volte il territorio dell’Italia. Per la precisione, secondo l’International Land Coalition, 203 milioni di ettari di terreno, 106 dei quali in paesi in via di sviluppo. In questo momento nei paesi più poveri ogni 4 giorni un’area di terra più grande dell’intera città di Roma viene venduta ad investitori stranieri. Questi terreni, se fossero coltivati potrebbero dar da mangiare al miliardo di esseri umani che oggi soffrono la fame. Ma due terzi dei nuovi proprietari prevedono di esportare tutto quello che su queste terre viene e verrà prodotto. Quasi il 60% di questa terra inoltre è destinata a colture utilizzabili per i biocarburanti. Quando invece servirebbero maggiori investimenti a favore dei piccoli agricoltori..."

Quel che più mi preme, come altrove già sottolineato, è far riflettere le persone...prima di parlare e.o agire!

E' necessario, innanzi tutto, prender atto della realtà che ci circonda... che non è fatta solo di lucciole per lanterne o paillette per strascichii di passerella...ma soprattutto di sofferenza, condita di grande forza d'animo e di dignità che noi, in prima persona, non riusciremmo mai ad immaginare...neanche in un'intera vita fatta di presunti stenti o privazione di occidentale consuetudine!

Eccovi un link Video Educativo sulla realtà di ogni giorno di una comunità del continente nero e tanto di cappello a loro e per il loro sorriso sempre sinceramente percepito!


Un video probabilmente frutto di un abile montaggio... ma propositivo nei concetti in esso contenuti.
Racchiusi e solertemente propagandati...senza malizia, aggiungerei, per mio umile avviso!

Il quesito che mi pongo rimane però il seguente:

Quale valore diamo oggi alla Vita?

Il valore di un arrogante diritto...di supremazia ?
O il valore di un umile dovere...di collaborazione e di dignità personale ?
Di dignità istintivamente percepita o altrui sentita...?

E di acquiescenza verso il bene supremo...quello dell'esistenza !

L'acquiescenza è quel termine che, personalmente intendendolo, ingloba arrendevolezza e determinazione.

Nell'accettare la realtà per come ci si presenta ed al tempo stesso rendersi conto di essere determinanti per cambiarla...affinché l'equilibrio sia ristabilito in termini di condivisione, percezione  e compenetrazione!

La realtà non può essere solo ed esclusivamente ciò che ci viene imposto...ma anche e soprattutto ciò che noi intendiamo percepire e, conseguenzialmente, altrui proporre!

E se la realtà non ci aggrada, perché troppo misera...starà allora a noi intraprendere la strada, nonché la sfida, affinché questa stessa realtà cambi!

In meglio rispetto ai ns "standard"...?
In meglio rispetto ad ogni "standard"!

Probabilmente e sopra ogni altra cosa...in meglio rispetto alle necessità istintivamente ed universalmente percepite, che tradizionalmente ed antropologicamente si traducono in questioni materiali ma che più incisivamente ed intimamente si nutrono di bisogni più significativamente spirituali.

Un saluto...probabilmente sempre troppo poco,
Elmoamf

venerdì 12 ottobre 2012

LA BANCA CENTRALE PUBBLICA DELL’ARGENTINA E’ UN FARO PER LA DEMOCRAZIA NEL MONDO

E' con enorme piacere che presento qui il seguente articolo, redatto da persona che ho imparato ad apprezzare...leggendo quante seriamente aveva da dire.
Soprattutto in materia economica...ma non solo!
Di conseguenza, avendone ricevuto o almeno credo...l'assenso, procederò alla pubblicazione di uno scritto che, personalmente, merita ogni minima ed accorta attenzione.
Ne vale del ns modo d'intendere l'economia come quello d'intendere la vita e le relazioni sociali, interpersonali.
Non può esservi futuro se il ns futuro è concepito come solitudine, isolamento od emarginazione... a qualsiasi livello queste ultime possano intendersi!

Un saluto,
Elmoamf

P.S.: l'articolo è corredato dai relativi commenti, anche personalmente inseriti, questo per rendere anche più chiaro il pensiero dell'autore e di tutti i partecipanti alla lettura nonché analisi dei concetti!

Ecco a Voi di seguito quanto in oggetto richiamato:

MERCOLEDÌ 10 OTTOBRE 2012

LA BANCA CENTRALE PUBBLICA DELL’ARGENTINA E’ UN FARO PER LA DEMOCRAZIA NEL MONDO


Quando l’equipaggio di una nave si trova in mare aperto, nel mezzo di una tempesta, e di una Tempesta Perfettaper giunta, l’unica cosa che vorrebbe disperatamente scorgere all’orizzonte è la luce di un faro. La salvezza, la terraferma. In Argentina, all’estremità sud del paese, poco più a est della Terra del Fuoco, si trova una piccola isola, quasi uno scoglio in verità, dove c’è un antico faro dal nome evocativo: il Faro della Fine del Mondo. Poco più in là c’è l’Antartide, con le sue immense distese di ghiaccio, voltandosi indietro si intravedono invece le sconfinate e rigogliose praterie argentine. E in mezzo il Faro. Un luogo magnifico ai confini del mondo, che non a caso lo scrittore francese di romanzi d’avventura Jules Verne, l’autore di “Ventimila leghe sotto i mari”, ha utilizzato per ambientare uno dei suoi libri meno conosciuti: “Il faro in capo al mondo”. In effetti a partire dal 1991, il faro argentino ha perso il primato di essere quello più a sud del mondo, perché né è stato costruito uno a Capo Horn in Cile, ma rimane sicuramente il monumento più antico e famoso, che oggi più che mai rappresenta un vero spartiacque simbolico di civiltà. Una speranza per tutti i naviganti che transitano da quelle parti e sono sommersi e travolti dalle onde della Tempesta Perfetta globale, senza sapere ancora come venirne fuori e quali strumenti utilizzare per domarla.

In perfetta analogia, l’Argentina guidata dalla presidentessa Cristina Kirchner, così come il Venezuela di Chavez, l’Ecuador di Correa, la Bolivia di Evo Morales, è diventato un faro, una speranza per quei popoli del mondo, dall’Europa alla Cina passando per gli Stati Uniti, che oggi aspirano a ripristinare un regime democratico al servizio dei cittadini e dei diritti umani, dopo essere stati soppressi e repressi dall’occupazione quasi militare dei tecnocrati, dei faccendieri, dei politicanti, degli elefantiaci apparati dirigisti che lavorano alacremente soltanto per tutelare gli interessi delle lobbies finanziarie, dei comitati d’affari, delle corporazioni multinazionali. Un abisso di distanza in termini di cammino evolutivo della civiltà, che è ancora più accentuato dal fatto che la censura della propaganda di regime dilagante in Europa impedisce a noi cittadini di sapere cosa stia accadendo esattamente in Sudamerica, visto che gli organi di informazione su ordine preciso dei loro potenti committenti hanno completamente tagliato fuori dai circuiti della stampa e della televisione le notizie provenienti da quei paesi. Senza andare troppo per il sottile, il continente sudamericano è stato letteralmente cancellato dalle carte geografiche del mondo, perché i cittadini lobotomizzati e teleguidati d’Europa e degli Stati Uniti non devono sapere nulla dei cambiamenti che stanno avvenendo laggiù. I drastici mutamenti di paradigma rispetto al dogmatismo medievale dell’Occidente, con il loro cattivo esempio, potrebbero infatti spezzare di colpo la catena psicologica su cui si fonda gran parte dell’egemonia totalitarista che ci governa: TINA, There Is No Alternative, non c’è nessuna alternativa alla tecnocrazia neoliberista, si fa come dicono loro e basta. E invece, al pari di ogni altra questione che coinvolge la vita umana, l’alternativa c’è, eccome se c’è. E si chiama Argentina.

La storia della crisi e successiva rinascita dell’Argentina è abbastanza nota e per certi versi, soprattutto nelle caratteristiche della fase di declino, molto simile a ciò che sta accedendo oggi nell’eurozona. Con il pretesto di creare maggiore stabilità nei rapporti commerciali con l’estero e in particolare con gli Stati Uniti, nel 1991 il governo Menem decide di ancorare il cambio del peso al dollaro, con una scellerata parità fissa di 1:1 che ovviamente apprezzava troppo la moneta argentina rispetto alla valuta statunitense. Il risultato è stato che per un certo periodo di tempo per gli argentini è stato molto conveniente importare prodotti dall’estero prezzati in dollari e questo eccessivo ricorso alle importazioni ha creato un deficit permanente nella bilancia commerciale, che è stato inizialmente compensato dal notevole afflusso di capitali e investimenti esteri. Sull’onda di questa maggiore fiducia e apertura del governo alle imprese straniere, le multinazionali americane ed europee strapparono facilmente diverse concessioni per gestire i servizi essenziali un tempo pubblici, dagli acquedotti all’energia, dall’industria estrattiva e mineraria alle telecomunicazioni, esportando i profitti in patria, lontano dall’Argentina, e ponendo le basi per un maggiore indebitamento estero del paese. Sia i titoli finanziari privati che quelli pubblici argentini, i famigerati Tango Bonds, venivano piazzati in tutto il mondo assicurando alti rendimenti agli investitori e fornendo un’illusoria parvenza di stabilità economica del paese. Si trattava però di un equilibrio molto precario e sono bastati gli effetti di contagio della crisi delle borse asiatiche del 1997 per mettere in ginocchio il paese e svelare al mondo la reale insostenibilità del suo straordinario sviluppo economico.

I capitali esteri sui quali si fondava il sostanziale equilibrio contabile della bilancia dei pagamenti cominciano afuggire dal paese, gli investitori più accorti vendono in fretta i titoli argentini per limitare le perdite e il governo si vede costretto a bruciare notevoli quantità di riserve di moneta estera per mettere in condizione i debitori di rimborsare i debiti contratti, ad imporre riforme di austerità per rastrellare liquidità dal basso e ad aumentare itassi di interesse a livelli non più credibili, per favorire l’arrivo di nuovi capitali dall’estero. Questo circolo viziosodura fino a dicembre del 2001 quando, sulla spinta delle proteste popolari, il governo decide di dichiararedefault sul debito estero denominato in dollari, che ammontava a circa $95 miliardi, e i suoi maggiori rappresentanti sono costretti a scappare in elicottero dal paese per evitare il linciaggio. 

Da quel momento in poi si apre una pagina del tutto nuova nella storia dell’Argentina. Nel maggio 2003, dopo la parentesi della presidenza di Eduardo Duhalde durata due anni, viene eletto a capo del paese Nestor Kirchner, che comincia fin da subito un lungo braccio di ferro con il Fondo Monetario Internazionale per rinegoziare lecondizioni di rimborso del debito: l’Argentina vuole ripagare i debiti ma secondo le sue modalità e i suoi tempi e non accettando passivamente le severe scadenze imposte dai creditori. In secondo luogo, con un piano progressivo di ristrutturazione il governo argentino si riappropria della gestione dei servizi pubblici essenziali, estromettendo le multinazionali, per consentire innanzitutto un maggior controllo sui prezzi di erogazione, e questo atteggiamento contrario agli interessi privati dei grandi colossi internazionali inasprisce i rapporti con il FMI, che delle loro logiche predatorie e parassitarie è il tutore a livello globale. A peggiorare ancora di più la situazione, Kirchner avvia politiche sociali per ridurre la povertà e la disoccupazione, cosa anche questa che fa infuriare il FMI, che proprio sulle ampie sacche di povertà e disoccupazione prodotte dalle sue stesse ricette di austerità crea i presupposti per fornire manovalanza a buon mercato per le multinazionali.

Mentre continua senza sosta il duello frontale a distanza fra governo argentino e FMI, la rapida svalutazione delpeso rispetto al dollaro seguita al default, che si aggira intorno al 200% con un rapporto di cambio ora più realistico e aderente alle esigenze dell’economia argentina di circa 3 pesos per un dollaro, fornisce intanto undoppio beneficio per la bilancia commerciale del paese: da un lato favorisce le esportazioni e dall’altro rende più costose le importazioni, a tutto vantaggio delle produzioni locali. Lentamente l’Argentina riesce a rimettere ordine nei suoi conti disastrati, anche se bisogna subito sottolineare, come già evidenziato in uno splendido articolo pubblicato sul blog Voci dall’Estero, che non è affatto basata sulle esportazioni la grande ripresa economica dell’Argentina, la quale dura inarrestabilmente dal 2° trimestre del 2002 fino ad oggi. Durante ilperiodo che va dal 2002 al 2011, lo stesso FMI certifica una crescita cumulata del PIL argentino del 94%, che equivale esattamente ad una straordinaria media annua del 9,4% (al pari se non più della stessa Cina), mentre il contributo delle esportazioni sul PIL cumulato nella fase più forte di espansione (2002-2008) si limita ad un modesto 7,6%, cioè solo il 12% del totale. Troppo poco per essere un fattore realmente decisivo e determinante. Se esaminiamo il grafico sotto possiamo in effetti notare che le esportazioni sono cresciute in valore, ma in relazione al ritmo travolgente di aumento del PIL l’apporto dell’export è diventato sempre più marginale e decrescente e se consideriamo infine il saldo netto fra export ed import avremo addirittura un risultato negativo (importazioni di poco superiori alle esportazioni).


Ciò significa che la violenta accelerazione del PIL argentino è dovuta evidentemente ad altri fattori e in particolar modo proprio ai due elementi che vengono sempre ignorati nei programmi di “austerità espansiva” (un imbarazzante e assurdo ossimoro che circola impunemente nei messaggi rassicuranti della propaganda asservita, perché come stiamo sperimentando sulla nostra pelle, nel mondo reale non ci può essere mai crescita economica quando si tagliano le spese e si aumentano le tasse) promossi in Europa, negli Stati Uniti e nel mondo dalle orde oscurantiste e dogmatiche di neoliberisti al governo: l’aumento dei consumi e degli investimenti interni (rispettivamente il 45,4% e il 26,4% del totale). Entrambi questi obiettivi sono i più abbordabili da raggiungere per un governo che ha piena disponibilità della sua moneta e di tutte le leve di politica economica, a dimostrazione ancora del fatto che per avvicinare traguardi importanti e ambiziosi spesso bisogna seguire le vie più semplici e dirette, senza complicarsi la vita con gli inutili e pretestuosi tecnicismi inventati di sana piana per confondere le acque e i malsani suggerimenti di cattedratici ampollosi, arroganti, autoreferenziali, corrotti e distanti anni luce dalla realtà della vita quotidiana e dalle esigenze materiali di milioni di individui. Se vuoi aumentare i livelli di spesa, la crescita economica di un paese, devi mettere in condizione cittadini e aziende di spendere e di investire. Chi non capisce questo semplice concetto o è stupido o è stato pagato a sufficienza per far finta di essere stupido.

Ma come si è potuta ottenere in Argentina un’esplosione così travolgente e rapida di tali fattori? Semplice, lo Stato argentino, sotto la guida di Nestor Kirchner prima e della moglie Cristina Fernandez a partire dal 2006, ha ricominciato ad attuare normalissime politiche economiche attive a sostegno della popolazione senza trincerarsi più dietro il vile arretramento imposto dalle cure indigeste del FMI e soci. Un esempio evidente è il programma di inserimento “Jefes de Hogar” (Capi Famiglia), tramite il quale sono stati messi a lavorare nel settore pubblico, in impieghi socialmente utili e spesso part-time, ben 2 milioni di disoccupati in un solo anno(il 13% della forza lavoro attiva), che dall’assenza di mezzi monetari hanno adesso un salario minimo garantito con cui potere soddisfare i bisogni primari del proprio nucleo familiare e programmare gli investimenti futuri. Il governo argentino ha poi direttamente organizzato progetti a livello federale, statale e locale e tra questi: grandi investimenti infrastrutturali e iniziative di riciclaggio, progetti di irrigazione e rinnovamento del suolo, assistenza sanitaria e centri diurni, pasti e rifugi per i senzatetto, biblioteche pubbliche e programmi ricreativi, agricoltura di sussistenza e programmi di assistenza agli anziani, centri contro la violenza in famiglia, e molte altre attività sociali. I posti di lavoro così creati nel settore pubblico non solo hanno prodotto reddito, occupazione, rilancio dei consumi e dell'attività produttiva, ma anche qualificazione, istruzione e formazione per tutti i partecipanti, credenziali queste che possono essere rivendute in futuro anche nel settore privato.


Ma come ha potuto il governo argentino finanziare tutte queste attività? Anche in questo caso la risposta è abbastanza semplice: la banca centrale, il Banco Central de la Republica Argentina, ha rinunciato al dogma inutile e controproducente dell’autonomia e indipendenza e si è messa al servizio del governo argentino, finanziando la sua spesa pubblica tramite emissioni di nuova base monetaria (riserve bancarie elettroniche, banconote, monete metalliche). Analizzando i contributi netti al PIL cumulato nel periodo 2002-2011, avremo così che la spesa pubblica si aggira intorno alla considerevole quota del 35%: una cifra importante ma in verità molto inferiore rispetto per esempio alla spesa pubblica annuale in Italia, che supera spesso il 50% del PIL complessivo della nazione. Tuttavia, essendo stata convogliata verso finalità utili e redditizie e avendo messo soprattutto nuovi mezzi monetari nelle mani di chi per ovvi motivi ha più tendenza a spendere e consumare rispetto alla sterile tesaurizzazione precauzionale dei risparmi, la spesa pubblica argentina ha subito prodotto effetti positivi di espansione economica a tutti i livelli.

Da notare anche che l’Argentina non si è volontariamente ingabbiata in frustranti vincoli di pareggio di bilancio, potendo quindi modulare il regime di tassazione progressiva e indiretta in base a quelle che sono le reali esigenze di contenimento dell’inflazione e mantenimento nel tempo del potere di acquisto del peso. In Italia invece non solo la spesa pubblica è sproporzionata e spesso inefficiente, ma i cittadini e le aziende sono pure gravati da un prelievo fiscale tra i più alti del mondo, che annulla sul nascere qualsiasi tentativo di mettere in atto politiche espansive. Mentre in Argentina si creano soldi dal nulla e questi soldi vengono spesi nell'economia reale, in Italia si prendono in prestito soldi dai mercati finanziari da spendere spesso in modo dissennato e a vantaggio di una ristretta casta di privilegiati e questi soldi più gli interessi devono essere poi prelevati dalle tasche dei comuni cittadini, dei lavoratori e delle aziende, con tutte le nefaste e inesorabili conseguenze che ciò comporta in termini di riduzione dei consumi e degli investimenti. Preso atto di queste circostanze più politiche che strettamente tecniche e della scelta suicida di sottostare ai mercati finanziari, non esiste allora alcun motivo per stupirsi o meravigliarsi se in Argentina l’economia continua a crescere mentre in Italia siamo in profonda recessione. E così strano che scelte tanto distanti fatte a monte dai rispettivi governi si riflettano poi a valle in effetti altrettanto divergenti e contrastanti? Non dovrebbe essere la semplice matematica a suggerirci che sarebbe andata a finire così?

Fra l’altro il sostegno della banca centrale argentina non si limita soltanto al finanziamento dei piani di spesa pubblica del governo, ma anche ai programmi di ristrutturazione dell’intero sistema economico nazionale, avendo l’istituto appoggiato le iniziative di nazionalizzazione del settore pensionistico (niente di eccessivamente anormale o sconvolgente perché anche in Italia o in Germania gli enti di previdenza, l’INPS e il Deutsche Rentenversicherung, sono pubblici e nessuno hai mai gridato allo scandalo, accusandoci di statalismo) e delle maggiori imprese di estrazione petrolifera, come nel caso della YPF che prima era in mano alla spagnola Repsol. Queste operazioni del governo argentino sono state necessarie non solo per garantire ai cittadini l’erogazione dei servizi essenziali e la proprietà pubblica delle risorse strategiche, ma anche e soprattutto per difendersi dall’ostilità dei mercati finanziari e dal mancato afflusso di capitali esteri: se i profitti delle multinazionali straniere della finanza e del petrolio se ne vanno all’estero e contemporaneamente nessuno porta nuovi capitali, è chiaro che in assenza di queste drastiche scelte di riappropriazione a tappe forzate delle primarie risorse finanziarie e naturali, l’Argentina sarebbe stata stretta in breve tempo in una nuova morsa dell’indebitamento estero. A parte che bisogna ancora capire cosa ci sia di tanto immorale e sacrilego (agli occhi dei funzionari del FMI e degli squali di Wall Street naturalmente, non dei nostri) nel garantire ai cittadini di uno stato democratico e civile la continuità di erogazione della pensione, dell’elettricità, del gas, del carburante, visto che le privatizzazioni hanno storicamente arrecato più abusi, inefficienze e rendite di posizione, che reali vantaggi per i consumatori. E poi, non è umanamente più giusto e razionale che i profitti ricavati dalle risorse naturali di un territorio vengano redistribuiti tra i cittadini di quel paese, invece di arricchire i forzieri di pochi soggetti privati e persino stranieri?

Domande davvero ingombranti e improrogabili, a cui l’Argentina ha già risposto con fermezza, mentre i nostri governanti farlocchi e mercenari si ostinano ad abbozzare risposte approssimative e balbettanti, non più accettabili come chiusura definitiva e conclusiva del discorso. Si tratta dunque di quel radicale cambio storico di paradigma di cui abbiamo accennato all’inizio, che l’Argentina sta perseguendo con coraggio e determinazione e ha già messo in crisi parecchie volte le vecchie e sclerotizzate plutocrazie occidentali, che ancora hanno in patria la necessaria forza politica e finanziaria per tenere sotto scacco interi governi, sindacati, mezzi di informazione, opinione pubblica. Ma probabilmente il ribaltamento più interessante e rivoluzionario riguarda appunto lo stesso ruolo della banca centrale, che in Occidente riveste obblighi di tutela degli interessi privati e di stabilità dei prezzi, mentre in Argentina ha più decisamente intrapreso la strada della lotta alla disoccupazione e alla povertà, del sostegno all’economia reale, della stabilità finanziaria nel suo complesso, di cui il contenimento dell’inflazione rappresenta solo un tassello importante ma non prioritario. E i risultati raggiunti sembrano fino ad oggi premiare tutte le scelte fatte dalla banca centrale argentina perché la disoccupazione è scesa dal devastante 54% del 2001 all’8,3% (meno di Italia e Stati Uniti, e nulla in confronto ai livelli occupazionali e ai disagi sociali di Spagna e Grecia), il salario minimo garantito è cresciuto di ben otto volte, il PIL è in continua ascesa, il debito pubblico è diminuito dal 166% al 48%, gli interessi sul debito sono passati dal 21,9% al 6% del bilancio, il tasso di povertà è crollato dal 45% al 14%, con la povertà estrema ben inferiore al 7% (vedi grafico sotto). Dati entusiasmanti che fanno impallidire gli inqualificabili governi del rigore e dell’austerità disseminati in tutta Europa, in cui questi indici di prestazione economica e sociale sono tutti inesorabilmente e drammaticamente in caduta libera.

L’unica vera incognita in questa carrellata di successi di politica economica è il dato sull’inflazione che secondo fonti governative sarebbe intorno al 10% annuo, mentre secondo i calcoli degli analisti del FMI avrebbe già sforato il 25%. Ed è proprio su questa interminabile diatriba riguardo ai tassi di inflazione e di crescita che è natol’acceso scontro al vertice fra le due Cristine (descritto magistralmente dal grande Sergio di Cori Modigliani sul blog Libero Pensiero). La battagliera presidentessa argentina risponde colpo su colpo all’algida e inflessibile direttrice del FMI Christine Lagarde, che proprio in questi giorni ha estratto il primo cartellino giallo nei confronti dell’Argentina in attesa di ricevere dati economici più affidabili entro dicembre, ottenendo in tutta risposta la pronta replica di Cristina Kirchner: "il mio paese non è una squadra di calcio. È un paese sovrano e, come tale, non ha intenzione di accettare una minaccia". La situazione insomma è abbastanza compromessa e surriscaldata, ma in questa contesa cruciale per il destino e il significato stesso della sovranità democraticadi una nazione, l’Argentina per nostra fortuna non intende arretrare di un passo, potendo contare sull’appoggio degli altri paesi sudamericani alleati e facendo da apripista per tutti quegli stati non più sovrani che vorrebbero magari in un prossimo futuro svincolarsi dalla stretta mortale del FMI e dell’Unione Europea (sono la stessa cosa, perché uno è il corollario dell’altra e viceversa), come la Grecia, la Spagna e la stessa Italia. In effetti, numeri alla mano, basterebbe solo mettersi d’accordo su quali beni e servizi considerare all’interno del paniere come base di calcolo dell’inflazione e il discorso sarebbe chiuso univocamente, anche se rimarrebbe ancora aperta la questione dell’aumento fittizio dei prezzi di alcuni prodotti agricoli ed alimentari dovuto alla speculazione finanziaria e alle scommesse sui derivati future. 

Fra l’altro, come ha già dimostrato l’ottimo Giovanni Zibordi sul sito Cobraf, si potrebbe procedere anche ad uncalcolo indiretto dell’inflazione tramite il tasso di cambio delle valute nazionali in un regime di cambi flessibili, dato che tale rapporto riflette più o meno i livelli relativi dei prezzi interni ai due paesi presi in esame. A parte infatti le compravendite di moneta che avvengono a titolo puramente speculativo sui mercati valutari, un residente di un paese cambia la sua valuta in una valuta estera solo quando deve comprare dei prodotti da importare da quel dato paese e quindi lo stesso tasso di cambio delle due divise si allineerà in un certo senso al prezzo dei prodotti che verranno scambiati nei flussi incrociati fra i due paesi: più alto sarà il differenziale di inflazione del primo paese rispetto al secondo e maggiore sarà la svalutazione della sua moneta rispetto alla moneta del secondo paese, perché a parità di volumi di merci scambiate sarà più elevata l’offerta di moneta del paese più inflativo rispetto a quella del paese meno inflativo. Utilizzando questo semplice meccanismo, se confrontiamo il valore iniziale di cambio nel 2002 di 3 pesos per 1 dollaro con quello attuale di 4,7 pesos per un 1 dollaro avremo una svalutazione complessiva del peso del 56% rispetto al dollaro, e ricavando nel periodo considerato un’inflazione media negli Stati Uniti pari al 2,5%, avremo che l’inflazione media annua in Argentina in questi ultimi dieci anni sarebbe stata intorno all’8,1%, ben lontana dai picchi del 25% annui stimati dal FMI. Questo è lo stesso motivo per cui oggi possiamo dire con pochi margini di errore che l’uscita dall’euro della Grecia comporterebbe una svalutazione del 70% della nuova dracma nei confronti dell’euro, perché la somma dei suoi differenziali di inflazione rispetto alla media europea porterebbe a questo risultato. Mentre per la medesima ragione, a prescindere dai numeri catastrofici e dagli allarmismi ingiustificati sparsi a caso dalla propaganda per terrorizzare la gente, la svalutazione della lira sarebbe intorno al 20%. I numeri non sbagliano, mentre le voci di popolo sono e rimarranno sempre voci di popolo.

Ma a parte i semplici strumenti analitici dell’economia che porterebbero a smontare la tesi del FMI e tralasciando per il momento il fatto che questi conteggi manterrebbero sempre un certo grado di approssimazione per la solita storia della differenza sostanziale di calcolo dell’inflazione negli Stati Uniti e in Argentina, la faccenda è più prettamente politica, morale, filosofica che tecnica. Quello che l’Argentina sta cercando di dimostrare al mondo intero è che l’inflazione non può essere considerato l’unico parametro di valutazione dello stato di salute e benessere di un paese, perché ne esistono molti altri, primi fra tutti i dati sull’occupazione e la povertà, e su questo versante non ci sono dubbi che l’Argentina sia un paese virtuoso perché sta utilizzando tutti gli strumenti fiscali e monetari a disposizione nel solo interesse del bene del suo popolo. Mentre al contrario, l’Europa con la sua maniacale e ossessiva fissazione sul dogma della bassa inflazione di derivazione monetarista e neoliberista, sta portando alla deriva la stabilità sociale, inasprendo i conflitti ecreando immense sacche inferocite di disoccupati e nuovi poveri. 

Per capire meglio questo concetto, sarebbe opportuno rileggere con molta attenzione le parole del giovane economista argentino Ivan Heyn, morto suicida in un albergo a Montevideo a dicembre scorso in circostanze sospette, dopo aver partecipato “guarda caso” ad un turbolento incontro con i funzionari del FMI: “Che cosa me ne importa a me di avere un’inflazione al 3% come avete voi in Europa essendo infelici tutti, se io posso dare felicità alla mia nazione con un’inflazione al 30%? Lo so da me che va abbassata, ho studiato economia anch’io. Lo faremo. Ma lo faremo soltanto quando ci saremo ripresi tutti. Non prima. La felicità ha valore soltanto se può essere condivisa collettivamente, è una teoria economica, questa, e mi meraviglio che lei che viene dal Primo Mondo non lo sappia. La felicità per pochi privilegiati, non è vera felicità, è avidità bulimica. E’ un peccato mortale. Lo sa anche il papa. E noi siamo cattolici” (riferimento tratto sempre dal blog di Sergio di Cori Modigliani, che conosce molto bene come vanno realmente le cose in Argentina avendoci vissuto per parecchi anni). Una dichiarazione molto simile per certi versi agli illuminanti e memorabili discorsi dell’indimenticato presidente partigiano Sandro Pertini, quando diceva che un popolo povero, affamato, poco istruito, privo di giustizia sociale non può essere libero e la libertà è il maggiore valore fondante di una democrazia.


E’ chiaro che in una fase di crescita economica tumultuosa come questa, il dato secco dell’inflazione passa in secondo piano rispetto ai parametri da cui può eventualmente scaturire un’impennata improvvisa dell’inflazione, che malgrado tutti i tentativi diffamatori e lesivi in Argentina non c’è ancora stata: livello di piena occupazione, saturazione della capacità produttiva,politiche salariali troppo espansive, aumento delladomanda aggregata non più corrisposto da un contemporaneo aumento dell’offerta aggregata, mancanza di controllo sui prezzi, squilibri permanenti nelle partite correnti con l’estero. Siccome l’Argentina è ancora ben lontana dal raggiungimento di questi traguardi o fenomeni tipici della fase finale di un ciclo economico, ecco che il problema dell’inflazione per tutti i funzionari del governo e della banca centrale è in realtà un falso problema. E la grintosa governatrice del Banco Central Mercedes Marco del Pont (foto sopra: ogni paese ha le donne di potere che si merita, noi purtroppo abbiamo la Bindi, la Santanchè, la Tarantola e la Fornero) può orgogliosamente dichiarare che approvando ad aprile scorso la nuova Carta Organica, l’istituto sarà legato a doppio filo con le politiche del governo rinunciando alla pretesa di autonomia che non porta a nulla, tranne alla deflazione e recessione perenne. E secondo il nuovo statuto la missione primaria e fondamentale della banca centrale argentina non sarà soltanto “preservare il valore della moneta ma includerà anche lo sviluppo economico con giustizia ed equità sociale, l’occupazione e la stabilità finanziaria”. Un vero schiaffo di sfida nei confronti di tutti i principi antidemocratici e i valori antiumani su cui si è fondata nel tempo la supremazia schiacciante e scriteriata della finanza rispetto alle istanze razionali ed etiche degli stati ancora sovrani di gestire l’economia in modo sostenibile e solidale:

  1. Lo sviluppo economico non piace alla finanza, perché quando i redditi si espandono, gli affari vanno bene, i debitori pagano i creditori, è difficile mettere in atto strategie di espropriazione di ricchezza ed estrazione di valore dal basso verso l’alto.
  2. La giustizia e l’equità sociale è una vera bestemmia per la finanza, che ha costruito le sue fortune sulla più diseguale redistribuzione e concentrazione di ricchezze nelle mani di pochi oligarchi che il mondo abbia mai conosciuto.
  3. L’occupazione non è mai stato un reale obiettivo della finanza, visto che, a parte gli istantanei guadagni speculativi sulle aspettative e sui dati forniti periodicamente dal governo, produce una maggiore spinta al rialzo dei salari dei lavoratori e minori rendimenti e profitti per gli investitori.
  4. La stabilità finanziaria non è mai stata una condizione propizia per chi vive di rendita e di speculazione, dato che riduce la volatilità dei titoli e la possibilità di fare grandi profitti in poco tempo.

Non ci stupisce quindi tutta questa ostilità nei confronti dell’Argentina, sospinta e sobillata dagli ambienti che contano di Wall Street, della City di Londra, di Berlino, di Parigi, di Hong Kong, di Tokyo. Una carta di intenti di questo tipo avrà fatto sussultare sulla sedia migliaia di manager e dirigenti di grandi gruppi finanziari, che credono ancora per abitudine e convenienza che la banca centrale sia soltanto un ente privato al loro servizio, il cui unico scopo sia quello di fornire quantità illimitate di liquidità a comando e di mantenere nel contempo un alto valore e potere di acquisto degli immensi patrimoni accumulati. Un’istituzione chiusa e relegata al solo settore bancario e finanziario, come un vero e proprio Fortino Militarizzato di Ricchezze, che ha l’obbligo categorico di frenare qualunque assalto della società civile, dello Stato e della cosiddetta economia reale, ogni volta che questi ultimi rivendicano il sacrosanto diritto di avere i mezzi di pagamento necessari per un corretto funzionamento dei flussi commerciali e una migliore redistribuzione delle risorse finanziarie.

Non a caso le riviste patinate più vicine al mondo finanziario hanno subito inserito la governatrice argentina Del Pont nella lista dei 10 peggiori banchieri centrali del mondo, basandosi evidentemente soltanto su preconcetti, pregiudizi o semplice antipatia personale perché in verità dati reali che confermino inconfutabilmente l’incompetenza e inefficienza della funzionaria ancora non ne esistono. La solita accusa meccanica e infondata che l’eccessivo ricorso alla creazione di nuova base monetaria, volgarmente chiamata “stampa di moneta”, porterà prima o dopo all’iperinflazione della Repubblica di Weimar o dello Zimbabwe dimostra invece una totale ignoranza dei meccanismi moderni di circolazione della stessa base monetaria (formata per il 97% da riserve bancarie elettroniche e solo per il restante 3% da banconote e monete metalliche), che è praticamentetutta interna al circuito interbancario, emergendo in superficie soltanto quando le banche concedono prestitiai clienti o i clienti stessi prelevano allo sportello questi soldi virtuali ottenendo in cambio banconote. Solo così le famose banconote, che passando rapidamente di mano in mano farebbero aumentare la velocità di circolazione del denaro e innalzare di conseguenza l’indice dei prezzi al consumo, avrebbero un reale effetto inflativo, mentre in caso contrario l’unico modo in cui un banchiere centrale potrebbe assumersi la diretta responsabilità di aumentare la quantità di moneta circolante e produrre inflazione è quello di lanciare banconote da un elicottero. Con buona pace di tutti gli incalliti e retrogradi monetaristi, neoliberisti, devoti della sacralità dell’autonomia, della bassa inflazione e della rarefazione monetaria, il sistema monetario moderno funziona così e prima o dopo dovranno farsene una ragione. E’ l’inflazione a trainare la maggiore offerta di moneta da parte della banca centrale e non viceversa, così come è sempre l’inflazione ad influenzare in prima battuta la svalutazione della moneta e non viceversa (in seconda e terza battuta rientrano invece gli squilibri delle partite correnti con l’estero e le compravendite di moneta sui mercati valutari).

L’esperienza del Canada, che ha una banca centrale simile a quella argentina autorizzata a supportare direttamente il governo e a partecipare alle aste primarie di collocamento dei titoli di stato (come accadeva in Italia prima del divorzio fra Ministero del Tesoro e Banca d'Italia del 1981), è abbastanza emblematica: malgrado la banca centrale abbia da sempre “stampato” moneta in accordo con il governo, in Canada, dal dopoguerra ad oggi, non abbiamo mai assistito a fenomeni iperinflazionistici. In sistemi invece meno solidali nella collaborazione con i governi e più orientati a foraggiare illimitatamente i circuiti bancari privati, come quello degliStati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, le rispettive banche centrali hanno allagato il mercato interbancario conimmense iniezioni di liquidità, attraverso le cosiddette operazioni di quantitative easing, senza che questo diluvio abbia aumentato di un centesimo di punto percentuale l’inflazione percepita. Una simile circostanza è giustificata dalla semplice considerazione che queste quantità incalcolabili di riserve bancarie elettroniche sono appunto riserve e a parte l'irrisoria percentuale di richieste di conversione in banconote circolanti da parte dei clienti delle banche, il loro destino è già segnato: vengono custodite gelosamente nei conti di deposito dei singoli istituti presso la banca centrale in qualità di asset infinitamente negoziabile e liquido, trasferite senza sosta da un conto all’altro in cambio di titoli, utilizzate per compensare i pagamenti incrociati fra una banca e l’altra, senza mai vedere la luce del sole. 

L’unico modo, ripetiamo, per aumentare la massa di moneta circolante, ovvero i nostri depositi bancari e le banconote, è una maggiore attività creditizia delle banche commerciali, che come sappiamo può avvenire solo quando esiste una reale domanda di prestiti del mercato, sono verificate le garanzie fornite e i parametri di rischio del debitore, sono rispettati i requisiti patrimoniali della banca come richiesto dagli accordi bancari internazionali di Basilea. E sappiamo purtroppo per esperienza che quando l’attività creditizia delle banche è fuori controllo (boom), non solo ci sono rischi incombenti di inflazione (magari limitati ad un solo settore, come quello immobiliare), ma anche reali possibilità di nascita di bolle speculative che coinvolgono a cascata tutti gli altri settori, gli altri paesi fino a creare le premesse di interminabili crisi finanziarie globali. Così come sappiamo che quando l’attività creditizia si riduce drasticamente (crunch), la scarsità di moneta circolante che ne deriva può creare disastrosi effetti di deflazione dei prezzi, dei salari e depressione di un’intera economia. Gli enti governativi di vigilanza, in perfetta sintonia con le politiche monetarie di controllo dei tassi di interessi della banca centrale, dovrebbero essere efficienti e tempestivi abbastanza per mantenere un dosaggio equilibrato e stabile dell'attività creditizia, intervenendo direttamente solo in caso di evidenti deviazioni sia nell'uno che nell'altro verso. 

L’Argentina quindi, alla faccia di tutti i suoi detrattori, parte avvantaggiata sul versante della prevenzione dell’inflazione (e deflazione) anche per questo motivo: ha un settore bancario molto ridotto e in gran parte nazionalizzato, un’attività creditizia scarsa e frammentaria, un controllo di vigilanza molto preciso e puntuale da parte della sua banca centrale. Con queste premesse, è difficile che ci possano essere nell'immediato aumenti imprevisti di moneta circolante, eccessi di debito privato e quindi eventuali pericoli di inflazione, che non siano direttamente collegabili alla sola spesa pubblica dello stato, ed è forse questo ilmaggiore fattore che ha determinato il successo economico dell’Argentina: non la statalizzazione massiccia, ma la concentrazione dei flussi finanziari all’interno di canali molto esegui, visibili e facilmente controllabili. Al contrario di ciò che accade in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone, non esistono in Argentina grandi gruppi finanziari e gigantesche corporazioni predatorie, fondi pensioni privati, banche ombre (shadow banks), banche d’affari, banche d’investimento specializzate in strumenti derivati, che possono soggiogare lo stato, orientare le scelte politiche e reprimere a loro vantaggio le richieste dell’economia reale sempre più allo sbando. Come dimostrato in un recente studio dal titolo già di per se molto eloquente “Too much finance?”, scritto da tre importanti economisti, tra cui l’italiano Ugo Panizza, per conto dello stesso FMI, non esiste uncollegamento diretto fra le dimensioni del settore finanziario e la crescita economica di un paese, anzi i dati dimostrano che aree con imprese finanziarie molto sviluppate, aggregate e ramificate spesso soffrono di prolungati periodi di recessione, mentre regioni in cui il settore finanziario è trascurabile, limitato e controllato sono protagoniste di altrettanti fasi di espansione economica. Un'evidenza empirica che ancora una volta da ragione alle scelte intraprese dall’Argentina e dovrebbe mettere in guardia tutti i ministeri dell’economia e delle finanze, gli enti di vigilanza e le banche centrali sparse nel mondo.

L’unico serio rischio che corre l’Argentina è quello dell’isolamento, promosso dallo stesso FMI e dal boicottaggio delle nazioni neoliberiste europee, asiatiche, americane, che a lungo termine può compromettere la stabilità dei conti esteri. Ma anche qui la combattività del governo e della banca centrale, ispirata forse dal temperamento delle due donne al comando, non mostra segni di cedimento e in questi ultimi anni l’Argentina ha addirittura raddoppiato le sue riserve monetarie in valuta estera, che saranno utili per difendere o allentare in via preventiva la forza di cambio della valuta nazionale in caso di attacchi speculativi e per evitare ulteriori fughe di capitali all’estero, dovute principalmente ai timori di eccessiva fragilità della divisa nazionale. Considerando l’attuale situazione di equilibrio delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, l’Argentina può dormire ancora sonni tranquilli, anche se prima o dopo parte delle sue riserve valutarie dovranno essere destinate al pagamento delle rate del debito estero congelato alle fasi immediatamente successive la dichiarazione di default del 2001.

Nonostante però tutte le cupe previsioni di crollo imminente, l’ultimo avviso ai naviganti potrebbe essere questo: non abbiate paura, panico, timore di osare, di capire, il Faro argentino rimane sempre lì, invisibile soltanto agli occhi di chi non lo vuole vedere. E un giorno non tanto lontano, se non verremo sospinti dalla tempesta sulle terre gelide dell’Antartide, è possibile che la sua luce intensissima indichi la via agli sparuti naufraghi dell’Occidente e a tutti coloro che sono ancora accecati dai bagliori fatui della propaganda di regime. In fondo, come dicono i Maya, il Giorno della Fine del Mondo si sta avvicinando a grandi passi e per evitare strane sorprese, sarebbe meglio prepararsi per tempo, prendendo spunto da chi è già in salvo e al sicuro. 

Pubblicato da PIERO VALERIO sul sito di cui alla successiva Fonte.


Commenti all'articolo in originale ed alla data odierna:

11 commenti:

Cyrano10 ottobre 2012 20:58

Io tendo sempre a distinguere l'inflazione (intesa come espansione della massa monetaria) dall'aumento dei prezzi.
Non è però vero che sia l'aumento dei prezzi a trainare l'inflazione, come si evince benissimo nello studio per esempio delle grandi "Crisi cicliche di sovraproduzione" dell'epoca industriale fino al 1929.
Fisher, Barnes ed Allais hanno chiarito in maniera esmeplare il processo: quando le prospettive di crescita di un mercato sono buone, le banche inflazionano senza ritegno (in base ai meccanismi ben noti di copertura frazionaria dei depositi) e questo in realtà fa aumentare il debito privato più velocemente del potere d'acquisto generale. Questo perchè l'inflazione tende a spostare una parte del peso del debito da chi lo ha contratto ai consumatori, attraverso la pressione al rialzo sui prezzi che genera (che ovviamente non è causata esclusivamente dalla diluizione del valore dell'unità di conto della moneta).
Indi, prima o poi, si raggiunge un moneto di eccesso d'indebitamento che porta a default a catena, stretta bancaria sul credito e quindi effetti deflattivi notevoli (recessione o stagflazione, dipende).
Questo irrazionale sistema monetario è quello che induce molti a ritenere che il credito debba essere separato dall'emissione di moneta.
Detto questo, la presidenta ha fatto benissimo a fare quello che ha fatto.


Che l'inflazione sia una questione molto complessa, difficile da banalizzare e semplificare, su questo non c'è dubbio, quindi nessuno può permettersi di dire di avere in pugno la verità rivelata e la soluzione di tutti i problemi, ma quantomeno, come hai fatto giustamente notare tu, bisognerebbe innanzitutto mettersi d'accordo sulle definizioni, in modo da evitare a monte incomprensioni e fraintendimenti...
Io intendo con il termine inflazione solo il fenomeno "reale" (non monetario) di aumento tendenziale dei prezzi al consumo, misurato sulla base di un paniere di beni e servizi rappresentativo...l'espansione della massa monetaria per me rimane l'espansione della massa monetaria, anche perchè bisognerebbe spiegare cosa si intende per "massa monetaria": cos'è? La base monetaria creata dalla banca centrale? I depositi creati dalle banche commerciali? I titoli a breve a termine? I derivati? 
Capisci bene che sono cose molto differenti...io ho detto che l'inflazione traina l'aumento dell'offerta della base monetaria della banca centrale, non l'offerta di prestiti e di depositi che è sempre pilotata in ultima istanza dalle banche commerciali, che hanno queste sì reale impatto sull'inflazione potendo gestire l'aumento della moneta circolante, che a parità di velocità di circolazione e capacità produttiva, può avere ovviamente un impatto sull'aumento dei prezzi (la teoria quantitativa di Fisher non è tutta da buttare, anzi, ma bisogna solo ragionare meglio sulle ipotesi di partenza e soprattutto chiarire cosa si intenda con "offerta di moneta"), dato che a parità di offerta di beni e servizi ci sarà un corrispondente aumento della domanda facendo lievitare i prezzi (il caso delle bolle immobiliari che fanno aumentare i prezzi delle case, causate dall'eccessiva espansione creditizia delle banche, è il più evidente)...
Quindi ripeto, per me l'inflazione traina l'offerta di base monetaria, e a sua volta l'inflazione fra le sue tante cause può avere anche l'eccesso di offerta di prestiti da parte delle banche commerciali...le banche centrali quindi non hanno alcun controllo e effetto sul contenimento dell'inflazione (a parte le decisioni sui tassi di interesse), mentre le banche commerciali possono essere spesso una causa diretta dell'aumento dell'inflazione...quindi sono quest'ultime che andrebbero controllate e vigilate, al contrario di ciò che si fa oggi imputando alla banca centrale poteri e responsabilità che in realtà non ha, a parte il sostegno illimitato e incondizionato dato alle banche commerciali...ma questo è un altro discorso...
Sulle battaglie di civiltà che sta combattendo la presidente Kirchner, ti consiglio di ascoltare il suo discorso all'ONU (anche se è in lingua argentina, quindi se ci fosse qualche volenteroso madrelingua disposto a tradurlo ci farebbe un grande piacere!!! Perchè è un discorso importante e pieno di contenuti)...

http://www.youtube.com/watch?v=4alp30fpjDs


Il grande errore della teoria quantitativa di Fisher è stato il considerare V (velocità di circolazione della moneta) come una costante, addirittura prevedibile.
Oramai, a distanza di molti anni, sappiamo che come direbbero i miei amici toscani è una bischerata, dato che la medesima dipende dal tasso di occupazione, dalla crescita del PIL reale e dalla propensione marginale al risparmio.
Comunque, io ritengo che il sistema della moneta-debito sia intrinsecamente pernicioso per una caterva di motivi, ma oramai la priorità è liberarci dall'Euro e riprenderci la sovranità monetaria.
Per questo nutro una notevole stima per Putin o per la Presidenta o per Lula: ci indicano degli esempi che dovremmo seguire.
Ho parenti in Argentina che mi confermano che la differenza fra il governo locale e la demagogia spicciola di un Chavez o l'ambientalismo decrescista di un Morales è abissale.


Il problema della nota formula quantitativa di equilibrio MV=PT non è soltanto l'ipotesi infondata (come dici tu la bischerata...) che la velocità di circolazione della moneta sia costante, ma anche la variabile T, il numero di transazioni, che non è affatto detto che sia una costante nel breve periodo, per le stesse ragioni per cui V non è costante...in un periodo di recessione il numero di transazioni diminuisce, mentre in espansione aumenta e poi non è affatto detto che quando aumento l'offerta di moneta (a tutti i livelli, quindi base monetaria+depositi bancari), questa maggiore moneta circolante non metta in moto nuove attività produttive, maggiore offerta di beni e servizi, maggior numero di transazioni T e quindi secondo la relazione di equilibrio P rimarrebbe costante o addirittura tenderebbe a diminuire...in buona sostanza la relazione (che ripeto, nell'assieme rimane valida) è molto più complessa di come volevano farcela passare i monetaristi e i neoliberisti alla Friedman...
Sulla moneta priva di debito all'emissione sfondi una porta aperta perchè per me in questo momento la teoria monetaria che offre maggiori soluzioni in assoluto non è tanto la MMT, ma Positive Money, mentre la MMT potrebbe andare benissimo nel periodo transitorio, come recupero della piena sovranità monetaria dello stato, ma poi essere superata a regime da una riorganizzazione e regolamentazione più capillare del settore bancario, la necessaria distinzione fra banche commerciali e banche d'investimento e il regime di riserva del 100%...ma queste sono trasformazioni che devono avvenire per gradi, mentre innanzitutto bisogna creare una maggiore consapevolezza su questi temi e un vero e proprio movimento culturale che si faccia carico di queste istanze di riforma epocale... sull'esempio magari della stessa Argentina, che è e rimane per adesso l'unico vero laboratorio di sperimentazione di questi improrogabili cambiamenti di paradigma!!!


Qualcuno per cortesia indichi Piero a Beppe Grillo come ministro dell'economia per il nuovo goveno.

Angelo Meschi
autore del blog IdeaTrading


Grazie Angelo per la fiducia, ho cercato più volte di mettermi in contatto e sollecitare i grillini del M5S su questi temi, ma a parte l'entusiasmo sincero e spontaneo degli attivisti che sarebbero pronti a portare avanti le istanze economiche di recupero della sovranità monetaria, non si supera mai il muro di sbarramento che porta a Grillo e alla Casaleggio, i quali stanno purtroppo portando avanti una linea politica ed economica del tutto opposta a quella esposta nei miei articoli (e con ancora maggiore autorevolezza accademica da economisti come Bagnai, Zezza, Brancaccio, Cesaratto, Galloni) o applicata in Argentina: stato ladro, politici corrotti, meno spesa pubblica, uscita dall'euro si, no, forse, sovranità monetaria che cos'è questa sconosciuta...rimanendo poi alla fine impantanati in un vicolo cieco che porta allo snellimento delle istituzioni statali e ad un maggiore potere di indirizzamento e controllo da parte delle istituzioni private, in una sorta di democrazia aperta e partecipativa eterodiretta in cui come sempre alla fine sarebbero le idee e le istanze dei soggetti economicamente più forti quelle a prevalere...niente di nuovo sotto il sole insomma... 
Quindi, per quanto io sarei ben lieto di mettermi a collaborare con il M5S, non mi sembra proprio che il M5S, nelle sue alte sfere (Grillo e Casaleggio), sia interessato ad accogliere la mia collaborazione e quella di altre persone che sostengono e promuovono la mia stessa linea di pensiero...almeno fin adesso, poi chissà, Grillo si fa illuminare sulla via di Damasco e ricomincia a ragionare...


Perdonami Piero, intervengo prima di aver finito di leggere l'articolo ma ad uno dei primi passaggi tecnici sulla crisi Argentina, immediatamente è riaffiorata indomita la mia opinione sulle teorie macro economiche ed accademiche. Non starò qui ora ad ammorbarti con la mia pedanteria perché volendo la si può facilmente trovare esposta e pubblicata in rete. Ci terrei diversamente a sottolineare che...il motivo principale per cui nel mio navigare son finito poi qui è proprio grazie alla chiarezza tecnica e senza fronzoli, da te esposta in materia. Non che possa sempre essere in accordo per intero con le tue disamine...nel complesso, ma la capacità d'esposizione senza far ricorso ad ipocrite manovre di raggiro dell'inesperto lettore o dell'ammaestrato interlocutore è quanto di più apprezzabile ci si possa aspettare nel variegato panorama delle dissertazioni in ambito economico. Non basta, infatti, parlare per elaborati schemi, per numeri e statistiche o per quadri e teorie o dottrine presenti o passate. E' necessario dare delle valutazioni che accompagnino al tecnico anche l'umano. Altrimenti, personalmente intendendo, è inutile proseguire ogni ragionamento poiché il senso della vita non giace per me nell'accumulo inutile (di risorse o moneta o quant'altro) ma nella condivisione...di idee, opinioni, esperienze e ...
Lascio a te e a chi volesse, il continuare dopo i puntini!
Un saluto,
Elmoamf

P.S. ora proseguo nella lettura e magari lascerò qualche altro commento un poco più attinente all'oggetto!


Eccomi giunto, entusiasta, al termine dell'articolo.
E non posso che levare l'ipotetico cappello e stringermi in un plauso.
Il contenuto descritto e narrato è quanto di più affine al mio pensiero attivo e propositivo in materia.
Altrettanto ammirevoli i primi scambi di battute tra i commentatori.
Vorrei proporti Piero, ove tu concorde e questo possibile, il permesso di diffonderLo il più possibile.
PromuovendoLo ovunque e pubblicandoLo ove posso, direttamente od indirettamente!
Corredato da eventuali commenti personali che abbiano il solo scopo di non ledere ma esaltarne la dignità dei contenuti.
Per il momento mi limito al solito "cinguettio" informatico.
Credo realmente, però, che le tesi qui esposte meritino una riflessione più diffusa.
Maggiormente allargata ad una platea più ampia, spesso digiuna di determinate considerazioni: economiche ed esistenziali come quelle esposte dal "defunto" Ivan Heyn!
A suo tempo mi interrogai sull'anomalo suicidio!
Infine e giusto per un inciso di ordine tecnico sulle dinamiche inflazionistiche...esprimo brevemente il mio pensiero.
Il tutto per me va ricondotto sulle finalità dello strumento: inteso come bene fine a se stesso o come strumento d'intermediazione.
Le dinamiche inflattive sono determinate principalmente, sempre a mio modesto parere, dal differenziale sulle capacità di spesa da un lato e sulla riserva di beni dall'altro.
Per meglio lasciarmi intendere: se la capacità di spesa (sempre intesa in termini di massa monetaria "convenzionale") è superiore alla quantità dei beni in commercio...
Sono possibili due strade: o la mia moneta vale di meno oppure i parametri di scambio monetario dei beni sono più elevati.
La questione giace tutta, per me, nello scambio di beni o servizi, l'unica vera leva per la diffusione del benessere e soddisfazione comune.
Il succo del discorso giace appunto nell'utilizzo convenzionale della moneta come strumento ed unità di scambio tra individui che offrono appunto beni o servizi diversi.
E' nel concetto attivo di società che giace la crescita.
Ognuno ha le sue peculiarità e.o potenzialità e le condivide e le scambia con altri individui.
La "summa" di tali scambi dovrebbe portare alla crescita da entrambe le parti.
La moneta è solo una convenzione per facilitare tale scambio, non altro.
Nel momento in cui, diversamente, la moneta assume un diverso ruolo e diviene essa stessa un bene...
Beh ecco che qui insorge l'accumulo, la speculazione, l'arroganza e la fallacia di ogni teoria economica.
Chiedo venia del vigore e della passione nell'esposizione.
E di eventuali pressappochismi riscontrabili nella personale esposizione che eventualmente, alcuno maggiormente tecnico rispetto alla mia persona, vorrà o potrà sollevare in contraddizione costruttiva.

Di nuovo un saluto,
Elmoamf


Non avevo dubbi che alla fine ci saremmo ritrovati, perchè la mia idea di economia, come scienza sociale non esatta ma discrezionale, è molto simile a quella tua...mettere un qualsiasi vincolo tecnico quantitativo a monte dell'azione economica (inflazione, pareggio di bilancio, debito pubblico) significa contraddire e stravolgere le stesse basi e finalità su cui si fonda il pensiero economico: in certe situazioni e in certi determinati momenti un'inflazione alta può essere un bene mentre in altri un male, stessa cosa dicasi per i deficit di bilancio, i dati contabili nazionali e di scambio con l'estero, la svalutazione etc...
Quindi un vero soggetto attivo in materia di politica economica dovrebbe utilizzare discrezionalmente gli strumenti fiscali e monetari a disposizione per raggiungere l'obiettivo principale della sua azione generale: la piena e soddisfacente occupazione per tutti e la tutela del bene comune...che sono due cose, il fattore individuale e quello collettivo, non in contraddizione, perchè se la combinazione fra stato e mercato risulta di tipo collaborativo e non competitivo, il fatto che ognuno abbia un lavoro adeguato alle sue aspirazioni e competenze, che gli consenta di soddisfare i suoi bisogni primari, di vivere dignitosamente in armonia con l'ambiente, crescere culturalmente, arricchirsi nello scambio con gli altri, renderà l'individuo maggiormente disposto a rispettare e a tutelare il bene comune...mentre l'abbandono, la disperazione, la disoccupazione, l'inedia crea indifferenza, pressappochismo e rabbia...quindi i risvolti sociali dell'economia non vanno mai trascurati, perchè come diceva Heyn cosa vale avere un'inflazione bassa se poi le persone sono infelici e disperate? Oppure cosa vale la democrazia se il popolo è affamato, povero, arrabbiato? Ci può essere mai democrazia e libertà in queste condizioni???
Quindi l'economia, per quanto abbia bisogno di appoggiarsi ad una solida base teorica, numerica da cui ricavare le sue analisi preventive e consuntive, non deve mai allontanarsi dai suoi obiettivi prioritari e sociali, perchè se no diventa un'altra cosa, una dissertazione vuota di numeri e tecnicismi, che crea distanza fra i governanti e i governati, astio, repulsione, rabbia repressa, ribellione...credo che il tuo modo di intendere la faccenda, dal punto di vista di ribaltamento culturale di paradigma, sia quello più corretto, anche se non bisogna mai allontanarsi troppo dai dati, dai grafici, dai numeri, dalle tabelle, perchè se no si perde di vista la realtà concreta e l'economia diventa una mera branca della filosofia, della politica, della psicologia...per farla breve, bisogna avere sempre un occhio al cuore, all'anima delle persone e l'altro al portafoglio, per consentirgli quantomeno di mettere insieme il pranzo con la cena, di programmare il futuro, crescere i propri figli...
Infine ti ringrazio per l'opera di divulgazione e diffusione, perchè questo è il momento storico esatto in cui dobbiamo continuare a battere il ferro e creare il terreno per i prossimi cambiamenti che per forza di cose ci saranno...se saremo stati bravi in quest'opera culturale di educazione e diffusione della consapevolezza e della conoscenza, non c'è alcun motivo di temere che questi cambiamenti siano per forza caotici, violenti e non pacifici e tranquillamente governabili...oggi più che mai, con la fine delle ideologie di massa, tutto dipende da noi, dalla nostra volontà individuale e da come veramente vogliamo il nostro futuro di comunità, di popolo, di esseri umani...


Grande Piero, sempre piu' approfondito e comprensibile. dal canto mio vorrei proporvi un video che dovrebbe essere visto da piu' persone possibili, per svegliare, ancora di piu', chi forse dorme ancora.
http://www.youtube.com/watch?v=7gSRg_zoBgA
Piero grazie ancora per il tuo ottimo ed innarrestabile procedere, per svegliare le menti di tutti usando un linguaggio non eccessivamente forbito.
Spero di poter dare o almeno spero un aiuto anch'io, con questo piccolo gesto.
Un saluto 
leonardo IL_CECCHE


Conoscono questo video e, personalmente ringrazio per il ricordo, quel che più mi preme sottolineare è però che di questo contributo (io od altri..) ne fossimo stati in grado di renderne edotte le masse... ossia che ne sia diffusa direttamente od indirettamente la sostanza a chi generalmente si frequenta o con cui generalmente si abbia la facoltà o la fortuna d'interloquire.
La genericità come la generosità del ns incidere sul prossimo spesso si misura sulla ns capacità di essere autorevoli.
Pertanto io mi chiedo, quanti di noi si siano mai posti questo problema!?
L'autorevolezza è tutto...è alla base del problema!
Se un arroganza si finge autorevole e s'impone all'opinione pubblica, non avrà contrapposizione di sorta.
Viceversa se un assiduo e comune incedere sarà in grado di dimostrarne il contrario... ad ognuno di noi sarà lasciata la possibilità di assumere un autorevolezza (non semplicemente riconosciuta od efficace) ... ma sostanziale, fatta di sincerità di comportamenti e di generosità appunto d'intenti.
La pratica migliore nel diffondere la conoscenza e la conseguente dignità della persona, sta nel non cedere alle pressioni esterne di qual si voglia natura ma premunirsi e premurarsi dalle coercizioni altrui che inevitabilmente si tendono ad imporre.
Le analisi economiche, a parer mio, sono tra queste...principalmente tra queste!
Non può esservi crescita economica fine a se stessa se ciò non si sposa con l'emancipazione della persona.
Un saluto,
Elmoamf