giovedì 27 dicembre 2012

La nascita della “multinazionale” del traffico internazionale di droga

Riprendo di seguito un vecchio articolo pubblicato dal sito informarexresistere, ripreso a sua volta da altra originale fonte, attualmente non più raggiungibile (per quanto possa personalmente aver constatato), ed a firma di Emiliano Di Marco.

Tanto per la validità narrativa intrinseca quanto per la necessaria riproposizione e diffusione "internautica", affinché il testo stesso non sia vittima della dispersione o della voracità dell'essere, di ogni essere, per cui gli scritti cartacei così come le loro trasposizioni in rete finiscono per esser inghiottiti nell'indifferenza "qualunque" della superficialità umana, ossia quella onnipresente "leggerezza" nel valutare i fatti e dei fatti la loro storia.

Un saluto,
Elmoamf

Articolo tratto da:


La nascita della “multinazionale”
del traffico internazionale di droga

- di Emiliano di Marco -

Capitale sociale e culturale formatosi sul contrabbando e sul narcotraffico, grazie a reti etniche, savoir-faire e riciclaggio nelle attività industriali con la mediazione storica dei mercati della finanza. Per provare a capire la mafia bisogna tentare di allargare l’immagine.

A Cuba, Ernest Hemingway vi si trasferì, nel 1946, per rimettere in sesto il suo stato di salute fisico e psichico, dando ascolto finalmente alle grida d’allarme del suo fegato. Un periodo di relax dopo la fine di una guerra che gli era costata un processo a Nancy per “violazione della convenzione di Ginevra”, un incidente di macchina, emicranie, due polmoniti, un divorzio ed un esaurimento nervoso causato dalla cattura del figlio da parte dei tedeschi. In quell’anno sposò Mary e trascorse un periodo lontano dai bagordi etilici, completò la scrittura de “Il giardino dell’Eden”, interrompendo la scrittura di “Morte nel pomeriggio”. Una nuova dimensione intellettuale anche l’assunzione dei superalcolici, se è vero ciò che lo scrittore cubano, Leonardo Padura Fuentes, ci racconta nel suo romanzo “Addio Hemingway”. Al Floridita, in una delle sue lunghe disquisizioni, Hemingway avrebbe rifiutato al cocktail di rum Papa Doble la grazia salvifica di un cucchiaino di zucchero di canna, capace di segnare la differenza tra un ottimo cocktail ed un Ron mal battezzato. Va bevuto così anche oggi.

Ma a dispetto degli aneddoti sullo scrittore americano, pesca d’altura nel mare caldo dei caraibi e chiacchierate con gli anziani pescatori a cui dedicherà “Il vecchio ed il mare”, piuttosto che essere un’isola visceralmente letteraria, quando era ancora un protettorato americano e viveva il suo “periodo d’oro” nell’egida del dittatore fantoccio degli USA, Fulgencio Batista, detto “El Sargento”, rimpianto ancora oggi dagli esuli cubani di Miami, sull’isola caraibica era frequente incontrare mafiosi e uomini d’affari americani ed europei, intellettuali e businessmen che, indisturbati, giravano per i locali notturni, ristoranti e postriboli dell’Havana, all’epoca una delle capitali internazionali della malavita.

Ah! ‘E bei tiemp’ e ‘na vota!

Grazie alla sua situazione “politica” e per la sua vicinanza alle coste orientali degli Stati Uniti, Cuba era così diventata una base strategica delle mafie, uno snodo nevralgico lungo la rotta Europa-Panama, dove i carichi di stupefacenti potevano essere immagazzinati prima di proseguire la navigazione verso i docks di Miami, New Orleans, New York e Montreal, al punto che, verso la fine degli anni ‘50, lo stesso Lucky Luciano, alias Salvatore Lucania - l’ex capo della commissione di Cosa Nostra a New York, condannato all’ergastolo e scarcerato per meriti di guerra dopo soli 10 anni di detenzione, che si era trasferito a Napoli, dove la NATO aveva stabilito la base strategica per le operazioni militari per tutto il mediterraneo – stava progettando di andare a vivere proprio a Cuba. Il 22 dicembre 1946, subito dopo la guerra, si tenne proprio all’Havana, all’Hotel Nacional, un incontro di mafiosi italoamericani e del “Jewish Syndicate”, noto alle cronache storiche come la Havana Conference , organizzata da Meyer Lanski e da Charles “Lucky” Luciano, i due uomini che avevano il controllo assoluto sui docks di New York.

La fine della guerra prometteva affari d’oro e, nel summit dell’Havana, furono definite le competenze e gli affari delle famiglie mafiose e dei cartelli criminali negli USA. Uno dei punti fondamentali su cui si trovò l’accordo fu l’organizzazione del primo cartello internazionale di contrabbando verso l’Europa e di narcotraffico verso gli Stati Uniti, attraverso le rotte provenienti dal nord Africa, dal Medio Oriente e dal sud America.

Da Napoli, Lucky Luciano, Joe Adonis alias Giuseppe Antonio Doto, Frank Coppola (detto “tre dita”), Pietro Davì (detto “Jimmy l’americano”) ed il mafioso italo-americano Vito Genovese, che durante la guerra era stato aiutante del comandante delle forze alleate nelle operazioni nel sud Italia, Charles Poletti (un noto ex avvocato penalista newyorkese che aveva noti mafiosi tra i suoi clienti); gestiva una vasta rete di narcotraffico e contrabbando nel mediterraneo occidentale grazie ad un accordo con malavitosi marsigliesi, banditi principalmente corsi e francesi di origine marocchina o napoletana, cresciuti nel milieu del quartiere Panier di Marsiglia, che fu distrutto dai nazisti proprio perché considerato luogo di malaffare e di resistenze “naturali” al nazifascismo. Comandati da Pierre Maurice Chiarena, i “marsigliesi” celebrati nei film noir con il famoso cappello Borsalino, si erano specializzati nella raffinazione della pasta base della morfina, grazie anche ai solidi appoggi garantiti dallo SDECE, i servizi segreti francesi. Non era una novità, già durante la repubblica di Vichy, l’utilizzo dei corsi per reprimere la resistenza contro i collaborazionisti, aveva portato due personaggi della mala corsa, Paul “Venture” Carbone e Francesco “Lydro” Spirito, ad allearsi con il sindaco collaborazionista Simon Sabiani, dirigendo la polizia segreta. Carbone fu poi ucciso, ma Spirito, dopo la guerra, emigrò a New York dove divenne un narcotrafficante di eroina.

Importante anche il ruolo politico svolto dai corsi dal 1945 a Marsiglia, città all’epoca governata da una coalizione di comunisti e socialisti. I sindacati attuarono uno sciopero rifiutandosi di caricare i beni sulle navi da guerra destinati ai soldati in Indocina, dove i francesi combattevano contro il generale Ho Chi Minh. La paralisi del porto allarmò anche gli americani, in quanto proprio da Marsiglia venivano caricati sulle navi gran parte dei primi beni destinati per l’attuazione del piano Marshall nei paesi che affacciavano nel mediterraneo. Lo sciopero fu represso nel sangue, causando una protesta nazionale che coinvolse milioni di francesi. La destra di De Gaulle ritornò al potere, a Marsiglia, nel 1947, solo grazie alla spaccatura del fronte tra comunisti e socialisti, quest’ultimi convinti da un milione di dollari inviati dalla federazione sindacale statunitense AFL-CIO.

Michele Carlini diventò sindaco di Marsiglia dopo una brutale repressione delle proteste sindacali ed il deciso intervento dello SDECE e della OSS/CIA, che non esitarono a coinvolgere la teppaglia del clan corso dei Guerini nella repressione degli scioperi e nell’assassinio di molti sindacalisti.

Il network di traffici illeciti che coinvolgeva i marsigliesi aveva una delle principali basi strategiche a Tangeri, all’epoca città caratterizzata da un cosmopolitismo di tipo alessandrino, popolata da europei, principalmente spagnoli, ebrei sefarditi e mercanti marocchini, ma anche luogo di commercio e di transito per attività criminali: prostituzione, gioco d’azzardo, emigrazione clandestina negli USA, droga, contrabbando; attività nelle quali eccellevano banditi corsi ed ex ufficiali di marina inglesi e francesi, al comando di navi utilizzate durante il secondo conflitto mondiale e poi rivendute ad armatori privati.
Alcuni tra i massimi esponenti della letteratura americana quali Tennesse Williams, Gertrude Stein, Gore Vidal, Truman Capote, resero celebre Tangeri, la cui atmosfera non somigliava affatto a quella di Casablanca, almeno nelle immagini del film diretto da Michael Curtiz, con Ingrid Bergman ed Humphrey Bogart. La fama della città deve infatti a Jack Kerouac, Allen Ginsberg, a Paul Bowles con il suo romanzo “The Sheltering Sky” (tradotto in italiano “Un tè nel deserto”) e soprattutto al romanzo “Il pasto nudo” di William Burroughs – che si perse a Tangeri dopo aver ucciso accidentalmente la moglie, Joan Vollmer, mentre giocavano al Guglielm Tell in Messico con una pistola – l’essere diventata uno dei luoghi immaginari della cultura beat e psichedelica, una interzona, aperta ad esperienze bi-tri-sessuali ed allo spazio sfinito della coscienza. Una località leggendaria ed invisibile, destino di viaggi catartici, di percorsi psicogeografici, letterari e musicali. Già negli anni ‘50 era infatti possibile trovarvi tutte le droghe disponibili all’epoca, specialmente il celebre hashish prodotto sulle montagne del Rif, ben prima che il Marocco diventasse (come oggi) il maggior produttore mondiale di cannabis, con l’80% dei prodotti derivati consumati in Europa.

Tangeri, il cui status di città libera internazionale fu dichiarato nel 1912, dal 1923 era stata affidata ad un “comitato di controllo” formato da Francia, Spagna e Gran Bretagna, a cui si aggiunsero, nel 1928, Italia, Portogallo e Belgio. Meta di contrabbandieri e latitanti di tutto il mediterraneo, porto dove poteva transitare qualsiasi tipo di merce illegale che andava in direzione dell’Europa o degli Stati Uniti, somigliava più alle città pirate algerine del 1500, un porto franco nel quale era libera ogni forma d’impresa, dove era facile depositare o prelevare il denaro nelle oltre 85 banche e nelle oltre quattromila società anonime (esistenti solo nel 1950). La città ha visto poi cessare il suo status con l’indipendenza del Marocco nel 1956, a cui Tangeri fu annessa nel 1960.

Nel giro di un paio d’anni, con la fine dello status di “città internazionale” e di porto franco nel 1956, poi con la rivoluzione castrista a Cuba nel 1959, era cambiata tutta la geopolitica dei traffici illeciti nel mediterraneo, da e per l’Atlantico.

I marsigliesi che gestivano le basi di raffinazione dell’eroina in Costa Azzurra ed in Corsica, si approvvigionavano della pasta base, ricavata dal papavero da oppio, proveniente dall’Indocina. La qualità era la migliore, pura al 90%. A partire dal ritiro dei francesi dal sud est asiatico, nel 1954, e dal conseguente rafforzamento della presenza militare USA nell’escalation vietnamita, la banda di Chiarena si trovò a fronteggiare da un lato la carenza di approvvigionamenti di pasta base per l’eroina, dall’altro la concorrenza dei turchi, i quali conseguentemente anche al rafforzamento dei legami politici e strategici con gli USA, avevano iniziato ad importare l’oppio dall’Asia Centrale, oltre a lavore quello coltivato in Turchia, raffinanando l’eroina in Anatolia ed aprendo la rotta per i Balcani.

Nel corso degli anni ‘70, a gestire il traffico di eroina dalle “basi” turche, ebbero un ruolo strategico i Lupi Grigi (bozkurtlar), una organizzazione nazionalista nata nel 1969, al comando della Gladio turca, che ebbe un forte coinvolgimento nel colpo di stato del 1980, assassinando centinaia di attivisti di sinistra, esponenti delle organizzazioni kurde e dei diritti civili. La rotta turca interessava anche i produttori libanesi, che producevano la pasta base nelle piantagioni di oppio della valle della Bekaa, i cui proventi, durante il conflitto civile scoppiato nel 1975 nel Libano, la “Svizzera del Medio Oriente”, furono utilizzati per acquistare le armi di alcune formazioni paramilitari nel sud del Libano.

La nascita di Cosa Nostra in Sicilia

La rivoluzione cubana aveva portato ad una generale instabilità politica in tutta la regione caraibica, culminata con la crisi dei missili del 1962, ed avvantaggiò i traffici di droga dal mediterraneo, che con la perdita di Tangeri, portarono la Sicilia a diventare, negli anni ‘60 e ‘70, per gli Stati Uniti e per parte dell’Europa, una stazione di raffinazione dell’eroina, grazie alla collaborazione con i “chimici” marsigliesi.

Anche la nascita della prima commissione provinciale di Cosa Nostra in Sicilia, che aveva influenza solo su Palermo, in quanto vennero escluse le famiglie del resto della Sicilia, fu opera di Lucky Luciano, che organizzò un vero e proprio “summit internazionale” tra le famiglie mafiose palermitane ed americane, il 16 settembre del 1957, all’Hotel delle Palme diPalermo, presenti Joseph Bonanno, Camillo Carmine Galante, Giovanni Bonventre, Joe Di Bella, Vito Vitale, Charles Orlando, John Priziola e Santo Sorge, in rappresentanza delle famiglie americane.

Gli americani proposero ai siciliani di creare una “commissione” di Cosa Nostra in Sicilia, sul modello di quella esistente a New York. La commissione che venne fuori, al cui interno erano presenti i Greco, i La Barbera, Luciano Liggio, ed i Torretta, aveva però mandato solo su Palermo, in quanto vennero escluse le famiglie del resto della sicilia, come i trapanesi.

La nascita di Cosa Nostra in Sicilia è da considerarsi all’origine di uno scontro tra opposte tradizioni e filosofie della vecchia cultura arcaica della mafia siciliana, sullo sfondo della decadenza aristocratica del capoluogo siciliano, i cui referenti politici regionali (democristiani) di peso diventarono in quegli anni uomini dell’entroterra siciliano.

La mafia delle borgate, espressione di un controllo che, su un territorio interessato dalle speculazioni edilizie sui suoli, negli anni del sacco di Palermo, gestite dal potente assessore ai lavori pubblici, il corleonese Vito Ciancimino, uomo di Cosa Nostra e membro di Gladio, richiedeva un nuovo dinamismo “imprenditoriale”, una capacità di fare “rete”, di accedere alla liquidità finanziaria garantita dai proventi del narcotraffico e dal contrabbando, e di interloquire con i nuovi referenti politici. La vecchia mafia si trovò così a fronteggiare una nuova generazione di mafiosi che traevano la forza non più sul radicamento nell’isola siciliana, ma dalla capacità di fare network con le famiglie siciliane emigrate in USA, Canada, America Latina e nel “continente”. Una trasformazione che portava fuori dal “centro” insulare la mentalità e gli interessi della mafia, e che portò i Greco ed i La Barbera in una inevitabile rotta di collisione, dopo che i corleonesi di Liggio e Riina eliminarono la famiglia storica della mafia corleonese, i Navarra, ufficialmente per impedire la realizzazione di una diga.

Il controllo di importanti rotte del contrabbando e del narcotraffico fu, in verità, il vero motivo dello scontro militare. Parte dei clan mafiosi avevano già strutturato, sin dagli anni ‘20, interessi nel narcotraffico, trasportando oppio e morfina a New York nelle casse di agrumi. Una attività che è testimoniata dal sequestro di 100 Kg. di morfina in partenza per gli USA nel luglio del 1926 (cfr. Salvatore Lupo, Storia della Mafia, pag. 260). Lo stesso Lucky Luciano importava droga dalla Sicilia negli anni ‘30 grazie a Pietro Davì, in rapporti con alcune industrie farmaceutiche ed arrestato nel 1935 a Milano per narcotraffico. Davì negli anni ‘50 diventò poi importatore di morfina dalla Germania per Lucky Luciano.

Il traffico creato da Luciano, sfruttando i contatti con le industrie farmaceutiche del nord Italia ed in Germania, e poi stringendo rapporti con i raffinatori marsigliesi, sfociava tutto negli Stati Uniti, sfruttando la “tolleranza” delle istituzioni italiane. Anche in seguito al ritiro francese dall’Indocina infatti, l’oppio prodotto in Medio Oriente passava, o veniva prodotto, in Libano e Turchia, ed anche quando arrivava a Marsiglia o in Corsica per essere raffinato, per essere trasportato negli USA doveva sempre passare per le mani dei siciliani, in grado di fare arrivare l’eroina in America grazie ad uno strutturato network etnico costituito dagli emigrati. Il legame fiduciario che rendeva affidabili le famiglie siciliane, anche presso i marsigliesi, spesso non coincideva con le famiglie che avevano aderito alla Cosa Nostra palermitana, legata principale al controllo delle risorse territoriali, modificando nei fatti gli accordi presi tra le famiglie mafiose.

Lucky Luciano morì avvelenato, sorseggiando un caffè all’aeroporto di Capodichino (Napoli), il 26 gennaio 1962, mentre in Sicilia era scoppiata la prima guerra di mafia tra le famiglie palermitane ed i corleonesi di Liggio, Totò Riina e Provenzano. Un conflitto che mandò all’aria la commissione di Cosa Nostra di Palermo per dieci anni. Lo scontro culminò con la strage di Ciaculli del 30 giugno del 1963, nella quale morirono sette uomini delle forze dell’ordine, causando la prima repressione della mafia da parte dello Stato nell’Italia repubblicana.

Allargando l’immagine, può risultare interessante segnalare, ai patiti delle teorie complottiste, le tesi relative all’assassinio del presidente J.F. Kennedy, il 22 novembre 1963, le quali ipotizzerebbero un coinvolgimento della mafia americana nell’ambito del contrasto alla politica estera di Kennedy su Cuba, sulla mafia e sui sindacati dei trasportatori. Tesi che collocherebbero lo scenario della prima guerra di mafia (1961-63) su uno scacchiere molto più vasto della lotta di potere tra le “famiglie siciliane”, alle porte della rivoluzione dei costumi giovanili che trasformò il consumo di droga in “cultura e consumo di massa”, prima negli USA e poi in Europa.

I don’t know just where I’m going
But I’m gonna try for the kingdom, if I can
(Velvet Underground – Heroin)

Quando fu riorganizzata la commissione di Cosa Nostra, agli inizi degli anni ‘70, con la presenza del “principe di Villagrazia”, Stefano Bontate – l’uomo che portò la mafia all’interno della massoneria e nei circoli più esclusivi della finanza nazionale -, di Tano Badalamenti e Luciano Liggio, sancendo la pace tra la mafia palermitana e quella corleonese e di Cinisi, il conflitto militare tra USA e Vietnam aveva già aperto una nuova rotta dell’oppio dal sud est asiatico, sia in direzione Stati Uniti che verso l’Europa.

Nel corso degli anni ‘70, per assicurarsi l’egemonia nelle rotte dei traffici illegali del mediterraneo centrale, Cosa Nostra decise di eliminare la concorrenza dei marsigliesi, i quali si videro contrastati efficacemente anche in Francia dalla nuova politica di De Gaulle verso gli USA. Cosa Nostra realizzò l’obiettivo alleandosi con alcuni importanti boss della camorra campana, che furono affiliati all’organizzazione, come Michele Zaza, i fratelli Nuvoletta, Antonio Bardellino e Carmine Alfieri. La Sicilia diventò la principale base logistica di raffinazione dell’eroina verso New York, Miami ed il Canada e verso il “continente”.

Con la nuova guerra di mafia, scoppiata all’inizio degli anni ‘80, i corleonesi acquisirono il potere assoluto in Cosa Nostra, eliminando Bontate e gli uomini della Famiglia di Gesù di Palermo. Analogamente i loro alleati campani della Nuova Famiglia chiusero i conti con i cutoliani, che intendevano costruire una organizzazione camorristica autonoma dai siciliani.

Il controllo assoluto del traffico di eroina e del contrabbando di sigarette portò Cosa Nostra ed i corleonesi al massimo della loro potenza economica, militare e “politica”. Lo scenario del narcotraffico, basato principalmente sull’eroina e sull’hashish, dall’inizio degli anni ‘80, contrastato solo dalla mentalità dei (pochi) vecchi mafiosi a causa dei suoi devastanti “effetti collaterali” sociali, era però già destinato ad una ulteriore trasformazione, in grado di seguire l’evoluzione delle culture giovanili in Italia ed in Europa, dove il mercato della droga cominciava a raggiungere i livelli dei consumi negli USA.

Accadde in concomitanza con il ritiro americano dal Vietnam, con il conflitto tra Israele e Libano, cominciato nel 1978, che aveva chiuso uno dei canali di rifornimento per i traffici, i quali dirottarono definitivamente verso la Turchia; e con l’invasione sovietica dell’Afghanistan, nel 1980, dove veniva prodotta l’80% della pasta base per la raffinazione dell’eroina che passava per il mediterraneo.

Verso la metà degli anni Ottanta, circa metà dell’eroina che entrava negli Stati Uniti proveniva dalle regioni dell’Afghanistan controllate dai Mujadeen e dal Pakistan. Mentre le rotte del narcotraffico e del contrabbando in Europa si spostarono nei Balcani e lungo le sponde dell’Adriatico.

Intanto stava già cominciando l’era del “petrolio bianco”, proveniente dal sud America… ma questa è un’altra storia.


- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 

Salvare l'Italia dal Fallimento: Etico e Morale!

Intervento dell'avv. Paola Musu all'incontro pubblico del 07 ottobre 2012
Campodarsego - Padova
"SALVARE L'ITALIA DAL FALLIMENTO!
Soluzioni alla crisi dell'euro per famiglie, aziende e stato."
Organizzato da Democrazia MMT - Reimpresa - Radio Gamma 5



Parafrasando uno degli ultimi interventi in risposta alle singole domande esposte dall'auditorio, mi espongo nel citare quanto segue (frutto di una personalissima elaborazione personale che nulla vuol togliere a quanto di diretto e sincero ha voluto effettivamente esporre l'avv. Paola Musu).

Parafrasi:

Ha fatto quello che riteneva giusto e suo dovere fare da onesta "cittadina"...
Come in una nave che sta affondando si spara l'ultimo razzo segnalatore che si ha in mano!
Oltre questo non vi era altro "giuridicamente" che si potesse essere in grado di fare.
Sono state usate le uniche armi a disposizione per una persona di "buona volontà" ossia quelle del "diritto"... e sono state usate tutte!
Tutte quelle che da onesti cittadini si possa essere in grado di ammettere senza sconfinare nell'extra-giudiziale... nel parziale discernere ed interpretare... nell'ammissione od omissione di parte...pregiudiziale.
Oltre questo non "sarebbe" stato più "lecito" andare.
Non sarebbe stato più coerente e legittimo esporsi o ritrarsi, ammettere o negare, difendersi od attaccare.
Parlare, giudicare o sostituirsi nel decidere e discernere e valutare su proprietà, capacità,  compiti e doveri... che spettano ad altri... non può esser un compito "normale" poiché la normalità (come forse la verità) dovrebbe giacere nella comprensione dell'altro e non nella sua diretta condanna!
Per opportunità, coerenza, spirito di libertà e democrazia.
Si spera e ci si augura che possa esservi...almeno un "essere umano" di buona volontà al quale sia rimasta la stessa passione per il "diritto" e che, per il ruolo che ricopre e le competenze che gli sono istituzionalmente riconosciute, si faccia carico di quella stessa "istanza"


Questa la mia intima parafrasi dell'Avv. Musu.
Nella speranza che non me ne voglia e nella stessa speranza che ne condivida le mie umilissime "istanze".

Un saluto,
Elmoamf

Il caso Mattei

Un Uomo, Uno Stato
Troppi Segreti, Troppi Interessi
Nessuna Verità


venerdì 21 dicembre 2012

La filosofia morale nel pensiero economico di Adam Smith

Partiamo da un concetto di fondo: ogni teoria sottende una ns intima e personale visione della realtà.
I suoi contorni, le sue sfumature, i suoi protagonisti, i suoi sfondi come i suoi elementi cardine.

Se non fosse per la spiritosaggine della mia diletta consorte che mi taccia di vetero idealismo e di esser rimasto all'epoca della pietra "economica" rispetto alle mie personali concezioni in materia, sarei propenso nel riconoscere e riscoprire in loro una certa e solida affinità con la filosofia etico-morale proposta dal benemerito Adam Smith. Ossia colui che diffusamente viene riconosciuto come il padre fondatore del "pensiero economico" ma che, al tempo stesso, spesso vien preso come esempio, simbolo, fulcro delle più disparate e successive teorie, sviluppatesi nell'arco dei secoli, che probabilmente ne hanno snaturato (per comodità, fallacia od opportunismo) la reale figura ed il concreto peso rispetto alla di lui universale visione filosofica delle società umane, propria di quell'intimo pensiero più sopra richiamato!

A tal proposito, pertanto, vorrei suggerire la lettura del seguente articolo, tratto dall'interessante sito  Oilproject. Un sito che offre la possibilità di approfondire didatticamente diverse materie attraverso la diffusione gratuita on line di materiale di studio, con tecniche audio visive di pregevole fattura.

L'articolo in questione (scritto da Luciano Canova) lo potrete trovare direttamente qui
Di seguito il testo.

Buona lettura ed un saluto,
Elmoamf


ADAM SMITH: IL "SELF LOVE" E L'UOMO COME ANIMALE SOCIALE

Molti economisti si sono chiesti se l'interpretazione dominante del pensiero di Adam Smith non sia troppo semplicistica ed unidimensionale: un dubbio conosciuto in letteratura come ‘Adam Smith problem’. L’argomentazione spesso utilizzata è che la Teoria dei sentimenti moralisarebbe un’opera giovanile, mentre La Ricchezza delle Nazioni sarebbe frutto di un ‘ritaglio’ più maturo del pensatore. Tuttavia, la tesi non è difendibile per due motivi: il primo è che sono stati trovati alcuni appunti degli anni ’50 in cui Smith anticipa le sue riflessioni sull’economia; e il secondo è che il filosofo scozzese lavora continuamente a correzioni e ristampe della Teoria dei sentimenti morali, rafforzandone semmai l’impianto.

Stigler, non potendo non riconoscere, nell’opera di Smith, l’esistenza di un’attenzione a dimensioni altre rispetto a quelle legate al self-interest come driver del comportamento economico, arriva comunque a sostenere che esso è “il più persistente, il più universale e quindi il più affidabile dei moventi umani”. Il tutto senza però offrire una valida argomentazione a supporto.

Leggiamo tuttavia, per avviare la riflessione, la prima frase della Teoria dei sentimenti morali:

“Per quanto egoista lo si possa supporre, l’uomo ha evidentemente nella sua natura alcuni principi che lo inducono a interessarsi alla sorte degli altri e che gli rendono necessaria la loro felicità”

Felicità? Condivisione della sorte degli altri?

Lo utility maximising behaviour, la ricerca dell’ottimo di una funzione di utilità che, in un contesto di libera concorrenza, porterebbe all’ottimo sociale (assunzione fondante del paradigma neoclassico in economia), sembra anni luci distante. E ci induce a una lettura più corretta di Smith, che appunto affianchi, più che contrapporre, La Ricchezza delle Nazioni alla Teoria dei Sentimenti morali.

Centrale, a questo fine, è l’interpretazione del concetto di self-love.

Già, perché Adam Smith non utilizza la parola self-interest, ma self-love (amore di sé).

E che cos’è questo amore di sé, fondato sulla sympathy?

Non si tratta, come vorrebbe qualcuno, di un egoismo auto-interessato. Smith parla infatti di unospettatore imparziale, una sorta di arbitro immaginario dalla cui approvazione dipenderebbe, in ogni contesto, la scelta della nostra condotta e che ispirerebbe, concretamente, le nostre azioni. Chi è questo spettatore imparziale? 
È un altro generico, probabilmente identificabile con la capacità umana di esprimere un giudizio su di sé. 
L’uomo, infatti, non agisce per essere apprezzato dagli altri, ma in primo luogo per essere apprezzato da se stesso.

In questo Adam Smith si sgancia dal pensiero di Mandeville, autore della Favola delle Api ed esemplificato dal motto: "vizi privati e pubbliche virtù".

L’azione cooperativa o disinteressata, solidale, non nasce da una vanità o dal giudizio che ci aspettiamo dagli altri. Nasce piuttosto dal giudizio che noi abbiamo di noi stessi, specchiandoci negli occhi altrui per trovare, nel loro sguardo, il nostro io interiore.

Questa è la sympathy, anche denominata fellow-feeling. Il sentire comune, insomma, che porta l’uomo naturalmente a vivere in società.

Si tratta di una visione radicalmente opposta a quella dello Hobbes di homo homini lupus, un’antropologia pessimista ribaltata invece da Smith in una prospettiva di socialità positiva.

L’uomo “desidera naturalmente non solo di essere amato, ma di essere amabile; ossia di essere quella cosa che è il naturale e appropriato oggetto d’amore. Teme naturalmente non solo di essere odiato, ma di essere odioso; ossia di essere quella cosa che è il naturale e appropriato oggetto di odio”.

La società, per Smith, nasce dunque come continuo processo di aggiustamento(accomodation), un’operazione continua di misura volta, appunto, al raggiungimento di un equilibrio. Il filosofo scozzese usa un’immagine bellissima e lirica a un tempo: la comunità umana è come un’orchestra che, continuamente, tenta di accordarsi. Non è il concerto che conta ma, piuttosto, la ricerca dell’accordo attraverso la simpatia.

L’equilibrio sociale, così interpretato, sottende a quello economico dello scambio in cui il prezzo diventa elemento naturale in grado di soddisfare interessi e bisogni dei soggetti coinvolti nella transazione.

Smith scrive, nel pieno solco della tradizione aristotelica e antesignano di quell’Amartya Sen che, due secoli dopo la sua morte, nel 1999, vincerà il premio Nobel per l’economia (cominciando a destrutturare l’idea di benessere dominante all’interno dell’approccio neoclassico), che la socialità dell’uomo nasce grazie all’uso della parola e alla naturale propensione allo scambio.

Ci si costituisce in gruppo non per un’attitudine difensiva, quasi che la società e la divisione del lavoro fossero le uniche modalità, quasi necessarie, di regolazione dei rapporti tra economia e esseri umani. Lo si fa proprio per l’insita propensione allo scambio, per la possibilità di trovare qualcuno con cui relazionarsi, prima che scambiare merce contro denaro.

Il passo de La Ricchezza delle Nazioni (unico, in un testo di più di mille pagine) in cui appare il riferimento alla mano invisibile, è seguito da un altro brano, in cui l’autore scrive: “Chi ha mai visto un cane scambiare un osso con un altro cane”, a sottolineare la naturale umanità dello scambio.

La società non nasce perché individui egoisti e auto-interessati trovano, appunto, la divisione del lavoro come il meccanismo più produttivo per aumentare la propria ricchezza e quella di tutti. Piuttosto la comunità, l’essere insieme degli uomini attraverso la parola, non solo è preliminare al mercato e alla divisione del lavoro, ma li rende possibili.

Per dirla con le parole di Bee (2011), “Il mercato di cui parla Smith è assolutamente tangibile, sorge dai sentimenti umani, da tendenze naturali, dalla vicinanza, dal self-love, e nulla ha a che fare con quella costruzione teorica e matematica cui darà luogo Walras e al suo seguito Pareto. Se il mercato di cui parla Smith parte dal commercio della vita quotidiana (the business of common life), ed è quindi assolutamente empirico, per Walras, che non è scozzese ma francese, il mercato è un astrazione assolutamente razionale che funziona indipendentemente dalla realtà concreta”.

Proprio l’appiattimento della dimensione normativa (ciò che dovrebbe essere in un mondo auspicabile e perfettamente razionale) su quella descrittiva (ciò che effettivamente è, con tutti i limiti di una razionalità limitata) è tra le criticità maggiori del pensiero economico ortodosso. Recuperare la complessità filosofica di Smith, attraverso i suoi riferimenti alla tradizione aristotelica e i prodromi di quello che sarà l’approccio seniano, è fondamentale per riportare al centro dell’analisi economica quello che Marshall chiamava ‘uomo in carne e sangue’, dimenticato dai modelli neoclassici.

Tanto più che, per chiudere con un risultato empirico della letteratura più recente, quella neuro economica, che utilizza le risonanze magnetiche funzionali per studiare quali aree del cervello si attivano nel momento in cui un essere umano prende una decisione economica, Canessa e Motterlini (2011) hanno verificato di fatto la validità della teoria del fellow-feeling.

L’esperimento consisteva nell’osservare dei soggetti alle prese con delle scommesse monetarie che potevano comportare una perdita e, di conseguenza, del rimorso. Si è evidenziato come, per effetto dei cosiddetti neuroni-specchio, nel cervello di una persona che osserva il rimorso di un’altra, si attivano le stesse aree cerebrali deputate a gestire quell’emozione. Cioè, il tuo rimorso diventa il mio rimorso.

L’opportunità di rivedere la teoria economica alla luce della complessità del sentire umanonon può prescindere da un recupero, essenziale, dei classici e dei loro capolavori.

A cominciare dal convitato al banchetto della scuola di Chicago, Adam Smith.

Fonte: Oilproject


Relatore: Luciano Canova
Il presente articolo è stato condiviso e riprodotto dietro licenza Creative Commons
Qualora l'autore originale lo riterrà opportuno, verrà prontamente rimosso.

giovedì 20 dicembre 2012

Come al solito... Tasse Democrazia e Beghe Filosofiche

Come al solito, non riesco a star dietro a me stesso ed alla produzione volgarmente intellettuale che involontariamente esprimo e decodifico nel mio incerto incedere.
Un diverso accumulo di notizie ultimamente acquisite ha prodotto recentemente una fugace serie di miei interventi "cerebrali" che improbabilmente andrebbero raccolti in una sintesi da lasciare al libero arbitrio del sentire e percepire dei posteri, proprio perché fondamentalmente... personalmente effimeri.
Devo riconoscere, però, che alcuni argomenti, evidentemente più di atri, sollecitano la mia introspettiva analisi e riflessione.
Parlando o trattando di fattori economici si finisce, personalmente annuendo, nel solleticare dinamiche di valutazione dei rapporti sociali.
Dinamiche attraverso le quali cercare di dare un peso alle proprie e singole (conseguenti) influenze come alle improprie (perché frutto di valutazioni altrui, naturalmente) e più generali influenze comunitarie.

Allorché si tratti di tasse o di istituzioni, oggi, il cittadino minimamente "indignato" esprime la sua!
Nella speranza di essere un "primus inter pares" e mai essendo sostanzialmente conscio di esser l'ultimo tra gli ultimi, come lo stesso Cristo avrebbe auspicato... o meglio auspicherebbe tutt'ora!

Conseguenzialmente mi e vi riporto alcune elucubrazioni odierne della mia deviata mente:
- Sul concetto di tassa o presunto tale
- Sul concetto di democrazia o presunto tale

Sui concetti presunti tali ma mai energicamente e concretamente realizzati!
Tasse e democrazia dovrebbero rappresentare, sensibilmente, un rapporto tra due concetti sani di interdisciplinare e diretta "integrazione". Concetti quali Partecipazione e Collaborazione.

Nell'attualità del moderno incedere, ahimé, così non è.
In dispregio alla sostanzialità ed alla levatura concreta di queste come altre definizioni o locuzioni, tutto nella moderna società si traduce in... dissoluzione, disfacimento e disintegrazione.

In favore di chissà quale alta ricompensa o riconoscimento?
Non ci è dato sapere!
Quel che conta è la stessa dissoluzione dell'animo, fine a se stessa.

Riporto quindi di seguito, un paio di miei singoli interventi in merito a determinati articoli di cui farò mio scrupolo evidenziarne la fonte affinché sia chiaro non solo l'oggetto del contendere ma e soprattutto il soggetto, nella necessaria presa di coscienza del proprio essere, in questa come in ognuna delle realtà od epoche che siamo, saremo o fossimo stati chiamati a conoscere!

Partiamo dalla novella Tares.
La Tassa "comunale" che sostituirà quella sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani ed a cui si aggiungerà quella per il mantenimento dei servizi di pubblica utilità municipale.
Qui troverete il Link di riferimento mentre di seguito riporterò il mio commento al quale ho riservato il seguente titolo:

Muli, frane e montagne!

Ritengo che, se il problema rispetto all'attuale crisi economica fossero state solo le tasse, saremmo già un pezzo avanti.
Oltretutto, ritengo che il problema non sia la tassa.. o le tasse.. in se ma le finalità per cui vengono utilizzate, le ipocrisie con cui vengono giustificate, i mezzi con cui vengono imposte e fatte osservare.
E' fuor di dubbio che per il funzionamento di una società complessa, composta da innumerevoli individui con proprie soggettività, necessità e personalità, è opportuno anzi auspicabile la partecipazione di ognuno al bene pubblico.
Il sommo valore della condivisione e l'efficientamento dei meccanismi relazionali attraverso la collaborazione reciproca e la stessa partecipazione, dovrebbero essere dati per scontati ed assodati.
Purtroppo così non è!
Il ruolo dell'imposizione fiscale odierna e moderna è quello unico ed univoco della servitù del debito.
Inutile girarci intorno.
Le politiche di austerity sono state imposte per abbattere somme contabili artificiali.
Il primo serio punto all'ordine del giorno di ogni futuro governo, dovrebbe essere quello di una richiesta di audit internazionale, sul debito pubblico interno come su quello dell'area euro e delle economie pubbliche o private in genere.
Una seria riflessione sulle politiche monetarie. Sulla presunta e rivendicata indipendenza delle banca centrali. Quest'ultima presa a pretesto come fuorviante punto d'equilibrio tra politica, economia e società.
La denuncia della farsa dei derivati e delle cartolarizzazioni dei debiti.
La denuncia dei guadagni sulle posizioni di rendita finanziaria.
E' perfettamente inutile gridare al lupo mordendo un'altra tassa (la TARES) le cui finalità non sono certo quelle di finanziare l'illuminazione stradale urbana... magari e forse, se avanzerà qualche spicciolo!
Il drenaggio fiscale è un furto legalizzato del lavoro e della ricchezza "umana" persone (non quella materiale che dura il tempo che trova).
L'imposizione forzosa del corso monetario privato, legato ad una moneta straniera quale l'Euro, una moneta senza alcun sottostante concreto se non lo scippo delle libertà individuali e dei diritti umani universali, è un vero e proprio crimine istituzionale.
Ed ancora, a nulla serve più anche il gridarlo perché l'opinione pubblica è sorda e ferma come un mulo da soma nel bel mezzo della salita più impervia:
Non va indietro né avanti ma aspetta che frani la montagna!


Proseguiamo con il concetto di democrazia.
Così come ricavato e privato di sostanziale significato dall'anamnesi di secoli di storia umana tra filosofia, antropologia, morale, etica e politica.
Qui troverete l'ulteriore link di stimolo, grazie al quale ho sviluppato il seguente ulteriore pensiero, animato da un altrettanto enigmatico titolo:

Bulloni nel Prosecco!


Riuscire in un salto di paradigma concettuale, mi rendo conto, è un compito arduo ed insidioso.
Rimane il fatto che la realtà stessa come oggi tutti siamo portati a considerarla, ci impone dei dogmi di comprensione e visione dai quali è difficile liberarsi.
Siamo pervasi dalla necessità e dalla giustificazione del "voto elettorale" per trarre le nostre conclusioni sulle capacità o sugli opportunismi del sistema politico ma difficilmente prendiamo in esame uno di quei pochi elementi essenziali che fortunatamente, almeno, l'autore dell'articolo in link riportato è stato in grado di citare (citando a sua volta il buon Gaber): "La partecipazione".
La partecipazione non può esaurirsi in un voto.
E' un concetto che pervade, ns malgrado, l'intero percorso della ns vita.
Volenti o nolenti siamo partecipi di qualcosa.
Sta a noi decidere se esserne parte attiva o passiva.
Detto questo, auspico un progetto federativo di comunità.
No secessionista, no refrattario, no antagonista, no nazionalista o assolutista o "ista" a prescindere e quindi non elitario.
Proprio perché mancherebbe la Partecipazione propedeutica alla Condivisione, esercitata attraverso la Collaborazione!
La federazione di comunità consentirebbe a soggetti collettivi "territoriali" di poter sviluppare le loro peculiarità in un ottica di collaborazione con l'altro, attraverso il confronto con altre comunità limitrofe e.o affini e.o lontane e.o dissimili esse possano essere.
Al contempo consentirebbe la Partecipazione e la Responsabilizzazione degli individui, elementi cardine della stessa comunità!
Una Repubblica Federale basata su di una Camera Alta Territoriale ed un Camera Bassa rappresentativa della Comunità Nazionale. In cui le istanze delle due camere siano funzionali al principio non di delega e vuota rappresentanza ma al sacrosanto principio di tutela del confronto (tra diverse comunità) e concreta rappresentanza delle comunità stesse all'interno di un complesso istituzionale e sociale più ampio (visto che al mondo non viviamo tutti ed ognuno su di un isola deserta!).
La democrazia avrà pure assunto connotazioni di opportunistica interpretazione, aggiornata dalle oligarchie al potere, ciò non toglie che le parole come i termini linguistici e le teorie filosofiche, rimangono dei semplici mezzi di comunicazione della comprensione della realtà da parte dell'uomo.
Una realtà che, in ultimo, dipende dall'uomo stesso e non dai termini o dalle filosofie.
Se per primo l'uomo è marcio allora marciranno tutti i suoi progetti.
Se per primo l'uomo è predatore allora la democrazia sarà un altro strumento con cui assoggettare il prossimo.
Il salto di paradigma giace pertanto in questo assioma, tra uomo e mezzo:

- più è virtuoso il primo e più efficace sarà il secondo;
- più è gretto il primo e più disastroso sarà il secondo.

Parafrasando il Marchionne magistralmente interpretato da Crozza, non pretendo che nessuno sia d'accordo con quello che scrivo. Al tempo stesso denuncio il Landini della Fiom che continua a farmi gli scherzi mettendo i bulloni nel mio prosecchino!

Ed infine
Un saluto,
Elmoamf

martedì 18 dicembre 2012

Realismo e Pragmatismo o Realismo e Rassegnazione ?


"Abbisogna essere realisti"
Ovvero
Previsioni sullo Scenario politico futuro nella prossima legislatura della Povera Italia!

Riprendo di seguito un commento odierno (in altro ambito lasciato) frutto di un barlume di coscienza, la quale ogni tanto riemerge da quei fondali ed abissi in cui ha deciso di auto-confinarsi.

Si parla di Europa!
L'Europa dell'Euro e del Mercato Unico.
L'Europa della Commissione Europea e dei trattati internazionali.
L'Europa della finanza e della tecnocrazia.
L'Europa dei politici, dei creditori e dei debitori.
L'Europa degli Stati e delle marionette e della BCE e della Troika.
Infine l'Europa dei piani di salvataggio, dell'accentramento del potere, degli organismi finanziari e sovrannazionali, delle dicerie di corridoio e degli accordi sottobanco, dei politici di destra e di quelli di sinistra, dei politici in genere e della Merkel (il Diavolo in Corpo), della Germania Padrona e della sudditanza mediterranea. Dell'Italia che non reagisce e che accondiscende. Di un popolo che segue solo l'olezzo di crauti e porridge, di camembert e tulipani. Di un popolo che non è capace di reagire e dice sempre di si all'imperio di turno. Di opportunismi e posizioni falsamente antagoniste...

Ecco, in questo scenario oserei esporre alcune mie piccole e misere conclusioni.
Non prima di aver introdotto, quale utile prefazione, le seguenti ed ulteriori spicciole analisi.

Il mio riferimento, quale musa ispiratrice naturalmente, è stato un breve articolo pubblicato in data odierna dal sito Wallstreetitalia in cui si porta in evidenza una possibile e ventilata uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, ventilata dallo stesso Primo Ministro in pectore: David Cameron.

La questione, a mio avviso, non dovrebbe riferirsi al se e quando uscirà l'Inghilterra o l'Italia o la Germania o qualsivoglia altro disastrato paese continentale da un sistema istituzionale volutamente stantio come l'Europa, che sembra ad oggi voler inevitabilmente e scientemente esalare i suoi ultimi respiri... democratici!
Ma (e mi scuso per il ma "introduttivamente" inopportuno per un nuovo inizio frase ma "drammaticamente" necessario al tempo presente per un risveglio almeno e quantomeno della coscienza sociale)... al se e quando l'Europa ed i suoi cittadini più genuini saranno in grado di decidere in tutta sincerità, onestà e serenità quale sia per loro l'assetto sociale più consono, solidale e costruttivo per il futuro!

Da tale angolazione o diagnosi o sintesi della realtà va calata la seguente disamina sulla "Prospettiva Nevskij" della realtà politica italiana, composta da cialtroni, presunti ed aspiranti tali.

L'Italia è il paese dei burattini e delle marionette, dove troneggiano le figure comiche della farsa carnevalesca.
Ci si traveste da buontempone come da illustre vate e condottiero, non tralasciando il vate profetico od il profeta in abito talare.

Svilendo la figura stessa del vate, del profeta, dell'umile uomo in saio, dell'umile uomo calato nel rigore dell'impegno civile.

Siamo tutti noi un popolo di "indignados" ma pochi genuinamente meritano tale appellativo di sostanza... i più vagano nell'indignazione da biblioteca, da bar o da circostanza!

Ed ecco di seguito la mia dissacrante speculazione sulla realtà politica italiana:


Bisogna essere realisti (purtroppo aggiungerei).
Lo scenario politico italiano, già pronto per la prossima legislatura, presenta in pole position nientemeno che il PD di Bersani.
Fautore del Governo Monti e del "Più Europa", "Ce lo chiede l'Europa".
La nomenclatura di cui sarà composto, rimarrà sostanzialmente la stessa.
Al di fuori di questa pantomima sguazza il "giovane" Berlusconi animato, come il Giovane Holden, da una ribellione fine a se stessa.
Ossia, in tal caso ed ancora una volta, "interessata".
Berlusconi ed il suo entourage si muovono in perfetto unisono verso tutto ed il contrario di tutto:
- si primarie, Berlusconi Premier
- no Europa, Monti candidato da appoggiare
- spread arma di ricatto, ok al fiscal compact
- via l'Imu, ok alla fiducia sul decreto "salva italia"
- Germania cattiva, popolo italiano pecorone
Berlusconi e le sue starlette, nonostante i sondaggi siano fatti solo per la tv, sono "straordinariamente" ancora popolari e quindi saranno nuovamente della partita.
Poi c'è il centro moderato coi vecchi amici di sempre dell'Udc ed i nuovi amici di oggi alla Montezemolo!
Poi abbiamo gli economisti pseudo antagonisti di Fermare il Declino.
E poi i partiti dalle personalità poliedriche e sfuggenti, finto intellettuali e non intellettuali per scelta o per natura.
Partiti tra i quali annoverare tutto lo scibile politico, tra fronzoli di antica destra e sinistra ideologica e nuovo attivismo civico:
IDV - SEL - LA DESTRA - COMUNISTI VARI - DEMOCRISTIANI VARI - EX AN VARI.
Infine il contenitore per antonomasia del dissenso odierno: il M5S.
In quest'ultimo caso, con tutto il rispetto per l'impegno civile dei giovani del terzo millennio, avrei auspicato una maggiore capacità critica individuale e collettiva.
Il dogmatismo partitocratico, a mio avviso, non si combatte con un altrettanto dogmatismo "web".
Gridare allo scandalo nella gestione della cosa pubblica facendo leva sulla sensibilizzazione dal basso della società civile...
...dovrebbe supporre non solo alti ideali... soprattutto valori concreti e sostanziali.
Il volontariato sociale è un valore concreto mentre le diatribe che emergono in rete o le cavalcate anti casta lasciano il tempo che trovano.
Fermo restando che anch'esse come il famigerato web-marketing incidono profondamente sulle dinamiche reali.
Molto più, naturalmente, di un anonimo volontario nella giungla delle necessità umane di base.
Questa è una mia personalissima conclusione e non pretendo o presumo alcuna verità ultimativa, inviterei però ognuno di noi a fare un piccolo esame di coscienza ed un sano bagno di umiltà.
E per gli attivisti del M5S (unica vera novità che sfida coraggiosamente il cambiamento ed ai quali ho comunque sempre riconosciuto e riservato il beneficio del dubbio nella speranza che alla genuinità supposta seguano anche atti concreti e sinceri), suggerirei, comunque, di visitare più e più volte il sito della Casaleggio, con il suo fantomatico video sulla società del futuro sul quale doverosamente riflettere!
Lo stesso prossimo futuro ci riserverà e consegnerà, in merito alla composizione delle forze parlamentari, una platea di personaggi che risulteranno:

1) Ridicoli per chi si indigna
2) Salvatori per chi ritiene di esser sempre dalla parte del giusto con le sue scelte
3) Santi per chi chi ragiona attraverso dogmi
4) Profeti per chi manca di capacità critica
5) Buffoni per chi ha ormai perso ogni voglia d'impegnarsi
6) Adeguati per chi valuta la società italiana per quello che è (con un'estrema punta di amarezza)
7) Ipocriti per chi ha abbandonato ogni speranza nella REDENZIONE UMANA

Personalmente ed attualmente mi rispecchio nell'ultima categoria.
Non dispero però che le cose possano in ultimo cambiare.
Fuori dallo scenario ipotizzato si muovono.. ed hanno ancora la forza di farlo, molte altre formazioni (politiche o civiche che siano) che hanno qualcosa da dire, spiegare, raccontare e proporre.
Andrebbero cercate e seguite con più costanza ed impegno da parte di ognuno.
L'indignazione da sola è funzionale alla farsa ed all'ipocrisia della "Casta" (in questo caso si il termine risulta per me corretto).
L'Italia, o meglio ancora la società, ha bisogno di più coerenza e serietà, a partire dalle piccole cose di tutti i giorni.
Non si può continuare a lanciare il sasso e nascondere la mano.
Proverbio che vale per me che scrivo come per chi avrà la pazienza o la voglia di leggermi!

Un saluto,
Elmoamf

mercoledì 12 dicembre 2012

NESSUNO USCIRA' VIVO DA QUI

VENERDÌ 15 GIUGNO 2007

NESSUNO USCIRA' VIVO DA QUI

An American Prayer


Lo sapevi che la libertà esiste
Nei libri di scuola
Lo sapevi che i pazzi dirigono la nostra prigione
Dentro una cella, dentro una galera
Dentro un bianco libero protestante
Maelstrom
Siamo appollaiati a capofitto
Sul ciglio della noia
Ci sporgiamo verso la morte
all’estremità di una candela
Sondiamo attorno per qualcosa
Che ci ha già trovati […]
La morte ci rende tutti angeli
E li mette le ali
Dove avevamo spalle
Lisce come artigli
Di corvo.
Basta coi soldi, basta coi vestiti pazzi
Quest’altro reame pare di molto il migliore
Finché nell’altra sua fauce l’incesto non appare
e scioglie l’obbedienza ad una legge vegetale
Non ci vado
Preferisco una festa d'amici
Alla famiglia del Gigante

(Jim Morrison – American Prayer)

Notte insonne.
Una telefonata che non arriva e che non sgombera la mente da pensieri inquieti.
Arriva, poi, un attimo prima del definitivo scoramento.
Il sonno se n’è andato all’improvviso, allora resti lì, giochi col telecomando, sbatti su un canale satellitare francese.
Immagini già depositate da qualche parte della memoria, dove non credevi di averle riposte, in attesa di un qualcosa di indefinibile.Sullo schermo tremolano vecchi brani di film: un incontro sulla spiaggia, due teste piegate all’ eterno moto dell’onda, i Doors in scena, Jim Morrison che alza il volto alla luce, agnello dalla dura carne; l’ ebete sollievo dell’alcool, l’ esorcismo della poesia, lo sciamano cui viene strappato il velo, mostrando un volto senza età, la lingua della lucertola che schiocca:
"that's the end..of the game, the end of the night...";
colore che va e viene, Jim che viene e basta.

Questa, dunque, "la fine della notte".
Più nessuna richiesta, per il passato o il futuro.

Allora ripensi a tutto quello che la storia ti ha lasciato dentro, su questi Doors, esistiti nella cruciforme Los Angeles delle illusioni, una foto stampata in giallo e nero, legati all’ albero, trafitti al cuore. E su cosa rappresenti Jim Morrison, che solo un fenomeno sociale come quello della mitizzazione delle rockstar e la spocchia di molti intellettuali benpensanti hanno tenuto lontano dalla categoria "letteratura", ed hanno impedito di prenderlo seriamente in considerazione come poeta, e poeta di talento, sulla scia di molti altri artisti "maledetti" riconosciuti, ma morti troppi anni fa per essere avvertiti come minaccia. Per esempio, Rimbaud, che Morrison amò al punto di scrivere una lettera appassionata ad un autorevole accademico americano che ne aveva curato la traduzione, Fowlie Wallace, ringraziandolo per il suo lavoro. A distanza di anni da quell'evento e dalla morte del giovane Jim, l'anziano accademico esperto di letterature comparate, ha scritto un saggio molto affascinante "Rimbaud e Jim Morrison. Il poeta come ribelle" (ed. Il Saggiatore). Quanto è lontana quest'immagine di Jim Morrison da quella descritta dal film di Oliver Stone e da tanto sensazionalismo fondato sulla ben nota ed ormai logora trilogia "sesso, droga & rock and roll"! La realtà è che nel 1968, l'allora venticinquenne Jim Morrison, nel pieno del suo successo, quando le cronache raccontano solo le sbronze epiche, gli abusi di droghe e le avventure con le grupies, è al contempo un fine lettore di poesia e letteratura francese, talmente inebriato dai versi del poeta "maudit", da sentire l'urgenza di scrivere all'illustre accademico - con la presunzione e la sicurezza che solo un'artista consapevole delle proprie qualità può permettersi - per complimentarsi con lui per il suo libro su Rimbaud.
Questo è solo un aneddoto ed uno dei moltissimi elementi che rivelano un Jim Morrison sconosciuto ai più: il grande poeta che egli sentiva di essere, al punto da rinnegare, negli ultimi mesi di vita, quel ruolo di rockstar che il fato gli ha cucito addosso, con la complicità del suo ego e di un pubblico giovanile desideroso di trovare uno sfogo ed una rappresentazione alla sua ansia di ribellione alla bigotta società americana (forse) degli anni '60.
Jim Morrison, la versione per l’inferno del paradisiaco Nick Drake, era uno studente brillante, originale, un divoratore di libri, anche insoliti e sconosciuti dai suoi stessi insegnanti, che lo adoravano per la sua intelligenza fuori dal comune e per la passione che infondeva nello studio, uno studio non ortodosso, non costante, non convenzionale, ma così vitale, autenticamente vissuto, da indurre i professori a lasciarlo fare ed anzi, a confrontarsi con lui in lunghi ed eruditi dibattiti che spesso lasciavano a bocca aperta i compagni di classe, e questo sia negli anni di liceo sia all'Università di Cinematografia dove si laureò.
Jim Morrison era ben conscio della sua profonda intelligenza.
James Douglas Morrison è sempre stato reticente sul proprio passato; "non voglio che venga coinvolto chi vuoi starsene fuori". Di lui si conosce una data di nascita (8 dicembre del 1943); una carriera scolastica che lo fa approdare, alla fine, alla UCLA, al Corso di Cinematografia. "Il cinema non conosce principio d’autorità" come scrive sulla sua resi di laurea "Tutti possono inventare un film nella propria mente. E la mancanza di esperti fa sì che, almeno a livello tecnico, ogni studente sia in grado di saperne quanto un professore…E' una sorta di scultura umana. In un certo senso è come l'arte, poiché dà forma all'energia, e in un altro senso è una sorta di consuetudine o ripetizione, uno schema ricorrente o una sacra rappresentazione significante. Pervade ogni cosa. E' come un gioco".
Lo stesso concetto può applicarsi alla sua musica.
Nel luglio del 1965, Morrison comincia a parlar di musica con Ray Manzarek, un compagno di scuola che si diletta a suonare le tastiere. Gli recita i testi di numerose canzoni già pronte. Ray contatta il batterista John Densmore. Due mesi più tardi, con i fratelli di Manzarek, Rick e Jim, alla chitarra, i Doors hanno già approntato un nastro di prova con dodici canzoni da sottoporre alle case discografiche.
Uno "scopritore di talenti" della Columbia Records, Billy James, rimane impressionato dal potenziale del complesso ed impone ai cinque un contratto a breve termine.L’ accordo però non ha seguito e i Doors tornano ad esibirsi nei locali notturni di Sunset Strip. Robbie Krieger, un chitarrista proveniente dalla giungla di musicisti californiani, si unisce alla formazione al posto dei fratelli Manzarek e il gruppo trova un ingaggio fisso al "Whisky at Go Go", per un periodo di quattro mesi. I Doors crescono in maturità musicale, Jim, dal canto suo, sulla scena si dimostra onnipotente; ed il gruppo comincia a raccogliere un notevole seguito di ammiratori. Il presidente della Elektra, Jack Holzman, li vede al Whisky durante la lunga permanenza e, dopo qualche esitazione iniziale, intavola con il gruppo serie trattative. L’ autunno del 1966 vede i Doors in studio, a registrare il primo album.
L’anima di William Blake presenzia al loro battesimo: "Ci sono cose che conosciamo e cose che ci restano ignote; in mezzo stanno le porte della percezione." Per anni questa frase verrà, erroneamente, attribuita a Jim stesso…
Il produttore Paul Rothschild qualche mese dopo in un’intervista su "Crawdaddy" ricorda: "Non ho mai provato tanta commozione in sala d’incisione .Mi impressionava il fatto che per la prima volta o quasi nella storia del rock and roll un vero e proprio dramma veniva registrato su disco". The Doors dimostra interamente le possibilità del complesso: i diversi brani rivelano le svariate facce della poliedrica personalità del gruppo. Per una "Back Door Man" che mostra le credenziali erotiche (e "Soul Kitchen" non è da meno), c’è "Twentieth Century Fox" con abbagliante neon di California e, un passo oltre, il quadro d’ epoca di "Alabama Song (Whisky Bar)", una canzone di Bertolt Brecht e di Kurt Weill. "Light My Fire" è il pezzo di punta (senza il lungo inciso strumentale sarà il primo, trionfale singolo), mentre "The Crystal Ship" offre passaggi per regni inesplorati, l’ "altra parte" di cui era evocata una traccia misteriosa in "Break On Through".
Lo sforzo definitivo dell’ album, "The End", è la canzone che chiude gli spettacoli dei Doors: creature dall’ incedere lento, che Morrison aveva voluto come liquido affresco di volti e immagini reduci da faticosi viaggi. "Vieni, bimba, prova con noi" è il grido lusingante, che rimarca terrori reali o immaginati e pulsazioni fosforescenti, disfacimento. Giù, lungo i corridoi, oltre ogni visione, incontro all’ abbraccio edipico. "Padre, voglio ucciderti. Madre, voglio fotterti... ", linguaggio bestiale dell’istinto primigenio. "Provai la sensazione di una purificazione emotiva" spiegò Rothschild nella già citata intervista a "Crawdaddy". "C’erano altre quattro persone nella cabina di regia, quando la registrazione terminò, e ci accorgemmo che il nastro continuava. Stavamo tutti ad ascoltare, sembrava quasi che le macchine da sole sapessero cosa fare. "
In modo fulmineo, Morrison e i Doors balzano alla celebrità, diventando i cuccioli prediletti dell’ underground americano. Quando "Light My Fire" sale in testa alle classifiche nazionali, nell’ estate del 1967, la base del loro successo si allarga ulteriormente; l’ispirata sensualità di Morrison trova posto senza fatica sia tra le pagine di "Vogue" che tra i fogli delle riviste giovanili. Per rendere l’idea, in tempi più recenti, solo Kurt Cobain ha una simile gloria.
In scena, l’ artista continua a superarsi, trova giustificazioni culturali alla propria sfacciataggine, muove tra il pubblico, coltiva frenesia e rabbia, tutt’uno col microfono. Sempre sull’ orlo del rischio, Morrison dà tutto di sé, come se ogni spettacolo fosse l’ultimo.
Arrivano, rapidamente, tempi più cupi. Paralizzati dalle opposte richieste del pubblico (chi voleva canzoni di successo, chi domandava "arte"), i Doors si trovano nella incapacità di conciliare le domande in maniera soddisfacente. Morrison, soprattutto, pare ora scoraggiato, ora pieno di stimoli. "La mia è una sorta di scultura umana" spiega a "Rolling Stone" "simile all"arte, perché dà forma all’ energia.., una consuetudine, qualcosa che si ripete, un progetto che abitualmente ricorre, una sagra con un certo significato. Qualcosa che pervade tutto." Troppo spesso, però, accade che i suoi tentativi di creare un certo clima cadano nell’ indifferenza; e se, d’ altro canto, l’ artista decide di portare una situazione alle estreme conseguenze, eguale disagio può leggersi negli occhi del pubblico.
Tutto questo viene reso chiaro dal secondo disco, dove vibra proprio quest’ aria donchisciottesca. Con Strange Days, la poesia si fa più formale ("Horse Latitudes"), la spavalderia più evidente ("Love Me Two Times"), il mosaico surreale di "The End" diventa l’ invocazione stridente di "When The Music’s Over". Ma i Doors, come la maggior parte della loro generazione, non ha ancora deciso cosa farsene del mondo, una volta arrivati alla stanza dei bottoni. In un certo senso, la svolta si era avuta con "Light My Fire".
Morrison cerca di comporre la frattura, ma finisce col peggiorare le cose. In "The Unknown Soldier", un brano del 1968 con tanto di accompagnamento scenico, sacrifica il proprio Io al grido di "La guerra è finita", sopravvivendo in scena per annunciare la buona novella.
Troppo facile.
Come troppo semplice è il suo messaggio al mondo della follia, dei sogni ebbri, della schizofrenia: con la stessa disinvolta facilità, si poteva starne certi, Morrison può diventar poeta segnato dal cielo. Con "Celebration of the Lizard" prende corpo un vecchio disegno epico; pure, del lungo episodio viene inciso un solo frammento, "Not To Touch The Earth". Col passar del tempo, la musica acquista in tessitura e ricami; Morrison, dal canto suo, scava la terra dell’ intima fantasia, materia ricca e grassa, secondo i riti della fertilità naturale. Ma forse la partita si gioca anche "dentro"; le pretese di una pop star contro le pretese di un artista. E forse era troppo presto per capire che la soluzione era a portata di mano, che le due cose potevano conciliarsi benissimo.
Comunque sia, il comportamento di Morrison si fa sempre più capriccioso; il culmine venne raggiunto nel marzo del 1969, quando l’ artista è arrestato durante un concerto al Miami’s Dinner Key Auditorium con l’ imputazione di "oscenità e comportamento lascivo in pubblico, per aver mostrato parti intime del corpo, simulando altresì la masturbazione e la copulazione orale"; le accuse più gravi vengono in seguito a cadere, ma Morrison finisce con l’ esser visto di malocchio da quelli del "giro" pop.
E poi ci sono altri problemi; i Doors hanno bisogno di fermarsi e di ripensare alla propria esperienza. I dischi di successo ("Tell All The People", "Touch Me") continuano senza sosta, la qualità dei 33 giri si mantiene elevata (alcune tra le opere migliori ancora dovevano arrivare; così The Soft Parade, così Morrison Hotel, con il suo sguardo al passato rock, e Absolutely Live, con la stesura completa della Celebration). Pure, Morrison capisce che è tempo di fermarsi a far benzina.
"Penso di essere una persona intelligente, sensibile, con l’anima di un clown che finisce sempre per risaltare, nei momenti più importanti" confessò a "Rolling Stone", candido più di un giglio.
Incapace di trovare una soluzione con i Doors, Morrison prova a cercarne una senza il complesso. Per L.A. Woman, settimo e ultimo disco per la Elektra, opera più che tranquilla, il gruppo decide di usare i propri studi personali. Pur continuando a bere come un tempo, Jim pare calmo, arrivato a un certo equilibrio; pubblica un libro di poesie, "The Lords and the New Creatures", e in altri volumi a tiratura limitata (così "An American Praver", nel 1970) dà libera espressione alla propria personalità.
Tradotti anche in italiano, su volontà dell’artista ("Tempesta elettrica" – Arcana Editore- 1970), incontrano notevole successo, ed il gruppo comincia ad essere conosciuto anche da noi, complice un giovanissimo Carlo Massarini ed un illuminante Paolo Giaccio, che nella neonata trasmissione radio "Per voi giovani" diffondono il Verbo e creano un’icona.
Manca poco alla fine, però, meno di quanto Jim possa immaginare.
L.A. Woman è il suo testamento a Hollywood, canzoni come "Riders On The Storm" (la mia preferita in assoluto) gridano a tutti la sua inquietudine, la precarietà della non esistenza e dell’alienazione. Ormai giunto nell’ "altra dimensione", Morrison si sente senza personalità precisa, incapace di tornare al punto di partenza. Consapevole di tutto ciò, lascia la California e fissa nuova residenza a Parigi, con la moglie Pamela. I Doors si abituano a lavorare senza di lui, operando in trio. Dopo aver cercato invano di mantenere la vecchia ditta senza il capo originale, John e Robbie formano la Butts Band. Ray Manzarek, dal canto suo, ritaglia un piccolo spazio personale, ostinandosi ad esibirsi come solista.
A Parigi, Morrison non esce dal "giro", tiene contatti telefonici con i vecchi amici e con gli "uomini del potere". Disturbi alle vie respiratorie hanno notevolmente diminuito la razione giornaliera di fumo; lontano dalle scene, Morrison scrive copiosamente. Il 3 luglio del 1971, si alza di buon’ ora per un bagno; Pamela lo trova lì, nella vasca, "un mezzo sorriso dipinto in faccia ", morto per infarto. La notizia non viene resa pubblica per parecchi giorni, sin dopo la sepoltura, avvenuta senza clamore nell’ angolo dei poeti del cimitero di Père Lachaise, a Parigi. "Non ci furono onoranze funebri" raccontò il manager Bill Siddons. "Solo qualche fiore, un po’ di polvere, il nostro saluto". Superfluo dire che tuttora è un continuo peregrinare di ragazzi di tutte le età, un tributo ad un poeta troppo giovane per diventare maledetto e troppo sensibile per diventare "vecchio".
Si lasciò morire per epica stanchezza esistenziale?
Scomparve per liberarsi da se stesso?
Tutto questo non lo sapremmo mai, ma nello storico cimitero del Père-Lachaise di Parigi i visitatori assicurano l’immortalità a

James Douglas Morrison
1943-1971
Artista, poeta, compositore

Così è scritto sulla sua tomba, dichiarata monumento nazionale.
Consegnandosi (consapevolmente o no) alla morte, Jim Morrison si è, comunque consacrato all'eternità.
Ci piace ricordarlo con questo ritratto:
"L'alcol era la panacea di Jim, la pozione magica che rispondeva ai suoi bisogni, risolveva i suoi problemi e gli appariva storicamente come 'la cosa da fare'. La sua distruzione era armonica rispetto all'immagine dionisiaca con cui si era identificato e che amava diffondere; era anche saldamente radicata nella tradizione culturale americana" (tratto da "Nessuno uscirà vivo di qui", J. Hopkins, D. Sugerman, ed. BluesBrothers).
Jim era perfettamente consapevole anche quando beveva. Amava dichiarare: "quando ti ubriachi, sei completamente controllato...fino a un certo punto. Ogni sorso che bevi è una scelta. Hai tante piccole scelte. E' come...credo che sia la stessa differenza che corre tra il suicidio e la lenta capitolazione".
E il valore di carburante creativo che attribuiva all'alcol e quindi il suo grande amore per la poesia sono espressi in questi versi:

"Perché bevo?
Così posso scrivere poesie.
Talvolta quando si è a fine corsa
ed ogni bruttura recede
in un sonno profondo
c'è come un risveglio
e ogni cosa rimasta è reale.
Per quanto devastato è il corpo
lo spirito cresce in energia.
Perdona a me Padre poiché io so
quello che faccio.
Io voglio ascoltare l'ultima Poesia
dell'ultimo Poeta"

Pubblicato da Massenzio

Spread e Dogmi Religiosi

Riprendo qui un ulteriore articolo del Buon TEMPESTA PERFETTA che sempre si dimostra capace di estrinsecare, in termini diretti e di facile dominio, concetti spesso vittime di abusata saccenza, superstizione o superbia.
L'argomento è quello topico dell'illusione dei "Mercati".
In quei termini e sensi inequivocabilmente appropriati rispetto all'odierno viver quotidiano.
Sì, i Mercati!
Non quelli della frutta e verdura, abbigliamenti e suppellettili, pizzicagnoli o pescivendoli...
No, quei Mercati avulsi da ogni sistema oggettivo ed obiettivo di valutazione delle umane genti.
I Mercati del Potere dove il cruccio si evince come naturale sottomissione al volere del padrone.

Ora, richiamandomi ad una metafora religiosa..anzi più correttamente ad un parallelismo di stampo religioso cui alcune asserzioni intrinseche hanno contribuito nello sviluppo, oltre all'articolo mi permetto la pubblicazione di un esimio mio pensiero riguardo al ruolo stesso di "cotanta" religione.

Nato come un commento all'articolo in questione, più opportunamente si è tradotto in un corollario alla presente esposizione del medesimo articolo.

Pertanto lo lascerò emergere tra i fondali di questa pubblicazione affinché, indipendentemente dalla mia personale volontà, trovi libero sfogo presso chi ne riterrà opportuna la sua intrinseca lettura.

Un saluto,
Elmoamf

LA DITTATURA DELLO SPREAD
E IL PROGRAMMA DELLA SHOCK ECONOMY IN ITALIA


Ieri è stata una giornata di fibrillazione e passione in Italia: tutti gli occhi degli analisti, degli opinionisti e degli organi di informazione erano puntati sull’andamento dellospread, che dopo essere sceso nei giorni scorsi intorno ai 300 punti base, è risalito sopra quota 350 punti base. L’indice di Piazza Affari è crollato di -2,21%. I titoli bancari sono andati a picco. L’Italia si è avvicinata di nuovo pericolosamente al cosiddetto baratro. Visi preoccupati dappertutto, catastrofismo a fiotti, paura sparsa a piene mani e raffiche di dati allarmanti. Persino il Vaticano ha ritenuto opportuno pronunciarsi, per bocca del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Bagnasco: “La casa brucia. Irresponsabile chi pensa a sé. Non si possono mandare in malora i sacrifici di un anno. Monti? Errore non avvalersene in futuro”. Ma cosa è accaduto di così straordinariamente minaccioso per l’Italia? Come mai la propaganda di regime italiana si è mossa all’unisono con tanta aggressività e compattezza? E’ accaduto un fatto normalissimo. Uno dei partiti di maggioranza, il PDL, che appoggiava ilgoverno dei banchieri guidato da Monti ha avuto l’insolenza di dire la verità: tutti i dati economici, dal PIL,all’occupazione, alla produzione industriale, ai consumi, ai risparmi, al debito pubblico, alla pressione fiscale sono peggiorati dopo un anno di governo Monti, e quindi il PDL ha preferito non garantire più il suo sostegno incondizionato. Cosa c’è di tanto strano in tutto questo? Niente. E’ una normalissima dinamica democratica che si ripete da sempre in tutti i paese che possono ancora reputarsi tali. Tuttavia nello stato di diritto di eccezione in cui si trova incastrata da anni l’Italia all’interno dell’eurozona, commissariata di fatto dai "mercati" finanziari, ogni azione, che abbia una lontana parvenza di democraticità, diventa incredibilmente pericolosa e delicata.

Tralascio ovviamente tutto lo squallore dei tatticismi e delle questioni interne al PDL, basate su alcune rivendicazioni tipiche di un partito padronale (la riforma della giustizia, la legge sulle intercettazioni, l’incandidabilità dei condannati etc), e vado subito al sodo: in linea di principio la bocciatura al governo Monti non fa una piega. I presunti tecnici, che in realtà sono solo degli sciacalli mercenari al soldo degli interessi dei grandi poteri finanziari internazionali, hanno fallito su tutta la linea e qualcuno doveva farglielo notare a livello pubblico e istituzionale. In realtà, prima della bocciatura del PDL, il governo Monti allineato ai principi folli dell’”austerità espansiva” dell’eurozona era stato bocciato addirittura dal FMI, che senza mezzi termini ha dimostrato in un suo documento, con tanto di grafici e dati inequivocabili, che continuando a fare tagli alla spesa pubblica e aumenti di tasse la situazione economica avrebbe finito per peggiorare inesorabilmente. Tutti i più accreditati ed autorevoli economisti del mondo, da qualunque latitudine del globo, hanno fatto notare a più riprese, non senza qualche accenno di ironia e sarcasmo, che la strada percorsa dall’Europa è senza ritorno e non ha via di uscita. Chi governa oggi in Europa probabilmente sa già di stare percorrendo una vicolo cieco, che prefigura la recessione come unica soluzione alla crisi: secondo loro, la deflazione dei salari dei lavoratori è l’unico modo per incoraggiare i nuovi investimenti, mentre la deflazione dei prezzi favorirà alla fine i consumi, perché la ricchezza finanziaria reale accumulata dalle famiglie aumenterà il suo potere d’acquisto e chi ha qualche risparmio da parte sarà invogliato a spendere. Chiariamo subito che una tale eventualità non è mai accaduta in passato nella storia del mondo, perché sappiamo bene quanto pesino le pessime aspettative e l’incertezza sul futuro sulle scelte di investimento e di consumo degli agenti economici, eppure l’Europa continua ad andare avanti e ad incoraggiare quei governanti che assecondano indefessamente questa strategia suicida di stampo neoliberista, mercantilista ed imperialista. Perché?

Perché i tecnocrati europei non sono affatto interessati alla ripresa economica nel vecchio continente. Assolutamente no. Quella caso mai arriverà per sfinimento, quando i lavoratori, i sindacati saranno sfiancati e accetteranno tutte le ricette amare imposte dai loro governanti, rassegnandosi ad una vita di indigenza senza fine e smettendo persino di nutrire aspettative per il futuro. L’intenzione dei tecnocrati europei, in perfetta sinergia con gli interessi finanziari dei “mercati” che sono i veri committenti del miope progetto europeista, è invece quello di legittimare il loro predominio assoluto e annientare qualsiasi timida reazione democratica da parte della popolazione. Cosa fa un monarca, un despota, un dittatore quando vuole dimostrare la forza della sua reggenza e mortificare le resistenze dei sudditi? Impone delle misure impopolari e assurde, che in qualsiasi altro contesto sarebbero ritenute senza senso e disumane. Non lo fa per sfizio, per spregiudicatezza o malvagità ma solo per unpreciso calcolo psicologico, che deve condurre a determinati risultati. Anche il Dio cristiano agì così con i suoi patriarchi, chiedendo addirittura ad Abramo di uccidere il figlio Isacco per dimostrare la sua abnegazione e fedeltà al divino. Un pensiero unico monocratico, monoteistico si fonda su queste premesse, deve essere innanzitutto accettato incondizionatamente per fede, e non presuppone nelle fasi successive un lavorio razionale della mente. Anzi, più si affievolisce la ragione e maggiori sono le probabilità che la fede si corrobori, e inversamente, più ci si incaponisce sul ragionamento e sulla logica e più si finisce per allontanarsi dalla via della salvezza fideistica e si viene etichettati come eretici. Togliamoci subito dalla testa che i tecnocrati europei siano quindi stupidi, incapaci, incompetenti, perché non è così. Loro sanno perfettamente quello che fanno, sanno che lo scopo dell’euro è quello di annientare i salari e i diritti democratici delle popolazioni e continueranno a sostenere questo piano finché non verrà cancellato persino il dubbio nella mente degli ultimi irriducibili riluttanti che ci sia qualcosa di sbagliato in tutto questo.

Per abbattere gli ostacoli che li separano dal loro obiettivo e piegare le residue spinte democratiche che qua e la vengono dal basso, i tecnocrati europei spingono molto sull’incessante opera di pressione della propaganda di regime, che deve essere a reti unificate, capillare, implacabile, compatta, intrisa da una sfilza di messaggi subliminali che devono avere lo scopo di rassicurare il popolo, il volgo e di abituare i sudditi a considerare lostatus quo totalitario come altamente desiderabile. Volete un esempio? Ieri, uno degli eurocrati che è andato a ritirare ad Oslo il Premio Nobel per la Pace, consegnato non a caso all’Unione Europea nell’anno del suo più basso consenso popolare, ha fatto riferimento ad un quadro del pittore senese del Trecento, Ambrogio Lorenzetti, come significativa ed evocativa immagine a cui richiamarsi: l’Allegoria del Buon Governo (vedi sopra). Guardatelo bene quel quadro, in modo da poterlo imprimere nella mente. Cosa vi suscita istintivamente? Non ci vuole molto a capire che si tratta di un riferimento esplicito ad una forma di governo particolare: la monarchia teocratica. A sinistra siede in trono la Giustizia retta dal divino, e a destra si erge imperioso il Monarca con tanto di scudo e di lancia. In mezzo e sotto queste due Autorità ultraterrene e insindacabili si trovano le masse, il formicolio brulicante della gente, i popoli, le persone comuni, che come sempre accade in questi casi vengono raffigurate di dimensioni molto inferiori e in atteggiamento spesso implorante, supplichevole, ammirato e ossequioso nei confronti dell’Autorità. Gli angeli della Giustizia da una parte decapitano gli eretici, i disubbidienti e dall’altro premiano i mercanti, la gente operosa, che si impegna per donare i frutti del duro lavoro al Monarca.

Voi vi domanderete, non è un po’ fuori luogo associare l’immagine moderna dell’Europa a quella di una monolitica monarchia teocratica di stampo medievale? Ma è scemo l’eurocrate a richiamarsi a quel quadro tantoreazionario e anacronistico, che potrebbe suscitare non poche critiche e obiezioni di opportunità? E io vi ripeto no, l’eurocrate non è scemo per niente, la sua è una scelta voluta e ben ponderata, perché lui voleva proprio approfittare di un’importante occasione ufficiale per sedimentare nell’immaginario collettivo il messaggio che intendeva lanciare: l’Europa è un’Autorità ultraterrena che sta al di sopra delle parti, fatta di tecnocrati ed oligarchi che credono ciecamente nell’infallibilità inappellabile dei “mercati”, nella permanenza ad oltranza dell’ordine costituito, in una precisa gerarchia di ruoli e poteri che sovrasta e domina dall’alto la stessademocrazia dei popoli. E questi ultimi, i popoli delle varie nazioni, devono impegnarsi con grande sofferenza e sacrificio per meritare la benevolenza dell’Autorità (lo spread), pena la bocciatura e la dannazione eterna. Questa è la nuova simbologia che deve passare oggi in Europa e di cui la propaganda deve farsi instancabilmente portavoce.


Si tratta evidentemente di un cambio imbarazzante e coraggioso di paradigma che gli eurocrati stanno cercando di istigare e promuovere, non senza qualche azzardo e qualche rischio, rispetto a ciò a cui fino a poco tempo fa c’eravamo abituati, spesso inconsciamente, quando veniva pronunciata la parola Europa. In pratica gli eurocrati stanno ostinatamente tentando di cancellare e archiviare le origini democratiche ed illuministe dell’Europa che affondano nella Rivoluzione Francese, per rispolverare le medievali radici monarchiche e aristoteliche del Sacro Romano Impero. Voltaire deve essere sostituito con San Tommaso D’Aquino. Il flusso inarrestabile della storia, le umane sorti e progressive, devono essere stemperate e governate dall’alto da un’inattaccabile e granitica piramide del potere, in cui ai vertici c’è sempre e solo l’oro, l’euro, i soldi, di cui i tecnocrati e banchieri sono gli unici e indiscussi depositari. Scommetto con chiunque che se provassi a ripetere in rapida successione le parole Europa, Democrazia, Libertà, Quadro, la prima immagine che vi verrebbe in mente, per normale associazione di idee, è lo splendido dipinto del pittore francese Eugene Delacroix “La Libertà che guida il popolo” (vedi sopra) del 1830. In questo caso la Libertà in primo piano è una donna del popolo a seno scoperto che trascina tutti i suoi compagni di lotta alla rivolta, alla conquista dei diritti democratici sottratti dai regnanti, anche a costo di sacrificare la propria vita e di essere massacrata dal fuoco nemico dei soldati del re. C’è una bella differenza di significato fra la tensione dissacrante e dirompente della Libertà, che calpesta pure la morte e non ne teme le conseguenze, e la sacralità dell’ordine gerarchico ed immutabile del quadro visto prima ed evocato dall’eurocrate, il cui intento non tanto nascosto era appunto quello di sostituire nella mente dei sudditi l’immagine di Delacroix con quella di Lorenzetti, eliminando persino il ricordo del primo ed esaltando la magnificenza del secondo.

E’ un’operazione di marketing molto subdola e raffinata, che non ha nulla di improvvisato o casuale ma fa parte di un piano studiato da anni a tavolino da esperti di comunicazione, che lavorano all’interno degli apparati europeisti e sono parte integrante dell’intero progetto. Se il diavolo si nasconde nei dettagli, possiamo senz’altro concludere che in quest’ennesima iniziativa promozionale dell’Europa, presentata in pompa magna a Oslo per solleticare la suscettibilità al luccichio dei lustrini dei sudditi, c’è senz’altro qualcosa di diabolico, luciferino. La “nuova” immagine dell’Europa deve istantaneamente ricollegarsi ai grandi Imperi totalitari di qualunque epoca e provenienza, romano, prussiano, francese, spagnolo, asburgico, ridimensionando a puro aneddoto o didascalia tutto ciò che è accaduto in mezzo, dalla Rivoluzione Francese in poi. Le rivolte risorgimentali europee per la fondazione delle eroiche Repubbliche Costituzionali sono solo una parentesi caotica e sanguinosa, che ha avuto il demerito di interrompere la ben più gloriosa impostazione secolare, imperiale, tomistica e reazionaria europea, che secondo una ben consolidata prassi riceveva continua forza e sostegno dalla sacra legittimazione del potere ecclesiastico. Così come accadeva in un vero Impero teocratico autoreferenziale, le Costituzioni Democratiche e Liberali non servono più, sono ridondanti, perché possono essere agevolmente sostituite dai moderni trattati mercantili dell’Unione Europea, molto più flessibili ed efficienti, e dalla impareggiabile Bibbia che rappresenta un robusto e solido appiglio alla tradizione del passato per i più nostalgici. Cosa volete di più dalla vita?

Come sappiamo bene questa fase convulsa di revisionismo storico è iniziata e ha ricevuto una violenta accelerazione quando i 17 paesi dell’eurozona hanno rinunciato alla propria moneta nazionale per accettare unanuova moneta che fosse svincolata e indipendente dagli apparati democratici degli stati membri. E’ stata casuale questa scelta di iniziare dalla moneta invece che dalla integrazione istituzionale, politica e costituzionale? No. Perché mai gli eurocrati dovevano dedicarsi ad una laboriosa e impegnativa attività di sintesi delle costituzioni democratiche quando il loro vero obiettivo era quello di stralciarle tutte insieme e per sempre? In fondo, su quale potere si basa la supremazia di un Sovrano, di un Monarca, di un Despota? Non certo sulle carte costituzionali concesse ai sudditi, che sono un sintomo di estrema debolezza e arretramento della monarchia, ma sullaricchezza e la forza militare. E infatti gli eurocrati hanno sia l’una che l’altra, perché si sono autonomamente assegnati il privilegio di battere moneta e con questa moneta sono liberi di finanziare come vogliono, quando vogliono, chi vogliono, in particolare l’esercito di tecnocrati, funzionari, politicanti europeisti che hanno invaso i palazzi istituzionali e lavorano esclusivamente al servizio della loro stessa sopravvivenza e degli interessi dei poteri forti che rappresentano. Serve altro ad un Sovrano per iniziare a regnare? No, bastano i soldi, l’oro e un manipolo agguerrito di soldati fedeli. Tecnicamente sappiamo poi che l’euro non è servito soltanto per togliere agli apparati democratici la possibilità di utilizzare la leva della spesa pubblica per fini sociali e per tutelare i diritti della cittadinanza, ma anche come nuovo strumento di redistribuzione interna della ricchezza: la moneta unica ha costretto i singoli governi a puntare solamente su una strategia di svalutazione salarialecome unica forma di competizione commerciale e allo stesso tempo ha consentito ai grandi detentori di capitaledi investire, spostare liberamente i soldi da un paese all’altro dell’eurozona senza incorrere in alcun rischio di svalutazione monetaria. E’ facile quindi fare un rapido calcolo per capire chi ha vinto e chi ha perso con l’euro. E non è affatto necessario conoscere tutti i principi della dottrina economica per fare i conti della serva.

Il gioco è fatto, le regole sono molto semplici e chi non le capisce è soltanto un mentecatto, buono solo come carne da macello. In pratica chi detiene il capitale ha stabilito le regole ed ora fa in modo che chi non rispetta le regole venga punito in base a criteri di giudizio che discendono dall’imposizione e dalla passiva accettazione di quelle stesse regole. Facciamo un esempio per capirci. In Europa i tecnocrati e gli oligarchi hanno stabilito dogmaticamente e arbitrariamente che l’emissione della moneta deve essere privata, autonoma, indipendente dalla politica perchè hanno decretato per trattato che la spesa pubblica dello Stato è un male assoluto e i “mercati” sono molto più efficienti nel processo di allocazione delle risorse finanziarie. Ora, senza entrare nel merito della correttezza scientifica ed economica della regola di cui ci sarebbe tanto da discutere, chi giudica se l’applicazione di questa regola sia effettivamente corretta? Chi dice se uno Stato sta usando bene o male la spesa pubblica? Un ente esterno e terzo ai due contendenti? Assolutamente no, ma i “mercati” stessi, che sono la controparte che si è avvantaggiata di più dall’introduzione di quella regola, e il loro metro di giudizio si chiama spread.

Se uno Stato utilizza molto la spesa pubblica per finanziare la sanità o l’istruzione, indebitandosi oltremisura con i “mercati” perché privo della sua sovranità monetaria e costretto a chiedere i soldi ai privati, questi ultimi lo puniranno perché da una tale operazione ricevono ben pochi ritorni economici effettivi, a parte gli interessi sui titoli pubblici acquistati. Se uno Stato invece utilizza una quota molto più elevata di spesa pubblica per finanziare o salvare una banca privata, i “mercati” lo premieranno perché verranno rivalutati i titoli di quella specifica banca e garantiti tutti i debiti contratti da quella banca nei confronti degli stessi “mercati”. Stesso discorso vale per la tassazione: più uno Stato tassa e maggiore sarà il premio dei “mercati”, che avranno migliori garanzie di rimborso sui titoli pubblici acquistati, meno uno Stato tassa e più i “mercati” lo puniranno per il motivo opposto a quello espresso sopra. Capite bene che questa è una regola assurda, perché il giudizio che ne deriva non è imparziale, obiettivo o condiviso da tutte le controparti in gioco, ma viene stabilito univocamente da chi è parte attiva in quella ipotetica contesa. E’ come se in una partita di calcio non ci sia l’arbitro, ma siano solo gli undici giocatori di una squadra a decidere quando fischiare il fallo o quando lasciare continuare il gioco, senza concedere alcuna possibilità di replica agli avversari.

Per intenderci, se uno Stato ristruttura una scuola attrezzandola con tutte le infrastrutture più moderne e facendo continui corsi di aggiornamento ai professori, perché devono essere solo i “mercati” a decretare l'opportunità o correttezza di una tale operazione? Non potrebbe essere anche importante ascoltare il giudizio di studenti, professori, famiglie, piccoli imprenditori appaltatori coinvolti che potranno usufruire di quel nuovo servizio e investimento? Al massimo non sarebbe più opportuno fare una media fra le due categorie di giudizi, siano essi qualitativi o quantitativi? Capite bene che un tale meccanismo di giudizio si basa su una stortura illogica di fondo, perché è stata l’imposizione della regola, ovvero la cessione del processo di emissione di moneta ad una banca autonoma, privata, indipendente, a decretare per forza di cose da quale parte penderà la bilancia del metro di giudizio adottato. Nei paesi in cui non esiste quella regola, il giudizio su una o l’altra manovra di finanza pubblica, come la stessa ristrutturazione di una scuola, viene emesso in base a criteri del tutto diversi, perché èlo spread a discendere dalla regola e non viceversa (normalmente la spesa pubblica non fa aumentare lospread, ma lo spread aumenta a causa della "regola" di finanziare la spesa pubblica soltanto con i soldi dei privati): come sappiamo ci sono paesi come il Giappone, che pur avendo debito pubblico doppio rispetto all’Italia, non vengono e non possono materialmente essere puniti dai "mercati" con la clava dello spread, perchè hanno mantenuto intatta la loro prerogativa sovrana di finanziare tutta o parte della spesa pubblica con i soldi emessi direttamente dalla Banca Centrale Bank of Japan.


In Europa è stato in pratica reintrodotto lo stesso macabro e contorto schema logico utilizzato per giustificare le torture medievali: il dogma stabilisce che tutte le donne giovani (gli Stati) possono essere accusate di stregoneria (la spesa pubblica) e sottoposte a tortura (lo spread), in base a giudizio insindacabile degli inquisitori (i mercati). Come facevano gli inquisitori ad essere sicuri che il loro giudizio era esatto? Ponevano le giovani donne a tortura finchè non erano loro stesse a confessare di essere delle streghe. Nel dogma c’era già inclusa insomma la certezza della sua infallibilità, perché il giudizio che ne derivava era tutt’uno con il dogma stesso; così come oggi la spesa pubblica viene criminalizzata da tutte le parti perché già penalizzata in partenza dal fatto di essere finanziata a debito dai “mercati” privati dei capitali. E non di rado sentirete tanti deficienti dire che se aumentiamo la spesa pubblica oltre i livelli di tassazione saremo attaccati dai “mercati” che ci richiederanno uno spread più alto sui nostri titoli, senza considerare nemmeno lontanamente da quale "regola" assurda prende spunto il loro giudizio. Tuttavia se noi siamo severissimi nello stigmatizzare la tortura medievale come uno dei punti più bassi toccati dalla barbarie e inciviltà umana di fronte al quale sentiamo ancora un brivido di terrore e incredulità, non siamo altrettanto severi a capire di essere caduti nella stessa trappola mentale, giustificando la tortura finanziaria dello spread. Oggi siamo tutti allineati e concordi a ritenere le torture medievali orribili, crudeli, malvage e il metro di giudizio degli inquisitori iniquo, parziale e niente affatto obiettivo, in quanto la confessione veniva estorta con la forza, ma non abbiamo la stessa intelligenza e il medesimo scatto morale per capire che lo spread è lo stessa cosa, perché i suoi giudizi di merito discendono dall’esistenza di una "regola", di un dogma, senza il quale cadrebbe miseramente tutto l’impianto accusatorio.

Basta vedere come gongolavano ieri tutti gli opinionisti e i giornalisti di regime ricordandoci ad ogni minuto come sia aumentato lo spread in seguito alle dimissioni irrevocabili annunciate da Monti sabato scorso, per capire in quale abisso di idiozia e inciviltà siamo precipitati. Monti come sappiamo bene piaceva molto ai “mercati” perché assecondava alla lettera tutte le loro indicazioni: in particolare garantiva ai “mercati” il rimborso dei titoli di stato a qualunque prezzo o costo sociale, tramite tagli della spesa pubblica e aumenti delle tasse, mentre indirizzava tutti gli aumenti di spesa pubblica per salvare le banche come Monte Paschi di Siena, rimborsare i derivati di Morgan Stanley, versare le quote di partecipazione ai Meccanismi Europei di Stabilità scriteriati come l’EFSF o il MES, rispettare i termini di accordi capestro come il Fiscal Compact. Cosa c’è quindi di così straordinario o incredibile nell’aumento dello spread di ieri, visto che Monti garantiva la stabilità dei “mercati” e tutelava soltanto i loro interessi? Nulla. Era abbastanza prevedibile che andasse così. E’ come dire: “vedete, lo sapevo io che quella donna è una strega perché ha confessato!”.

Ma il giudizio non è esatto, non tanto per reali questioni di merito quanto piuttosto perché la "regola" da cui emana e si ricava quel giudizio è sbagliata e totalmente arbitraria, in quanto obbligava le giovani donne (gli Stati) ad essere indiscriminatamente sottoposte a tortura (finanziaria, lo spread) al fine di estorcere il giudizio, la confessione che volevamo ottenere. Se le giovani donne non fossero state costrette con la forza (per dogma, per decreto, per trattato) a subire la tortura e avessero avuto la possibilità di difendersi in un regolare processo(per gli stati significa continuare a gestire la propria sovranità e politica monetaria), nessuna di loro avrebbe mai confessato deliberatamente di essere una strega. Fin qui ci siamo tutti, spero, e il parallelismo con ciò che accade giornalmente agli stati una volta democratici d’Europa è evidente: i governi sono stati privati della loro sovranità monetaria e costretti a finanziarsi soltanto dai privati e questi ultimi possono torturare quanto vogliono i governi e indirizzarne le scelte, perché sanno benissimo che gli stati non hanno più armi finanziarie per difendersi. Lo spread non sarà mai quindi un criterio attendibile di valutazione del benessere o dell’”innocenza” di una nazione, ma solo il normale effetto dell’unico giudizio che avevamo preventivamente deciso di ottenere: se uno stato farà l’interesse dei “mercati” sarà sicuramente virtuoso, in caso contrario sarà vizioso, malato, corrotto, delinquenziale, criminale, mafioso, canaglia e chi più ne ha più ne metta. 

E ripeto, le persone che oggi non riescono ad afferrare questi semplici ragionamenti sono le stesse rispettabili persone, politicamente corrette e animate da impalpabili e oltremodo vacui valori etici fondati sulla pace e la fratellanza universale, che si indignerebbero non poco se qualcuno dicesse loro che se fossero vissute nel medioevo avrebbero giustificato con la medesima superficialità e imbecillità le accuse ingiuste di stregoneria rivolte alle giovani donne innocenti. Orrore. Queste persone odiano la violenza, soprattutto quando viene inferta sulla donne o lesiva dei diritti umani, ma non si accorgono di giustificare lo stesso meccanismo logico quando i “mercati” torturano gli Stati democratici e i diritti di intere popolazioni. Perché la persone veramente stupide e idiote sono quelle che non sospettano assolutamente di esserlo e hanno al contrario un’elevata considerazione di se stesse. E qui stiamo parlando di un’apoteosi e di una vetta inarrivabile di imbecillità, che difficilmente potrà ripetersi in futuro su così larga scala, in nazioni mediamente evolute come quelle occidentali. E sono quasi certo che fra 100 anni gli storici avranno parecchio materiale da studiare e scartabellare sul caso Europa, per capire su quali basi puramente psicologiche e culturali si fonda la forza di una solida Dittatura monocratica...

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Di seguito espongo quell'esimio personale pensiero sulla questione religiosa che tanta eccitazione richiama ed acclama.. spesso magari priva (a mio umile avviso) di utile e concreta sostanza...:


Rimarcare senza enfasi, ossia lungo le linee del rispetto reciproco delle valutazioni altrui ed in base all'ovviamente "SacroSanto" presupposto di ricerca (della verità come di ogni altro valore etico o morale ed al pari di ogni motivo di introspezione personale dettato da semplice curiosità), la necessità di adottare un modo più equo e corretto di valutare o riferirsi a temi di delicata discussione e ponderazione "sociale", mi sembra alquanto auspicabile.
Affermo ciò da credente indefesso ma che al tempo stesso si pone delle domande.
In questo articolo, a mio oggettivo avviso, si riscontrano, però, alcuni punti focali sui quali risulterebbe inutile questionare.
A meno che non si voglia trovare forzatamente la pagliuzza nell'occhio dell'avversario tralasciando la trave nel proprio.
Non ho bisogno di richiamarmi al Vangelo ne tanto meno di far distinzioni sul Vecchio, Antico, Novello o Nuovo Testamento.
Poiché effettuandone mi renderei già conto della mia fallacia.
Per altro (leggendo tra gli altri commenti nel succitato e pubblicato articolo originariamente esposti) altri hanno ben più di me evidenziato la concretezza di tale assunto.
Così come il buon Gesù avrà affisso in bacheca i "miei" futili ed utopici propositi inavvertitamente frutto di strategie da scaltro "sindacato".
Il libro sacro di altre religioni monoteistiche non è certo la Bibbia! O almeno tale ipotesi (a torto o ragione) ho sempre preso per buona!
Pertanto la diatriba "pro o contro" il cristianesimo o cattolicesimo.. ritengo sia una tra le tante tematiche di utile intrattenimento e conseguenziale distoglimento dell'umana coscienza.
Senza per questo negare od invalidare la sostanza dei concetti esposti nello stesso Vangelo.
L'arma della religione (istituzionalmente organizzata aggiungerei) è però da sempre stata un'altrettanto abile arma politica di "assuefazione" del popolo.
Questa massa o coacervo di menti poco-tanto o sotto-sovra sviluppate, pur sempre indistinte nell'anonimo "vulgus".
Ragionare liberamente, scevri da dogmi umani (indotti od autoindotti), credo intimamente risieda nella capacità di scivolare senza ombre nell'oblio.
Chi non ha paura delle ombre tanto meno dovrebbe aver timore dell'oblio.
I fantasmi sono delle innocue lenzuola bianche con cui innocentemente riassettare la propria alcova!

Di nuovo un caro saluto,
Elmoamf