Riprendo di seguito un vecchio articolo pubblicato dal sito informarexresistere, ripreso a sua volta da altra originale fonte, attualmente non più raggiungibile (per quanto possa personalmente aver constatato), ed a firma di Emiliano Di Marco.
Tanto per la validità narrativa intrinseca quanto per la necessaria riproposizione e diffusione "internautica", affinché il testo stesso non sia vittima della dispersione o della voracità dell'essere, di ogni essere, per cui gli scritti cartacei così come le loro trasposizioni in rete finiscono per esser inghiottiti nell'indifferenza "qualunque" della superficialità umana, ossia quella onnipresente "leggerezza" nel valutare i fatti e dei fatti la loro storia.
Un saluto,
Elmoamf
La nascita della “multinazionale”
del traffico internazionale di droga
- di Emiliano di Marco -
Capitale sociale e culturale formatosi sul contrabbando e sul narcotraffico, grazie a reti etniche, savoir-faire e riciclaggio nelle attività industriali con la mediazione storica dei mercati della finanza. Per provare a capire la mafia bisogna tentare di allargare l’immagine.
A Cuba, Ernest Hemingway vi si trasferì, nel 1946, per rimettere in sesto il suo stato di salute fisico e psichico, dando ascolto finalmente alle grida d’allarme del suo fegato. Un periodo di relax dopo la fine di una guerra che gli era costata un processo a Nancy per “violazione della convenzione di Ginevra”, un incidente di macchina, emicranie, due polmoniti, un divorzio ed un esaurimento nervoso causato dalla cattura del figlio da parte dei tedeschi. In quell’anno sposò Mary e trascorse un periodo lontano dai bagordi etilici, completò la scrittura de “Il giardino dell’Eden”, interrompendo la scrittura di “Morte nel pomeriggio”. Una nuova dimensione intellettuale anche l’assunzione dei superalcolici, se è vero ciò che lo scrittore cubano, Leonardo Padura Fuentes, ci racconta nel suo romanzo “Addio Hemingway”. Al Floridita, in una delle sue lunghe disquisizioni, Hemingway avrebbe rifiutato al cocktail di rum Papa Doble la grazia salvifica di un cucchiaino di zucchero di canna, capace di segnare la differenza tra un ottimo cocktail ed un Ron mal battezzato. Va bevuto così anche oggi.
Ma a dispetto degli aneddoti sullo scrittore americano, pesca d’altura nel mare caldo dei caraibi e chiacchierate con gli anziani pescatori a cui dedicherà “Il vecchio ed il mare”, piuttosto che essere un’isola visceralmente letteraria, quando era ancora un protettorato americano e viveva il suo “periodo d’oro” nell’egida del dittatore fantoccio degli USA, Fulgencio Batista, detto “El Sargento”, rimpianto ancora oggi dagli esuli cubani di Miami, sull’isola caraibica era frequente incontrare mafiosi e uomini d’affari americani ed europei, intellettuali e businessmen che, indisturbati, giravano per i locali notturni, ristoranti e postriboli dell’Havana, all’epoca una delle capitali internazionali della malavita.
Ah! ‘E bei tiemp’ e ‘na vota!
Grazie alla sua situazione “politica” e per la sua vicinanza alle coste orientali degli Stati Uniti, Cuba era così diventata una base strategica delle mafie, uno snodo nevralgico lungo la rotta Europa-Panama, dove i carichi di stupefacenti potevano essere immagazzinati prima di proseguire la navigazione verso i docks di Miami, New Orleans, New York e Montreal, al punto che, verso la fine degli anni ‘50, lo stesso Lucky Luciano, alias Salvatore Lucania - l’ex capo della commissione di Cosa Nostra a New York, condannato all’ergastolo e scarcerato per meriti di guerra dopo soli 10 anni di detenzione, che si era trasferito a Napoli, dove la NATO aveva stabilito la base strategica per le operazioni militari per tutto il mediterraneo – stava progettando di andare a vivere proprio a Cuba. Il 22 dicembre 1946, subito dopo la guerra, si tenne proprio all’Havana, all’Hotel Nacional, un incontro di mafiosi italoamericani e del “Jewish Syndicate”, noto alle cronache storiche come la Havana Conference , organizzata da Meyer Lanski e da Charles “Lucky” Luciano, i due uomini che avevano il controllo assoluto sui docks di New York.
La fine della guerra prometteva affari d’oro e, nel summit dell’Havana, furono definite le competenze e gli affari delle famiglie mafiose e dei cartelli criminali negli USA. Uno dei punti fondamentali su cui si trovò l’accordo fu l’organizzazione del primo cartello internazionale di contrabbando verso l’Europa e di narcotraffico verso gli Stati Uniti, attraverso le rotte provenienti dal nord Africa, dal Medio Oriente e dal sud America.
Da Napoli, Lucky Luciano, Joe Adonis alias Giuseppe Antonio Doto, Frank Coppola (detto “tre dita”), Pietro Davì (detto “Jimmy l’americano”) ed il mafioso italo-americano Vito Genovese, che durante la guerra era stato aiutante del comandante delle forze alleate nelle operazioni nel sud Italia, Charles Poletti (un noto ex avvocato penalista newyorkese che aveva noti mafiosi tra i suoi clienti); gestiva una vasta rete di narcotraffico e contrabbando nel mediterraneo occidentale grazie ad un accordo con malavitosi marsigliesi, banditi principalmente corsi e francesi di origine marocchina o napoletana, cresciuti nel milieu del quartiere Panier di Marsiglia, che fu distrutto dai nazisti proprio perché considerato luogo di malaffare e di resistenze “naturali” al nazifascismo. Comandati da Pierre Maurice Chiarena, i “marsigliesi” celebrati nei film noir con il famoso cappello Borsalino, si erano specializzati nella raffinazione della pasta base della morfina, grazie anche ai solidi appoggi garantiti dallo SDECE, i servizi segreti francesi. Non era una novità, già durante la repubblica di Vichy, l’utilizzo dei corsi per reprimere la resistenza contro i collaborazionisti, aveva portato due personaggi della mala corsa, Paul “Venture” Carbone e Francesco “Lydro” Spirito, ad allearsi con il sindaco collaborazionista Simon Sabiani, dirigendo la polizia segreta. Carbone fu poi ucciso, ma Spirito, dopo la guerra, emigrò a New York dove divenne un narcotrafficante di eroina.
Importante anche il ruolo politico svolto dai corsi dal 1945 a Marsiglia, città all’epoca governata da una coalizione di comunisti e socialisti. I sindacati attuarono uno sciopero rifiutandosi di caricare i beni sulle navi da guerra destinati ai soldati in Indocina, dove i francesi combattevano contro il generale Ho Chi Minh. La paralisi del porto allarmò anche gli americani, in quanto proprio da Marsiglia venivano caricati sulle navi gran parte dei primi beni destinati per l’attuazione del piano Marshall nei paesi che affacciavano nel mediterraneo. Lo sciopero fu represso nel sangue, causando una protesta nazionale che coinvolse milioni di francesi. La destra di De Gaulle ritornò al potere, a Marsiglia, nel 1947, solo grazie alla spaccatura del fronte tra comunisti e socialisti, quest’ultimi convinti da un milione di dollari inviati dalla federazione sindacale statunitense AFL-CIO.
Michele Carlini diventò sindaco di Marsiglia dopo una brutale repressione delle proteste sindacali ed il deciso intervento dello SDECE e della OSS/CIA, che non esitarono a coinvolgere la teppaglia del clan corso dei Guerini nella repressione degli scioperi e nell’assassinio di molti sindacalisti.
Il network di traffici illeciti che coinvolgeva i marsigliesi aveva una delle principali basi strategiche a Tangeri, all’epoca città caratterizzata da un cosmopolitismo di tipo alessandrino, popolata da europei, principalmente spagnoli, ebrei sefarditi e mercanti marocchini, ma anche luogo di commercio e di transito per attività criminali: prostituzione, gioco d’azzardo, emigrazione clandestina negli USA, droga, contrabbando; attività nelle quali eccellevano banditi corsi ed ex ufficiali di marina inglesi e francesi, al comando di navi utilizzate durante il secondo conflitto mondiale e poi rivendute ad armatori privati.
Alcuni tra i massimi esponenti della letteratura americana quali Tennesse Williams, Gertrude Stein, Gore Vidal, Truman Capote, resero celebre Tangeri, la cui atmosfera non somigliava affatto a quella di Casablanca, almeno nelle immagini del film diretto da Michael Curtiz, con Ingrid Bergman ed Humphrey Bogart. La fama della città deve infatti a Jack Kerouac, Allen Ginsberg, a Paul Bowles con il suo romanzo “The Sheltering Sky” (tradotto in italiano “Un tè nel deserto”) e soprattutto al romanzo “Il pasto nudo” di William Burroughs – che si perse a Tangeri dopo aver ucciso accidentalmente la moglie, Joan Vollmer, mentre giocavano al Guglielm Tell in Messico con una pistola – l’essere diventata uno dei luoghi immaginari della cultura beat e psichedelica, una interzona, aperta ad esperienze bi-tri-sessuali ed allo spazio sfinito della coscienza. Una località leggendaria ed invisibile, destino di viaggi catartici, di percorsi psicogeografici, letterari e musicali. Già negli anni ‘50 era infatti possibile trovarvi tutte le droghe disponibili all’epoca, specialmente il celebre hashish prodotto sulle montagne del Rif, ben prima che il Marocco diventasse (come oggi) il maggior produttore mondiale di cannabis, con l’80% dei prodotti derivati consumati in Europa.
Tangeri, il cui status di città libera internazionale fu dichiarato nel 1912, dal 1923 era stata affidata ad un “comitato di controllo” formato da Francia, Spagna e Gran Bretagna, a cui si aggiunsero, nel 1928, Italia, Portogallo e Belgio. Meta di contrabbandieri e latitanti di tutto il mediterraneo, porto dove poteva transitare qualsiasi tipo di merce illegale che andava in direzione dell’Europa o degli Stati Uniti, somigliava più alle città pirate algerine del 1500, un porto franco nel quale era libera ogni forma d’impresa, dove era facile depositare o prelevare il denaro nelle oltre 85 banche e nelle oltre quattromila società anonime (esistenti solo nel 1950). La città ha visto poi cessare il suo status con l’indipendenza del Marocco nel 1956, a cui Tangeri fu annessa nel 1960.
Nel giro di un paio d’anni, con la fine dello status di “città internazionale” e di porto franco nel 1956, poi con la rivoluzione castrista a Cuba nel 1959, era cambiata tutta la geopolitica dei traffici illeciti nel mediterraneo, da e per l’Atlantico.
I marsigliesi che gestivano le basi di raffinazione dell’eroina in Costa Azzurra ed in Corsica, si approvvigionavano della pasta base, ricavata dal papavero da oppio, proveniente dall’Indocina. La qualità era la migliore, pura al 90%. A partire dal ritiro dei francesi dal sud est asiatico, nel 1954, e dal conseguente rafforzamento della presenza militare USA nell’escalation vietnamita, la banda di Chiarena si trovò a fronteggiare da un lato la carenza di approvvigionamenti di pasta base per l’eroina, dall’altro la concorrenza dei turchi, i quali conseguentemente anche al rafforzamento dei legami politici e strategici con gli USA, avevano iniziato ad importare l’oppio dall’Asia Centrale, oltre a lavore quello coltivato in Turchia, raffinanando l’eroina in Anatolia ed aprendo la rotta per i Balcani.
Nel corso degli anni ‘70, a gestire il traffico di eroina dalle “basi” turche, ebbero un ruolo strategico i Lupi Grigi (bozkurtlar), una organizzazione nazionalista nata nel 1969, al comando della Gladio turca, che ebbe un forte coinvolgimento nel colpo di stato del 1980, assassinando centinaia di attivisti di sinistra, esponenti delle organizzazioni kurde e dei diritti civili. La rotta turca interessava anche i produttori libanesi, che producevano la pasta base nelle piantagioni di oppio della valle della Bekaa, i cui proventi, durante il conflitto civile scoppiato nel 1975 nel Libano, la “Svizzera del Medio Oriente”, furono utilizzati per acquistare le armi di alcune formazioni paramilitari nel sud del Libano.
La nascita di Cosa Nostra in Sicilia
La rivoluzione cubana aveva portato ad una generale instabilità politica in tutta la regione caraibica, culminata con la crisi dei missili del 1962, ed avvantaggiò i traffici di droga dal mediterraneo, che con la perdita di Tangeri, portarono la Sicilia a diventare, negli anni ‘60 e ‘70, per gli Stati Uniti e per parte dell’Europa, una stazione di raffinazione dell’eroina, grazie alla collaborazione con i “chimici” marsigliesi.
Anche la nascita della prima commissione provinciale di Cosa Nostra in Sicilia, che aveva influenza solo su Palermo, in quanto vennero escluse le famiglie del resto della Sicilia, fu opera di Lucky Luciano, che organizzò un vero e proprio “summit internazionale” tra le famiglie mafiose palermitane ed americane, il 16 settembre del 1957, all’Hotel delle Palme diPalermo, presenti Joseph Bonanno, Camillo Carmine Galante, Giovanni Bonventre, Joe Di Bella, Vito Vitale, Charles Orlando, John Priziola e Santo Sorge, in rappresentanza delle famiglie americane.
Gli americani proposero ai siciliani di creare una “commissione” di Cosa Nostra in Sicilia, sul modello di quella esistente a New York. La commissione che venne fuori, al cui interno erano presenti i Greco, i La Barbera, Luciano Liggio, ed i Torretta, aveva però mandato solo su Palermo, in quanto vennero escluse le famiglie del resto della sicilia, come i trapanesi.
La nascita di Cosa Nostra in Sicilia è da considerarsi all’origine di uno scontro tra opposte tradizioni e filosofie della vecchia cultura arcaica della mafia siciliana, sullo sfondo della decadenza aristocratica del capoluogo siciliano, i cui referenti politici regionali (democristiani) di peso diventarono in quegli anni uomini dell’entroterra siciliano.
La mafia delle borgate, espressione di un controllo che, su un territorio interessato dalle speculazioni edilizie sui suoli, negli anni del sacco di Palermo, gestite dal potente assessore ai lavori pubblici, il corleonese Vito Ciancimino, uomo di Cosa Nostra e membro di Gladio, richiedeva un nuovo dinamismo “imprenditoriale”, una capacità di fare “rete”, di accedere alla liquidità finanziaria garantita dai proventi del narcotraffico e dal contrabbando, e di interloquire con i nuovi referenti politici. La vecchia mafia si trovò così a fronteggiare una nuova generazione di mafiosi che traevano la forza non più sul radicamento nell’isola siciliana, ma dalla capacità di fare network con le famiglie siciliane emigrate in USA, Canada, America Latina e nel “continente”. Una trasformazione che portava fuori dal “centro” insulare la mentalità e gli interessi della mafia, e che portò i Greco ed i La Barbera in una inevitabile rotta di collisione, dopo che i corleonesi di Liggio e Riina eliminarono la famiglia storica della mafia corleonese, i Navarra, ufficialmente per impedire la realizzazione di una diga.
Il controllo di importanti rotte del contrabbando e del narcotraffico fu, in verità, il vero motivo dello scontro militare. Parte dei clan mafiosi avevano già strutturato, sin dagli anni ‘20, interessi nel narcotraffico, trasportando oppio e morfina a New York nelle casse di agrumi. Una attività che è testimoniata dal sequestro di 100 Kg. di morfina in partenza per gli USA nel luglio del 1926 (cfr. Salvatore Lupo, Storia della Mafia, pag. 260). Lo stesso Lucky Luciano importava droga dalla Sicilia negli anni ‘30 grazie a Pietro Davì, in rapporti con alcune industrie farmaceutiche ed arrestato nel 1935 a Milano per narcotraffico. Davì negli anni ‘50 diventò poi importatore di morfina dalla Germania per Lucky Luciano.
Il traffico creato da Luciano, sfruttando i contatti con le industrie farmaceutiche del nord Italia ed in Germania, e poi stringendo rapporti con i raffinatori marsigliesi, sfociava tutto negli Stati Uniti, sfruttando la “tolleranza” delle istituzioni italiane. Anche in seguito al ritiro francese dall’Indocina infatti, l’oppio prodotto in Medio Oriente passava, o veniva prodotto, in Libano e Turchia, ed anche quando arrivava a Marsiglia o in Corsica per essere raffinato, per essere trasportato negli USA doveva sempre passare per le mani dei siciliani, in grado di fare arrivare l’eroina in America grazie ad uno strutturato network etnico costituito dagli emigrati. Il legame fiduciario che rendeva affidabili le famiglie siciliane, anche presso i marsigliesi, spesso non coincideva con le famiglie che avevano aderito alla Cosa Nostra palermitana, legata principale al controllo delle risorse territoriali, modificando nei fatti gli accordi presi tra le famiglie mafiose.
Lucky Luciano morì avvelenato, sorseggiando un caffè all’aeroporto di Capodichino (Napoli), il 26 gennaio 1962, mentre in Sicilia era scoppiata la prima guerra di mafia tra le famiglie palermitane ed i corleonesi di Liggio, Totò Riina e Provenzano. Un conflitto che mandò all’aria la commissione di Cosa Nostra di Palermo per dieci anni. Lo scontro culminò con la strage di Ciaculli del 30 giugno del 1963, nella quale morirono sette uomini delle forze dell’ordine, causando la prima repressione della mafia da parte dello Stato nell’Italia repubblicana.
Allargando l’immagine, può risultare interessante segnalare, ai patiti delle teorie complottiste, le tesi relative all’assassinio del presidente J.F. Kennedy, il 22 novembre 1963, le quali ipotizzerebbero un coinvolgimento della mafia americana nell’ambito del contrasto alla politica estera di Kennedy su Cuba, sulla mafia e sui sindacati dei trasportatori. Tesi che collocherebbero lo scenario della prima guerra di mafia (1961-63) su uno scacchiere molto più vasto della lotta di potere tra le “famiglie siciliane”, alle porte della rivoluzione dei costumi giovanili che trasformò il consumo di droga in “cultura e consumo di massa”, prima negli USA e poi in Europa.
I don’t know just where I’m going
But I’m gonna try for the kingdom, if I can
(Velvet Underground – Heroin)
Quando fu riorganizzata la commissione di Cosa Nostra, agli inizi degli anni ‘70, con la presenza del “principe di Villagrazia”, Stefano Bontate – l’uomo che portò la mafia all’interno della massoneria e nei circoli più esclusivi della finanza nazionale -, di Tano Badalamenti e Luciano Liggio, sancendo la pace tra la mafia palermitana e quella corleonese e di Cinisi, il conflitto militare tra USA e Vietnam aveva già aperto una nuova rotta dell’oppio dal sud est asiatico, sia in direzione Stati Uniti che verso l’Europa.
Nel corso degli anni ‘70, per assicurarsi l’egemonia nelle rotte dei traffici illegali del mediterraneo centrale, Cosa Nostra decise di eliminare la concorrenza dei marsigliesi, i quali si videro contrastati efficacemente anche in Francia dalla nuova politica di De Gaulle verso gli USA. Cosa Nostra realizzò l’obiettivo alleandosi con alcuni importanti boss della camorra campana, che furono affiliati all’organizzazione, come Michele Zaza, i fratelli Nuvoletta, Antonio Bardellino e Carmine Alfieri. La Sicilia diventò la principale base logistica di raffinazione dell’eroina verso New York, Miami ed il Canada e verso il “continente”.
Con la nuova guerra di mafia, scoppiata all’inizio degli anni ‘80, i corleonesi acquisirono il potere assoluto in Cosa Nostra, eliminando Bontate e gli uomini della Famiglia di Gesù di Palermo. Analogamente i loro alleati campani della Nuova Famiglia chiusero i conti con i cutoliani, che intendevano costruire una organizzazione camorristica autonoma dai siciliani.
Il controllo assoluto del traffico di eroina e del contrabbando di sigarette portò Cosa Nostra ed i corleonesi al massimo della loro potenza economica, militare e “politica”. Lo scenario del narcotraffico, basato principalmente sull’eroina e sull’hashish, dall’inizio degli anni ‘80, contrastato solo dalla mentalità dei (pochi) vecchi mafiosi a causa dei suoi devastanti “effetti collaterali” sociali, era però già destinato ad una ulteriore trasformazione, in grado di seguire l’evoluzione delle culture giovanili in Italia ed in Europa, dove il mercato della droga cominciava a raggiungere i livelli dei consumi negli USA.
Accadde in concomitanza con il ritiro americano dal Vietnam, con il conflitto tra Israele e Libano, cominciato nel 1978, che aveva chiuso uno dei canali di rifornimento per i traffici, i quali dirottarono definitivamente verso la Turchia; e con l’invasione sovietica dell’Afghanistan, nel 1980, dove veniva prodotta l’80% della pasta base per la raffinazione dell’eroina che passava per il mediterraneo.
Verso la metà degli anni Ottanta, circa metà dell’eroina che entrava negli Stati Uniti proveniva dalle regioni dell’Afghanistan controllate dai Mujadeen e dal Pakistan. Mentre le rotte del narcotraffico e del contrabbando in Europa si spostarono nei Balcani e lungo le sponde dell’Adriatico.
Intanto stava già cominciando l’era del “petrolio bianco”, proveniente dal sud America… ma questa è un’altra storia.
Tratto da:
La nascita della “multinazionale” del traffico internazionale di droga | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2011/05/07/la-nascita-della-%e2%80%9cmultinazionale%e2%80%9d-del-traffico-internazionale-di-droga/#ixzz2GIyArTl9
La nascita della “multinazionale” del traffico internazionale di droga | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2011/05/07/la-nascita-della-%e2%80%9cmultinazionale%e2%80%9d-del-traffico-internazionale-di-droga/#ixzz2GIyArTl9
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
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