lunedì 28 gennaio 2013

Un giorno forse sarò in grado di dire la Verità!

Già!
Un giorno, perché oggi, come in passato, la Verità è un fardello troppo grande da portare.
Troppo grande da sopportate. Troppo grande, spesso, da condividere.
Pertanto, sovente essa rimane relegata al ruolo di spettatore anonimo. Spettatore intrinseco, sottinteso... convitato scomodo inevitabilmente atteso. Accolto ed al fine.. ipocritamente, gentilmente, accomiatato!

Un giorno, forse, sarò in grado di dire la Verità!
La mia Verità come quella presunta di ognuno.
Un giorno.. forse ma non ora.
Non è maturo il tempo.. non sono maturi gli interlocutori.. non è matura la Storia.

Peccato, però, che dietro l'abile quanto spesso falso spauracchio della "maturità" ognuno di noi rimanda il proprio confronto con la realtà e con le proprie responsabilità.
Le responsabilità dettate dal proprio cammino come dagli interrogativi che verranno posti da coloro che, durante quel cammino, inevitabilmente incontreremo.


Peccato!

Peccato per la ns accondiscendenza, peccato per la ns supponenza, peccato per la ns arroganza, peccato per la ns saccenza, peccato per la ns superficiale, imprudente, avventata, incauta, temeraria considerazione della realtà!

Una concezione, una considerazione.. spesso lasciata nell'alcova di qualche miserabile chioccia di pensieri persi nelle battigie solitarie, presso arenili abbandonati di scafi contriti e consumati da vento e tempesta.

Un giorno, forse, saremo tutti in grado di dire la Verità!

Quale Verità però mi chiedo in un mondo che abbonda di consuetudini opportuniste ?
Quale Verità, in un mondo soffocato dall'inettitudine e dallo zelo.
Quello zelo altrettanto entusiasticamente fautore del nulla o meglio dell' "annullamento altrui".
In nome di un'altra verità che si vuole imporre coercitivamente sulla ns propria, intima Verità.
Un'intimità Vera che ci appartiene o dovrebbe appartenerci istintivamente e che non può trarre origine se non dal ns innato bisogno di affermazione, ognuno, della propria insostituibile dignità di persona.

Affermo tutto ciò poiché troppo labile è il confine tra il fare ed il permettere.
Tra il lamento e l'indignazione.
Tra l'esempio e la derisione.


Oggi, come in passato, ci troviamo di fronte ad una scelta.
Una scelta che sembra ripetersi, costante, sempre uguale a se stessa.
Senza riferimenti concreti, senza garanzie di risultato, senza alternative di sostanza o speranza.

Oggi come in passato, ci troviamo di fronte ad una scelta.

Quella di scegliere se abbandonare noi stessi al destino o prendere in mano la ns vita e tentare di condurla in porto, anche attraverso un mare in tremenda "Tempesta".

Oggi come in passato, ci troviamo di fronte ad una scelta:
Scegliere o Morire lentamente!
O meglio scegliere di vivere in prima persona o delegare in perpetuo la ns vita ad altri.
Altri che sceglieranno per noi quello che naturalmente sarà meglio per loro!

Oggi come in passato, ci troviamo di fronte ad una scelta!
E la scelta sarà, spero, in nome della libertà di ognuno...
In nome del..."Io non ci Casco!"

...in quel burrone di fuoco e fiamme, di lamiere contorte, di sogni infranti , di promesse mancate, disattese, screditate, soppresse, derise, di aspettative senza riscontro, di giorni in attesa, di attese senza fine, di transizioni, posizioni, supposizioni, preposizioni sempre interrogative e mai concrete...effettive...

"Io non ci Casco!"

Perché ho intenzione di riprendermi la mia realtà e con lei il suo divenire!


Riprendiamo in mano la ns realtà, il ns divenire, la ns sostanza e la ns concretezza.
Riprendiamoci la ns cultura e conoscenza.
Riprendiamoci al fine la ns coscienza critica.. non dando mai più nulla per scontato:
Il Debito
Il Deficit
Il Pareggio di Bilancio in Costituzione
La Costituzione
La Sovranità... Comunitaria e Personale
L'Euro e L'Europa
La Politica, La Casta, L'inciucio
Il Fiscal Compact ed il Meccanismo Europeo di Stabilità
I Trattati Europei che predicano vangeli apocrifi da voci stentoree in nome di valori che nulla hanno in comune con le auspicabili comunità di popoli.


Mai dare nulla per scontato!

Poiché se da un lato l'esser tacciati di complottismo lancia e lascia un'aurea di "discredito" ... altrettanto rimanendo saldi nei fatti e nella realtà come nella tentata ricerca di Verità si sarà sempre tenaci, solidi, granitici nelle proprie affermazioni!

Un giorno sarò e quindi saremo in grado di dire la Verità e spero sinceramente che non sarà troppo tardi!

Un saluto,
Elmoamf

venerdì 25 gennaio 2013

Economia, Diritto e Normative Fiscali: Un Paese di Azzeccagarbugli

Partirò e finirò, come giusta origine e genesi di tal "Blog", da un commento personale.
Un commento ispirato - in parte da considerazioni precedentemente maturate, in parte da considerazioni successivamente sviluppate rispetto a temi di più generale osservazione - da un articolo pubblicato in altro loco di cui, per completezza d'informazione e comprensione univoca, citerò alcune parti e riporterò la fonte (al fine legittimo di una consistenza, fondatezza quanto ragionevolezza dell'analisi come del dovuto riconoscimento di paternità).
L'articolo in questione pone, come di consueto in questo scorcio di realtà epocale - altrettanto probabilmente nello scorcio delle realtà che umilmente ci hanno precedute - un'impronta predefinita e pre-impostata sull'accettazione del "debito" come requisito imprescindibile nella concezione della realtà da parte delle umani genti.
Un individuo in cui l'unico parametro di riferimento, nel proprio inequivocabile ed insindacabile sviluppo sensitivo, materiale ed "umano" ... sia il "debito" o per altri versi la "colpa" ... non sarà mai in grado di emancipare se stesso o "liberamente interpretare" ed infine "comprendere" (..anche a  fronte di un profondo e sofferto sforzo di "consapevolezza" tale da tentar di trascendere la sua stessa presunta razionalità superando l'altrui e.o diversamente prescritta realtà) la sua "natura" ... se non in termini di "assimilazione", "assuefazione", "coercizione" al volere altrui  e funzionalmente e.o concettualmente altrui imposto e circoscritto.
Il concetto di colpa come il concetto di debito (in tal senso) diviene più che mai centrale nella dibattito sul proprio ruolo all'interno della comunità sociale.
Se per primi estraniamo la ns volontà in sudditanza o rassegnazione alla volontà "esternamente" percepita... a nulla varranno i ns sforzi se non ad una sterile accondiscendenza!
Il lamentarsi fine a se stesso non ha mai portato o condotto ad alcuna concreta e fattibile conclusione o direzione.
Sterile è il lamento di colui che invoca, per mezzo d'altri, la propria indipendenza, la propria autonomia, il proprio riscatto umano e la propria dignità di persona.
Solo attraverso una sana riappropriazione di se stessi e della realtà che ci circonda, senza fronzoli o circostante "opportune", saremo in grado di far fronte alla ns ... al momento ... totale, inconsistente e sperduta quanto naufragante... "Esistenza".

Riporto, pertanto, di seguito un estratto dell'articolo (musa ispiratrice) che ha dato origine a tal scritto, tratto dal sito Wallstreetitalia e dal seguente titolo:



"...Le politiche anti recessione messe in atto dalle autorità europee stanno funzionando, ma lentamente e la fase di adattamento è molto complicata e dura. Per scongiurare il pericolo di contagio dell'area core, la Bce dovrebbe avviare il suo programma OMT di acquisto di titoli di stato dei paesi più fragili. Ha promesso di farlo, ora deve passare ai fatti. Anche perché l'Europa rischia un periodo prolungato di stagnazione. 
Lo ha detto il consigliere economico del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard. 
"E' importante fare una distinzione tra area core e periferica: i paesi più in difficoltà hanno aggiustamenti molto importanti da fare. Sanno che devono diventare più competitivi. Hanno un deficit fiscale ampio che va eliminato. E sara' complicato, dal momento che questi paesi registrano una crescita negativa. La speranza e' che vi sia una crescita positiva più avanti, ma non e' sicuro..."


Di seguito, viceversa, il mio personale commento:
...
Vorrei partire da un assunto e da una scissione di termini.
L'assunto giace nella questione "culturale". In parte interna allo Stivale in parte comune al pensiero globale moderno.
La scissione dei termini punta, invece, ad individuare e ben distinguere da un lato: le misure "ipoteticamente" necessarie per ricostruire l'assunto su basi più costruttive. Dall'altro le convenienze nell'adozione di eventuali strumenti e ritocchi che facciano solo il gioco di una parte (quella che al momento risulterà "dominante" ovviamente).
Stringatamente, pongo un esempio: il ginepraio delle normative fiscali come il ginepraio delle normative in genere. In termini populistici: la nostrana burocrazia!
In Italia viviamo il paradosso di esser soggetti contemporaneamente a più norme in "contraddizione" tra loro ed al tempo stesso dover esser in grado di capire, comprendere, giustificare e dimostrare di non ricadere in un caso "normativo" o piuttosto di esser vittime od artefici di casi dai quali ci si aspetta o si presume o si spera una diversa e più legittima interpretazione della norma.
Siamo il paese della Dottrina e della Giurisprudenza in senso allargato... ossia a Dismisura!
Una razionalizzazione nei termini e negli obiettivi originari della certezza del diritto risulterebbe quantomeno "sacrosanta".
Questo proprio per affermare, in termini d'imposizione fiscale e contributiva, che manovre di alleggerimento del "carico" impositivo potrebbero essere individuate a partire, appunto, da uno snellimento ed una coerenza "normativa". A partire, ancora e con più vigore, da una "imposizione" mirata, che individui aree e "comunità" (sociali e.o imprenditoriali) sulle quali agire "espansivamente" o "restrittivamente".
Qui torniamo sul terreno culturale.
Se la cultura dominante è quella del "malaffare" (termine altrettanto populista) non faremo mai grandi passi avanti.
Diversamente, se la cultura vien ribaltata e riproposta in termini di assunzione diretta di responsabilità:
Nella gestione della cosa pubblica come di quella privata!
Nel necessario esame di coscienza sul proprio ruolo e comportamento rispetto al divenire sociale o meno!
Nella presa stessa di coscienza del proprio ruolo decisivo di decisore "involontario" sulla propria come sull'altrui vita!
Nella riappropriazione, quindi, sostanziale del proprio ruolo attivo all'interno di una comunità che non deleghi in bianco le proprie decisioni per poi sterilmente lamentarsi dell'operato altrui...
...
Allora potremo magari affrontare la questione degli intrecci d'interessi e, pertanto, il lobbysmo, il corporativismo, le rendite di posizione... da ben altra posizione.
Per il momento ci ritroviamo, diversamente ed evidentemente, ad affrontare mere questioni d'opportunismo.
Equamente suddivise tra chi "detiene" determinati privilegi e.o concessioni e.o benefici ed istintivamente (direi anche inevitabilmente ed umanamente) farà di tutto per difenderli e chi, rispetto a quei presunti "diritti", non intende sostituire "virtù", bensì rimpiazzare o, più volgarmente e mediocremente, sostituire una medesima "pochezza d'animo" con una pochezza diversamente ma parimenti eguale.
Questo il mio umile e di consueto prolisso...parere.
...

Ho espresso tali considerazioni in riferimento ad un preciso intervento di altro interlocutore ma, in termini di approccio alla realtà che oggi ci circonda, le stesse rimangono sempre (a mio personale intendimento) un utile ed efficace parametro di analisi e.o confronto sulle diverse problematiche socio-culturali-politiche-economiche attuali, fatte più di fumo e arrosto bruciato che di forma o sostanza coerente!

Un caro saluto a tutti,
Elmoamf

domenica 20 gennaio 2013

Fiducia, Empatia, Ascolto!

Quel che manca sovente nella collaborazione umana, purtroppo ed a mio avviso, è la necessaria fiducia nell'altro.
Spesso, si reclama più attenzione, più considerazione, più ascolto, più giudizio dall'altrui interlocutore.
Mai ci si sofferma, viceversa, sul "coefficiente" di fiducia che intercorre o dovrebbe intercorrere tra i diversi interlocutori (istituzioni, enti, imprese, comunità, individui o ...)
Ciò, probabilmente, dovuto ad un approccio più che altro eccessivamente razionale o pragmatico della realtà.
Approccio che porta a considerare il prossimo (più o meno) in termini di funzionalità (efficienza e.o efficacia) nel raggiungimento del proprio risultato.. piuttosto o rispetto.. al suo reale sentimento interiore!
Il prossimo, in sostanza, è facilmente visto e.o trattato alla stregua di un mezzo attraverso il quale "poter" raggiungere un risultato (perlopiù coincidente con le proprie necessità) e non come un individuo con cui esprimere e.o sviluppare la propria personalità  grazie anche ad un sano e proficuo confronto critico d'idee.
A tal proposito mi ricollego, per proporre un dibattito virtuale o (forse e meglio) una riflessione.
Sull'essenza "umana" dei numeri: in economia come nella storia o nella società in genere o nella volgare realtà quotidiana a prescindere.
Già! Poiché ritengo vi siano due cognizioni sulla percezione stessa dei numeri.
Una umana e pertanto emozionale.
L'altra "matematicamente" astratta e pertanto universale.. indefinita.
Dovendone valutare la loro diversa pertinenza sul ns incedere, mi preme osservare la  sostanzialità stessa del primo concetto rispetto alla spuria percezione del secondo.
In altri termini, i numeri sono più spesso preda dell''interpretazione e pertanto della fiducia nella loro comprensione piuttosto che della loro analisi e quindi della loro oggettiva valutazione!
E' sul terreno della loro nozione, cognizione, coscienza, conoscenza ed aderenza alla realtà che spesso e malvolentieri od inevitabilmente si gioca la partita,  tutta "incognite", del dominio delle comunità umane!
Sulla loro efficacia, pertinenza od efficienza in quella stessa realtà (padrona di tutti i ns miseri giorni come dei conseguenti "emozionali"  o "razionali" o "mixati" comportamenti) si pratica, altresì, la loro attinenza rispetto alla loro materiale e.o evidente sostanza!
Alcuni di noi direbbero che quella stessa sostanza è forma, contenuto, percezione oggetto, motivo, materia ed occasione concreta, propria della ns concezione della realtà.. altri, diversamente, sosterrebbero che possa esser frutto di una distorta percezione della medesima forma e contenuto ed oggetto e.. quindi, fonte di un'alterata concezione di quella sostanza.
Ora...prendendo una necessaria pausa di riflessione!
Ove la verità giace.. (impotente, inerme, incapace, inabile) si afferma o si conferma la mistificazione.
Allora la sostanza e la forma prendono si vigore, ma rispetto a parametri "alterati".
Congiuntamente ed opportunamente, tali parametri si sostengono ma ad uno scopo drammaticamente incongruo rispetto alla volontà ed alla necessità della certezza e della verità.
Grazie anche ad un elemento assodato.
Dato dal "fatto" che certezza e verità, nell'umana concezione risultano, al più, essere un opinione!
In tal senso e significato, difficilmente potrà essere assolto il debito nei confronti della loro sostanza.
Così come nella forma appariranno solo ed unicamente funzionali al loro compito emozionale e raramente o fugacemente risulteranno attinenti al loro valore "matematico" ed "universale".

Mi rendo conto della probabilità di poter esser compreso da pochi se non da alcuno...ma a volte vale più una dissertazione sui "massimi sistemi" che il moccolo di una candela preda del possibile umore del "vento" in tempesta!

Un saluto,
Elmoamf

Qui di seguito il link che, a torto o ragione, fortuna , destino o cagione ha ispirato tal scritto;


Scritto di cui esorto vivamente e comunque la lettura come il successivo indirizzamento, affinché i numeri non rimangano solo un'opinione ma proprio e perché siano in grado di esprimere ancor più di un semplice concetto di partecipazione!

Un ringraziamento sincero, infine, per il lavoro tangibile ed encomiabile svolto dai curatori del sito Ecodellarete.

Di nuovo un saluto,
Elmoamf

venerdì 18 gennaio 2013

La cultura della coscienza critica

Pubblico, come spesso è capitato in passato, l'ennesimo articolo di meritoria sostanza del buon Piero Valerio, autore del Blog Tempesta Perfetta.

Prima, però, mi preme ammorbare il prossimo con la seguente introduzione pescata, a tal proposito, da un commento personalmente vergato in merito ad un articolo dal seguente titolo:


La politica economica italiana
è un suicidio annunciato


Un articolo pubblicato sul sito di Wallstreetitalia.

Volendo tralasciare, giustamente, alcuni riferimenti e dettagli non attinenti, partirò da quanto segue:

L'apologia dell'Euro e della visione tutta "economicista" ed "eurocentrica" della realtà.

Visione che sinceramente mi ha un po stancato.

Visione per la quale le politiche sino ad oggi adottate (per riprendere il titolo dell'articolo, volutamente fuorviante - a mio modesto avviso - quanto al tempo stesso pertinente) si siano rivelate controproducenti nei confronti di una situazione e visione economica improntata sulla stabilità dei conti, sulla sostenibilità del debito e sulle capacità di ripresa.

Tutti termini naturalmente astratti se si pensa alla realtà ben più pregna di difficoltà e sofferenze dell'individuo o della famiglia "media".

Utilizzo il termine "media" proprio per rapportarmi coerentemente alla realtà di ognuno di noi senza eccedere in difetto od eccesso rispetto alle eventuali fortune o alle legittime possibilità altrui.

Per intenderci (magari partendo, ognuno, da diverse "assunzioni" della realtà), ciò che viene spesso esposto, in merito e sulla base del titolo dell'articolo, sarebbe una presunta virtuosità (o virtuosismo che dir si voglia) delle politiche dei paesi del nord (Europa) in contrapposizione al lassismo italiano.

Ritengo quest'analisi una sorta di pacchetto ben confezionato per additare come al solito alla "corruzione politica e morale" le colpe di una nazione. Una nazione che non si allinea a parametri precostituiti. Parametri, beninteso, stabiliti sempre da altri!

L'ovvia foglia di fico dell'opportunismo nostrano non può però fungere, a mio avviso, da paravento ad ogni illecita ingerenza altrui sul proprio destino. Tanto meno è giustificabile l'asservimento all'altrui pensiero dei rappresentanti di tal foglia di fico (spesso non propriamente legittimati  a tal carica) in nome di un possibile collasso interno della propria struttura sociale.

Se il gioco non vale la candela non vedo perché il popolo dovrebbe rappresentarne il moccolo!

Troppo facile sparare a zero sulla corruzione politica, a noi tanto cara, se poi si pretende che alcuni osservino regole scritte da altri mentre quegli altri, attraverso quelle stesse regole, si avvantaggiano.

I costi della riunificazione tedesca (per mero esempio esplicativo) sono stati assolti proprio grazie alle successive manovre di scarico del "connesso" onere sull'area Euro.

E noi allocchi italiani a santificare il rigore germanico.

Altri esempi presi a parametro della ns lascivia dall'estensore dell'articolo su evidenziato, richiamavano poi la rettitudine della Svezia che, purtroppo o per fortuna (chissà?) non è neanche lontanamente paragonabile all'Italia. Di seguito veniva menzionata la Gran Bretagna, forte di un epoca mai definitivamente sopita di dominazione coloniale e con una posizione geopolitica ed economica ben diversa dalla ns, anche solo parametrata agli ultimi due secoli di storia. Infine, e solo per la volontà di non perder tempo nell'andar oltre, veniva menzionata l'Irlanda, ossia un mero puntino (non me ne vogliano i fieri irlandesi che rispetto sinceramente e dal profondo) nell'odierno scacchiere standardizzato, che vive, purtroppo (per loro immagino), di capitale estero come spesso in passato denunciato dagli stessi irlandesi in contrapposizione alle voci dominanti.

Qui in Italia abbiamo fior d'ingegno e la storia lo dimostra, lo ha dimostrato e continuerà a dimostrarlo (almeno personalmente spero). La ns materia prima è l'intelletto e se perdiamo di vista questo punto focale non ci sarà "soluzione" che tenga perché alla lunga tutti probabilmente saremo destinati a soccombere.

E' necessario rialzare la testa. Anche grazie alla forza delle ns intuizioni, deduzioni, analisi e conclusioni. Alla ricercata forza delle ns istituzioni e dei ns diritti: a partire dalla ns sacrosanta "COSTITUZIONE"!

In buona sostanza (citando Paolo Bonacelli, il vecchio zio avvocato del mirabile film Johnny Stecchino - a tal proposito quanto sarebbe stato più utile per la cultura nostrana che il Benigni fosse rimasto a far l'attore e non il salvator di patria) è necessario sviluppare una sana capacità critica.

Attraverso l'approfondimento e la conoscenza senza cedere agli isterismi che ha nulla giovano nel contesto e ha nulla valgono nelle dinamiche geopolitiche.

Fintanto rimarremo preda del terrorismo psicologico allo stesso modo saremo preda di facili colonizzazioni, occupazioni, assoggettamenti ed assuefazioni al pensiero dominante il cui unico scopo, mi par di capire, è renderci silenziosi servi del potere!

Chissà, magari mi sbaglio!

Un saluto,
Elmoamf

Qui di seguito l'ottimo intervento di Piero Valerio direttamente dal suo Blog:



“La società non è cultura perché la cultura non è società. E la cultura non è società perché ha in sé l’eterna rinuncia del “dare a Cesare” e perché i suoi principi sono soltanto consolatori, perché non sono tempestivamente rinnovatori ed efficacemente attuali, viventi con la società stessa come la società stessa vive. Potremo mai avere una cultura che sappia proteggere l’uomo dalle sofferenze invece di limitarsi a consolarlo? Una cultura che le impedisca, che le scongiuri, che aiuti a eliminare lo sfruttamento e la schiavitù, e a vincere il bisogno, questa è la cultura in cui occorre che si trasformi tutta la vecchia cultura.” (Elio Vittorini, editoriale sul primo numero de “Il Politecnico” uscito il 29 settembre del 1945)

Non so per quale motivo, dopo aver partecipato ad un convegno organizzato daReimpresa e dall’ARS (Associazione Riconquistare la Sovranità), relazionato dal professore di diritto nonché presidente dell’ARS Stefano D’Andrea, mi sono venute subito in mente le parole di Vittorini, che per quanto riferite ad un periodo storico molto diverso dal nostro (ma mica tanto e ne parleremo dopo) rimangono ancora attuali. Domenica scorsa ad Alcamo, io ho assistito ad uno spaccato molto vivido e pregnante della nuova cultura che vorrei si diffondesse presto in Italia. Una cultura che non parla più per astratti concetti, per “ismi”, per categorie ideologiche o ideologizzanti, per guelfi o ghibellini, per destra o sinistra, ma che si occupi soltanto del pane e del lavoro e dei modi in cui in questo benedetto paese possano tornare di attualità tutti i temi riguardanti il reddito e la dignità dei suoi cittadini. Non con il solito inefficace e improduttivo buonismo di facciata dei partiti, dei sindacati e dei politicanti mainstream, invocando in modo confuso e a margine politiche attive per il lavoro come se fosse un corollario dovuto, ma andando oltre la superficie fino alla radice del problema e mettendo questi argomenti al centro e nel primo capoverso di qualsiasi nuova agenda politica. Perché senza lavoro non c’è reddito e senza reddito non solo non c’è più giustizia sociale, non c’è crescita economica, ma neppure libertà. E senza libertà si finisce in questo catafascio di società dell’assurdo in cui viviamo oggi.

Non è più un mistero che i partiti italiani autorizzati ad invadere impunemente il contesto televisivo e mediatico in generale parlano da anni di lavoro in modo molto demagogico, ideologico, fideistico quasi (flessibilità, competitività, produttività, arrivo messianico degli investimenti esteri), senza però analizzare con la necessaria coerenza, competenza e obiettività i fatti, i dati, l’evoluzione degli eventi, i numeri nudi e crudi che ci hanno portato fino al disastro attuale. La disoccupazione, dicono, è figlia delle mancate “riforme” avvenute in Italia, ma sono sempre troppo pochi quelli che hanno davvero il coraggio di spiegare alla gente quali siano i contenuti e le finalità di queste fantomatiche “riforme”. Perché per farlo dovrebbero andare pesantemente addentro le caratteristiche della gabbia deflazionistica che ci è stata costruita attorno con l’adesione alla moneta unica e al regime europeista. E' inutile girarci intorno. Per quanto cercano di prenderla alla larga, chi vuole dire qualcosa di “serio” e di “vero” sul lavoro prima o dopo arriva sempre allo stesso punto: oggi se vuoi competere economicamente in Europa, l’unica strada è quella di tagliare i diritti e i salari dei lavoratori, perché la dottrina mistica del pareggio di bilancio non consente margini di detassazione e incentivi alle imprese e la rigidità di cambio non ammette recuperi di competitività per via monetaria. L’azzeramento delle conquiste economiche e sociali dei lavoratori era il vero obiettivo della trentennale campagna europeista di Restaurazione, segretamente o palesemente eterodiretta dai vecchi regimi oligarchici. Senza avere mai la certezza che questo porterà davvero ad un miglioramento del tessuto produttivo e dell’offerta, visto che se tutti i paesi percorreranno contemporaneamente questa strada, per aumentare le esportazioni e ridurre le importazioni, allora si infileranno in uno di quei tipici circoli viziosi senza via di uscita, di cui l’Unione Europea sta diventando il più grande produttore a livello mondiale. Potranno tutti i paesi europei esportare nei paesi limitrofi se nessuno è più disposto ad importare? Ecco per quale motivo lavoro ed eurozona oggi sono più che mai intrecciati e chi non riesce a cogliere questo legame è fuori dal mondo o palesemente in malafede. Per parlare di lavoro devi per forza parlare di Europa, o meglio di ciò che “vuole l’Europa” per l’Italia.

Non a caso il professore Stefano D’Andrea ha iniziato la sua relazione parlando della differenza e della confusione che esiste oggi tra le definizioni di Europa, Unione Europea ed eurozona, mettendo l’accento sul fatto che ognuna di queste realtà è indipendente dalle altre e può tranquillamente continuare ad esistere senza la necessità di accettare le successive sovrastrutture che ci sono state imposte per imbrigliare le singole costituzioni nazionali e mortificare i diritti dei cittadini e dei lavoratori. L’Europa è un continente geografico e politico che ha una storia molto antica e travagliata che prescinde dalla creazione dell’Unione Europea, così come l’Unione Europea è un accordo intergovernativo di cooperazione economica che prescinde dall’adozione di una moneta unica. Ed è proprio la decisione folle di aderire ad una moneta unica da parte dei 17 paesi dell’eurozona, contrastata fin dal lontano 1961 da tutta la comunità scientifica internazionale per evidenti ragioni di insostenibilità, l’unica vera anomalia innaturale che ha sconvolto i precedenti equilibri che si erano già solidamente e pacificamente stabiliti nel nostro splendido continente. Il percorso che dalla firma a Roma degli accordi sullaComunità Economica Europea del 1957 ha portato fino al Trattato di Maastricht del 1992, presenta appunto un solo grande inspiegabile momento di discontinuità nella decisione di irrigidire il valore di cambio delle monete con la creazione dello SME nel 1979, che ha condotto poi all’introduzione dell’euro nel 1999, alla cancellazione finale di tutte le banche centrali nazionali e alla devastazione delle residue pretese di sovranità politica, economica, monetaria di ogni singolo paese. Quanto affanno e quanta approssimazione in questa scelta scellerata. Quanta fretta. Perché il cancelliere Kohl ha insistito tanto affinché l’Italia entrasse subito fin dall’inizio nell’area euro? Cosa voleva veramente da noi la Germania?

La risposta ormai la conoscono bene o male tutti quelli che hanno cercato di informarsi con rigore e disciplina perché è scolpita nei dati che circolano liberamente in rete grazie al lavoro di encomiabili economisti nostrani non allineati come Alberto Bagnai, Sergio Cesaratto, Gennaro Zezza, Emiliano Brancaccio e tanti altri. L’euro fa parte di un ampio progetto, collaterale e complementare alla sana ed equilibrata unione e cooperazione economica, che aveva come scopo principale quello di sancire la vittoria definitiva della logica della rendita finanziaria sulla cultura del lavoro. La logica della speculazione passiva dei banchieri e dei rentiers su quella della produzione attiva delle piccole e medie imprese e dell'intervento statale nell’economia, che in un normale contesto democratico dovrebbe servire a favorire un’equa redistribuzione dei redditi, la tutela dei diritti e la garanzia di erogazione dei servizi essenziali verso l’intera cittadinanza. Hanno vinto loro grazie ad una campagna mediatica di disinformazione e menzogna senza precedenti, che ha ridotto i popoli europei allo stato di barbarie e regressione culturale tipico della schiavitù: uno schiavo è tale perché non conosce i mezzi che potrebbero emanciparlo dalla sua condizione di alienazione e prigionia. Uno schiavo è tale principalmente per mancanza di conoscenza e informazione. E non dobbiamo quindi stupirci se oggi la maggioranza dei nostri concittadini sguazza nella confusione più assoluta, appoggiando ora l’uno ora l’altro partito di oligarchi che li ha condannati al declino, senza sapere che ogni loro plateale consenso o tacito assenso a questi sciacalli serve ad irrobustire le catene che hanno già ai piedi. I cittadini europei sono riusciti a bersi tutto di un fiato la medicina amara dall’austerità, credendo che eliminare posti letto negli ospedali pubblici e pagare sempre più tasse possa servire un giorno a farli vivere meglio. Ma non è pura idiozia credere che si possa vivere meglio rinunciando volontariamente ai servizi e ai mezzi che in qualsiasi epoca storica hanno avuto il merito di far vivere meglio le persone? Ma è mai possibile credere che essere ammassato su una barella in un corridoio di ospedale, in preda ai dolori lancinanti e all’indifferenza dei pochi inservienti rimasti in organico, equivalga a vivere meglio?

Eppure è così. Dobbiamo accettare il paradosso e il teatrino dell’assurdo come un dato di fatto ineludibile della nostra vita attuale. Dobbiamo vivere in mezzo ad un mondo di pazzi esagitati e masochisti giustificandoci e vergognandoci quasi per il nostro ostinato desiderio di normalità. Possiamo sgolarci a perdifiato per spiegare ai nostri concittadini, dati alla mano, che tutte le politiche europeiste e globaliste di libera circolazione dei capitali e dei beni spacciate per “modernità” sono state imposte per far arricchire chi vive di rendita finanziaria a dispetto di chi campa di lavoro, ma loro ti guarderanno sempre con sospetto, sgranando gli occhi, dicendoti che solo la politica che impone oggi sacrifici inutili in vista di un incerto, incertissimo futuro è “seria”, “sobria”, “equilibrata”, mentre chi lotta e si agita indefessamente per fargli avere oggi la certezza di un posto letto decente in ospedale per quando starà male e avrà bisogno di cure è solo un “populista”, un “demagogo”, un “qualunquista”. Di fronte alla follia e all’isteria collettiva, anche la più temeraria e imperterrita delle ragioni umane è costretta a soccombere e ad arretrare. A vivere in clandestinità. Ad isolarsi dalla massa e a combattere con le uniche e spuntate armi della rappresaglia rimaste. Facendo in modo che questa nuova lotta di Resistenza per un ritorno alla normalità in Italia possa continuare con pazienza, prudenza, costanza, casa per casa, quartiere per quartiere, città per città, per ricondurre alla ragione tante più persone possibile. Non si deve cercare di convincerli sulla base della corrente di pensiero più in voga o di moda, dell’”ismo” più accattivante del momento, ma ragionare e confrontarsi apertamente con loro sui principi fondanti della cultura del pane e del lavoro. Nient’altro che questo. Parlare di politica economica, monetaria, finanza, diritto, costituzione senza mai perdere di vista l’ago della bussola che deve essere sempre puntato sul pane e sul lavoro. E sul fatto che il prezzo del pane, la temutissima inflazione, non potrà mai impedire oggi a chi ha un reddito, un qualsiasi reddito, di comprare il pane (ricordiamo a tal proposito che quasi la metà della produzione alimentare mondiale finisce fra gli scarti dei rifiuti), mentre il problema sorge quando un'ampia fascia della popolazione non ha più un reddito, è disoccupata, o vede gran parte del suo salario evaporare soltanto per consentire agli sciacalli di vivere di rendita. Per questo motivo un tempo era nata l’idea sublime e nobile della democrazia: per dare il pane e il lavoro a tutti. Una cultura antica come il mondo che ad ogni modo, vada come vada, alimentata incessantemente dal fuoco sacro della verità, finirà per prevalere sulla cinica etica moderna della schiavitù senza dignità e decoro.


Le prossime elezioni di febbraio sono ormai un’occasione mancata o forse l’ultimo disperato arrembaggio concesso ai pirati mercenari della disinformazione e della depredazione dell’Italia, perché i tempi contingentati non hanno consentito alla ragione di dipanarsi con la necessaria autorevolezza, lasciando alla follia campo libero per sbizzarrirsi con le sue infinite paure e sciocchezze fondate sul panico immediato e sull’emergenza. Ma al prossimo appuntamento dobbiamo farci trovare preparati, organizzati, uniti pur nelle nostre innumerevoli molteplicità. L’Italia, con tutte le sue contraddizioni interne, non potrà resistere ancora a lungo ai saccheggi del Fiscal Compact, del MES e del settore bancario sempre più avido ed agonizzante, ed è a quel punto che la verità dei fatti farà il suo trionfale ingresso nel paese, per ribadire ancora una volta la sua supremazia su ogni altro aspetto della vita, compresi la ragione e la follia, la giustizia e la libertà. Ecco per quale motivo ho deciso di dare il mio sostegno diretto all’Associazione Riconquistare la Sovranità, per condurre insieme a loro questa decisiva battaglia di verità e resistenza sul territorio in attesa della liberazione dal becero europeismo di maniera. Così come aderisco con tutto l’impegno richiesto alle iniziative promosse da altre organizzazioni politiche o di categoria come Reimpresa , che stanno diffondendo sul territorio la cultura della verità e del lavoro in modo impeccabile e capillare. Non potendo per i prossimi mesi partecipare attivamente all'aggiornamento del blog, dedicherò tutti gli scampoli di tempo disponibili per fornire il mio contributo di collaborazione e partecipazione agli eventi, ai convegni, ai forum, che avranno come premesse e finalità la diffusione della cultura del pane, del lavoro e della verità. E concludo questa breve incursione con le parole di Vittorini, perché è proprio da quel momento, dal lontano 1945, che dobbiamo ripartire per capire i motivi del fallimento di una Resistenza divisa, frammentata e tradita, di un’Unificazione nazionale lasciata a metà e rimasta a tutt’oggi incompiuta, di una Costituzione democratica fornita come elenco di buoni propositi da attuare ma mai diventati concretamente e compiutamente operativi. Perché è proprio sulle crepe prodotte da questo fatale e triplice fallimento che si è inserito il tarlo della “modernità” funesta dell’europeismo, della globalizzazione, della finanziarizzazione spinta dell’economia, della società, della politica e della vita umana nel suo complesso. 

“La cultura italiana è stata particolarmente provata nelle sue illusioni. Non vi è forse nessuno in Italia che ignori che cosa significhi la mortificazione dell’impotenza o un astratto furore…Occuparsi del pane e del lavoro è ancora occuparsi dell’”anima”. Mentre non volere occuparsi che dell’”anima” lasciando a “Cesare” di occuparsi come gli fa comodo del pane e del lavoro, è limitarsi ad avere una funzione intellettuale e dar modo a “Cesare” (o a Donegani, a Pirelli, a Valletta) di avere una funzione di dominio sull’”anima” dell’uomo. Può il tentativo di far sorgere una nuova cultura che sia di difesa e non più di consolazione dell’uomo, interessare gli idealisti e i cattolici, meno di quanto interessi noi?”

mercoledì 16 gennaio 2013

L'essenza dello Jus Cogens

In questi ultimi giorni mi torna prepotentemente alla mente un "termine" del diritto internazionale che ritengo dovrebbe esser personalmente caro ad ognuno di noi:


Chi o Cosa sarà mai costui, direbbe il ns interiore e quotidiano Don Abbondio parlando del proprio Carneade.

Quel Carneade per cui la saggezza e la giustizia, propriamente, non viaggiano (spesso!) all'unisono e.o non tentano affatto, altrettanto, d'esser sempre d'accordo.

Diversamente, sarebbe più opportuno riflettere sul perché tale e tali "termini" siano ai più sconosciuti!
Ignorati quanto regolarmente calpestati, nel loro vigore essenziale, dal ns "prossimo". Sia nelle dirette quanto immediate implicazioni fattuali (delle proprie come delle altrui azioni) che nelle perverse dinamiche interrelazionali ove vige sempre, comunque ed inesorabilmente la regola del più forte.

Quale amor proprio, quale onore, quale rispetto reciproco e soprattutto quale rispetto della dignità della persona in un ambiente in cui vien favorito, agevolato, assecondato, protetto e sostenuto solo il sopruso nei confronti del ns più "attiguo" e "contiguo" interlocutore?

Sovente si ragiona in termini di colpevolezza, ossia assecondando il giudizio del più forte in relazione ai ns comportamenti ed alle ns eventuali reazioni ai soprusi quotidiani. Ciò porta, inevitabilmente, ad un atteggiamento ossequioso e remissivo nei confronti del potere riconosciuto ed indebitamente precostituito.

Un potere rafforzato abusivamente, arbitrariamente, delittuosamente, deviatamente ed illecitamente... in forza della necessità e della sopravvivenza del singolo anonimo e della di lui famiglia, in favore del "nobile" di turno nella più volgare rappresentazione medioevale dello ius primae noctis.

Due facce della stessa anima, nella moderna società, improntata sul "debito" e sull' "interesse" altrui.

A tal proposito mi pregio pertanto introdurre il seguente scritto che attiene correttamente, giuridicamente e sostanzialmente allo Jus Cogens proprio del diritto internazionale in relazione all'attuale e cieco calpestamento dei valori costituzionali italiani e dei popoli europei in genere.

Quei valori per cui anonimi eroi si son battuti nel tempo donando, in estremo, la propria stessa vita in nome di un principio: quello supremo della dignità umana!

Non è mai troppo tardi per riflettere.
Mai sarà troppo tardi per reagire ed intraprendere un nuovo cammino degno della ns persona, della ns vita, della ns comunità, della Storia Umana!

Un saluto,
Elmoamf

Dal Blog Orizzonte48:


ESSI VIVONO (THEY LIVE)




1. Il film "Essi vivono" ("They Live") , di John Carpenter, è, prima e più di "Matrix", la rappresentazione anticipatrice di una distopia in cui l'umanità è asservita, mediante una forma "totale" di condizionamento ancor più insidiosa della antica condizione della "schiavitù", a un potere "alieno", eppure non "percepito". Non riconoscibile immediatamente come tale.
Nella storia "They" possono essere identificati e distinti dai normali esseri umani solo attraverso degli speciali occhiali, casualmente ritrovati dal protagonista.
Questo ci suggerisce l'idea simbolica della "mimesi": essa non implica la piena "assimilabilità" del mimetizzante, che resta radicalmente diverso da ciò che imita e di cui simula l'apparenza, ma gli consente, proprio attraverso il "mascheramento omologo", di potenziare e rendere più efficienti le sue logiche predatorie
Si tratta cioè di una mimesi meramente comunicativa, come nel caso dei "diritti cosmetici", e quindi di una "falsificazione di sè nelle altrui forme".
Da qui l'importanza "evolutiva" di questa "mimesi", in termini di strategia e in quanto rapportabile alla "funzione" svolta, a suo tempo, dal nazismo: cioè dall'ultima esperienza predatoria di massa apertamente dichiarata, e come tale teorizzata in termini "metafisici". Il nazismo si avvalse di una simbologia, conclamata, (cioè veicolante la massima espressione della "idea"),  di segno opposto a quella della "mimesi", a sua volta, viceversa, tutta calibrata sulla inavvertibilità dei fini e degli strumenti che utilizza programmaticamente il "predatore".
Ad es:
- i "diritti cosmetici" falsificano e svuotano i diritti fondamentali
- le organizzazioni che tendono alla sovranità finanziaria imperialista dissimulano i loro scopi reali, falsificandosi dentro "l'altro da sè" delle organizzazioni internazionali nate per reazione al nazismo e per garantire pace e benessere dei popoli; 
i discorsi sulle costituzioni  democratiche del lavoro , oggi, e fatti "in un certo modo", mimetizzano quelli sull'Europa che svuota le prime; 
l'istituzione di "alte Corti", applicative di "nuove" creazioni normative "erosive" della certezza del diritto e della giustizia sociale,  falsifica, per mimesi formale, le istanze giurisdizionali internazionali tese a garantire i diritti fondamentali
e così via...
Vi ricorda qualcosa di attuale della realtà europea?

2. Dunque: Carlo P. in uno dei suoi, solitamente arguti, commenti, ci segnala questa iniziativa anti-austerity e politiche seguite dalla trojka, che ha condotto a una argomentatissima denuncia alla Corte Penale Internazionale dell'Aja, di Merkel, Van Rompuy, Schauble, Barroso e Lagarde...

Oltre che di tutti coloro che, comunque, hanno assunto la responsabilità giuridico-negoziale di introdurre una serie di norme europee che prendono le mosse dallo stesso trattato di Lisbona e finiscono alle ultime modifiche del TFUE e dei regolamenti del c.d. "fiscal compact". 
Ciò in quanto implicano che soggetti privati, rappresentanti dei creditori privati bancari degli Stati, non solo esproprino questi ultimi di ogni potere di politica economica e fiscale, ma lo facciano in assoluta impunità e irresponsabilità giuridica per lesofferenze inflitte alle società umane colpite, in spregio dello jus cogens sui diritti umani inalienabili; impunità ancor più ingiustificata di quella, già contraria allo jus cogens, di cui godono i funzionari del FMI.
Questo è il sito di commento indicatoci da Carlo P., dal quale traiamo un passaggio del loro "taglio" illustrativo della questione:
[la denuncia] si è avvalsa delle testimonianze di cittadini Greci e dei giornalisti Georgios TrangasPanagiotis Tzenos, Politici Antonio Prekase del Politico Greco Dimitrios Konstantaras (Nea Democratica) che per diversi mesi hanno girato la Grecia sotto e sopra, hanno presentato denuncia contro le 5 persone sopra citate, anche il Tribunale Costituzionale Tedesco è sotto mira dato che già in due precedenti denunce (12-09-2012 / 26-09-2012) fatte dalla coppia Hassel / Reusinge dal signor Gauweiler le aveva rigettate aprendo un processo lampo senza darne le motivazioni, con questa nuova denuncia basata sul “jus cogens” alti diritti, anche i più scaltri Giuristi sanno cosa vuol dire e le chance di un rigetto sono NULLE, per questo il tribunale Costituzionale Tedesco ha deciso di riaprire i due casi chiusi in fretta e furia per non finire sotto processo come complice di Crimini contro l’Umanità, il Professore di Diritti Umani e conosciutissimo in tutto il Globo (Peter Michel Huber) ha assicurato alla coppia denunziante il totale appoggio di tutte le Organizzazioni Mondiali compreso il suo, logistica e mantenimento per tutto il periodo della disputa.

3. Questo, poi, per chi fosse interessato alla comprensione dei termini giuridici e economico-fattuali della questione, è il link con la traduzione in inglese.
Da essa vi riporto "l'indice" dei paragrafi in cui sono suddivise la ragguardevoli argomentazioni a supporto della denuncia stessa  e che in sè fornisce un eloquente "volo radente" sulle....rovine d'Europa di questa "terza volta in un secolo" che è dilagata la distruzione "imperialista" perpetrata da un'oligarchia autoproclamatasi egemone (con enormi complicità diffuse nei paesi "colpiti"):
I. the connection between the Roman Statute and the universal human rights
II. On the definition of a crime against humanity
III. The systematical attack on the health at Greece
III.1 how the conditions against Greece systematically destroy the Greek health system
III.2 the humanitarian catastrophe in the Greek health system
III.3 human rights expert criticizes Greek austerity measures
III.4 the attack on the nutrition at Greece
III.5 drastical cuts at Portugal and Spain and hunger at Spain
III.6 further destruction of the health sector at Romania
IV. proof of the systematical nature of the attack by means of the „little treaty change“ (art.
136 par. 3 TFEU)
IV.1 safeguarding the financial sector as the real cause of the excessive strictness
IV.2 the obligation to the "strictness“ as the system of inhumanity
IV.3 the Budgetary Surveillance and the instrumentalization of EU funds
IV.4 political power partly in the hands of the private creditors via the state insolvency
procedure of the ESM
IV.5 how art. 136 par. 3 TFEU threatens to oust the universal law
IV.6 how art. 136 par. 3 TFEU would lay the axe on the EU itself
V. examples for the strictness of the "practice“ of the IMF, reaching on to art. 7 par. 1 lit. k
Roman Statute
V.1 prognosticable conditions against the food supply
V.2 IMF conditions one of the main reasons for the rise of tuberculosis und further
diseases
V.3 proof of the inhumanity of the „practice“ of the IMF at the example of the UNICEF study"adjustment with a Human Face“
V.4"Vienna initiative“ older than anticipated and systematical abuse of power of the IMF at
the favour of specific big banks
V.5 strictness of the "practice“ of the IMF at the service of big banks
VI. further considerations regarding the subjective part
VI.1 possible tracks according along the history of the creating of art. 136 par. 3 TFEU
VI.2 responsibility for the systematical extent of the strictness
VI.3 concrete procedure of the creation of the conditions to Greece
VI.4 CDS bets as a further possible motive
VI.5 direct influence by bank lobbyists on Prime Ministers and financial ministers
VI.6 the particular influence of Goldman Sachs
VI.7 the role of the Bilderberg network

4. L'intera denunzia meriterebbe una traduzione completa in italiano, data l'utilità informativa e delle nozioni giuridiche che vengono spiegate e sostenute con ampia offerta di prova "in fatto".

Questa "attendibilità" giuridico-fattuale pare attribuibile pure ai parr. VI.6 e VI.7, riguardanti il ruolo di G&S e del gruppo Bilderberg.
In proposito, siccome sono i tipici argomenti che vengono, spesso sbrigativamente, liquidati come "complottismo" rammento quanto in precedenza qui scritto sull'uso di tale "etichetta":
"IL TERMINE COMPLOTTISMO AFFIBBIATO A CHI RICERCA A FONDO E COMPIE OPERAZIONI DI CONNESSIONE INTUITIVA E DEDUTTIVA TRA FATTI CERTI NON MI PIACE: SEMBRA UNA QUASI-CENSURA ALLA LIBERTA' E ALLA CAPACITA' DI OGNUNO DI NOI DI COMPRENDERE E DI ARRICCHIRE LA VITA DEMOCRATICA COL NOSTRO CONTRIBUTO DI PENSIERO AUTONOMO E CRITICAMENTE INFORMATO.
Insomma una forma strisciante di PATERNALISMO...All'arme!: però, questa volta per noi
..."

Ora se tutti coloro che sono così "bravi" da capire e spiegare realtà complesse fossero attestati su questa visione censoria e paternalista, idee e iniziative coraggiose come questa "denunzia" non vedrebbero mai la luce: la "mimesi predatoria" potrebbe continuare ad agire indisturbata, potendo contare sulla confutazione di qualsiasi argomentazione logico-scientifica da parte del sistema mediatico da lei rigidamente controllato.

5. Per avere dei significativi esempi del genere di fatti e argomentazioni, giuridico-economiche, utilizzate nella denunzia, sono qui tradotti dei brani (tratti dalle pagg.15 e seguenti):

"Come comprova la normativa tedesca (numero di file 17/9049), emanata in Germania come una delle leggi di accompagnamento all’introduzione dell’ESM, queste clausole di azione collettiva (Stato-membro, Commissione, rappresentanti ESM) sono dettate per proibire ai paesi dell’eurozona qualsiasi procedura di default gestita dagli Stati stessi, per costringerli invece nella procedura di insolvenza degli Stati propria dell’ESM, dove sono loro imposte condizioni politiche non soltanto da parte della Trojka, ma anche da parte dei creditori privati, laddove i maggiori creditori privati degli Stati (le grandi banche), avrebbero alte quote di voti in ragione del livello delle loro pretese finanziarie.

Le corti costituzionali reagiscono (al problema delle interferenze tra fonti internazionali, e in specie europee, e diritto costituzionale interno ndr.) differentemente con riguardo al “rango” (livello della fonte) delle pretese avanzate dalla “Legge” UE. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale polacca, la costituzione polacca è, in quel paese, la fonte di grado più alto e così prevale anche su quella europea…

La Corte costituzionale tedesca, a partire dalla pronunzia sul Trattato di Lisbona del 30 giugno 2009, ritiene la “identità costituzionale” tedesca (specialmente i diritti fondamentali e i principi base di organizzazione, ma anche gli obiettivi di “pace” propri dello Stato)…e la stessa “integrazione europea” costituzionalmente sancita, come superiori ad ogni fonte europea,….riconoscendo però alla “norma primaria europea” (trattati ndr.) un rango superiore al resto delle norme costituzionali (e primarie) tedesche- eccettuate le politiche estera e di sicurezza UE, che hanno il rango di semplice diritto internazionale (cioè non “ultraprimario” e “para-costituzionale” come il resto dei trattati UE, ndr.). 
Secondo il principio fondamentale n.3 del pronunciamento su Lisbona, l’attuazione del diritto europeo deve lasciare “sufficiente” spazio i “diritti umani universali” in quanto di rango superiore

Link:
http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30db92332c9a56434bba  

Dopo la emanazione dell'art.136 par.3 TFUE, l'art.351, TFUE, avrà l'effetto che i paesi dell'eurozona saranno, dal punto di vista della "normativa" UE, tenuti ad allentare i propri obblighi nei confronti dei diritti umani universali e dello Statuto di Roma sulla Corte penale permanente di giustizia penale (e sui "reati" violativi dello jus cogens in esso previsti ndr.): e ciò in un modo tale che, e ciò è sicuro, essi non potranno impedire mai più nuovi meccanismi connessi all'art.136, par.3, TFUE, che implicano "austerity" (strictness) e che seguono le "pratiche" del FMI e ignorano i diritti umani. 
Ciò significherà, con ogni probabilità, che i paesi (coinvolti nell'ESM, ndr.) saranno obbligati a porre una riserva (condizione delimitatrice del contenuto ndr.) ai trattati sui diritti umani universali rispettivamente ratificati, all'UDHR (Dichiarazione dei diritti universali dell'Uomo del Consiglio d'Europa del 1950, da cui la Convenzione e la Corte CEDU; ndr.) e allo Statuto di Roma, in tal modo che i diritti universali e i il diritto penale"universale" (c.d. "reati contro l'Umanità" ndr.),
non saranno più applicabili al rispettivo Stato, nella misura in cui saranno applicabili le condizioni dei meccanismi connessi all'art.136, par.3 del TFUE (ESM e relativa condizionalità, affidata a organi esterni allo Stato sovrano ndr).
6. Questo, per una migliore comprensione, il testo emendato dell'art.136, più volte citato: 
«Su raccomandazione della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, gli Stati membri la cui moneta è l'euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell'ambito del meccanismo sarà decisa sulla base di una proposta della Commissione e sarà soggetta a rigorosi criteri di condizionalità conformemente ai principi e agli obiettivi dell'Unione, quali sanciti nel trattato sull'Unione europea e nel presente trattatoI principi e le regole generali per la condizionalità dell'assistenza finanziaria nell'ambito del meccanismo e per il controllo della stessa sono stabiliti in un regolamento adottato secondo la procedura legislativa ordinaria.»
E questo il testo dell'art.351 TFUE:   "Le disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1o gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall'altra.
Nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili coi trattati, lo Stato o gli Stati membri interessati ricorrono a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. Ove occorra, gli Stati membri si forniranno reciproca assistenza per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta.
Nell'applicazione delle convenzioni di cui al primo comma, gli Stati membri tengono conto del fatto che i vantaggi consentiti nei trattati da ciascuno degli Stati membri costituiscono parte integrante dell'instaurazione dell'Unione e sono, per ciò stesso, indissolubilmente connessi alla creazione di istituzioni comuni, all'attribuzione di competenze a favore di queste ultime e alla concessione degli stessi vantaggi da parte di tutti gli altri Stati membri."
Come si vede il diritto europeo (dei Trattati; ma la Corte europea, sopra citata, non mostra di fare troppe distinzioni tra fonti comunque UE), muove dall'idea del superiorem non recognoscens: il che reca in sè i germi di una governance che dia adìto a un intrinseco imperialismo, universalista e impermeabile erga omnes, dello stesso tipo di quello che, dopo la seconda guerra mondiale, aveva portato, all'interno delle Nazioni unite, alla creazione del nucleo indeclinabile e inviolabile dello "jus cogens". 
E in base agli artt. 53 e 64 della Convenzione di Vienna, tutto ciò che contrasta lo jus cogens è NULLO.

lunedì 14 gennaio 2013

In viaggio per L'Italia dell'Euro... in viaggio con Alberto Bagnai

A costo di esser magari ripetitivo o ri-propositivo espongo i seguenti video, probabilmente già conosciuti, sempre buoni per prendersi un attimo di tempo e pensare.
Per riflettere noi stessi e non volgarmente farsi riflettere per conto d'altri!

Un saluto,
Elmoamf

IL TRAMONTO DEL SESTERZIO


PRESENTAZIONE DEL 11 GENNAIO 2013 AD AREZZO DEL LIBRO
"IL TRAMONTO DELL'EURO"


domenica 6 gennaio 2013

Lunga vita al Re ovvero Napolitano e la forza della coerenza

Questo articolo avrebbe dovuto presentarsi inizialmente in altro modo poiché era altra l'intenzione.
L'intenzione era quella di richiamare alla memoria "un'intervento particolare".
Uno di quegli interventi "scritti" che impongono una riflessione sulle proprie scelte e posizioni nonché sulla propria coscienza... per chi di quegli scritti è l'autore o quantomeno il convinto e responsabile relatore e.o assertore!
Spesso, in modo inappropriato eccessivo ed abusivo, si è soliti utilizzare la locuzione latina:
"verba volant scripta manent"
In tal caso, però, mai affermazione fu più "galeotta"!
Tale discorso fu tenuto presso uno di quegli "istituti" che rappresentano (o si auspicava avrebbero dovuto rappresentare ?!?) il "summus" di quell'espressione "democratica" che i padri fondatori dell'odierna Repubblica Italiana speravano o meglio ancora confidavano si sarebbe realizzata attraverso la ns tanto amata ... ma nei fatti sempre poco conosciuta, apprezzata e difesa ... "Costituzione".
Un discorso che sembra superare il tempo e lo spazio, tanto e quanto si presta all'odierno dilemma se accettare o "prevedere", senza se e.o senza ma... i dogmi dell'Euro e della nomenclatura europea da un lato e la recuperata sovranità e libertà di scelta dall'altro.
Un limbo "tragico" nel quale... volutamente ci si è costretti e.o opportunamente ci si è predisposti ed imposti a dover sopportare, con tutte le sue inevitabili conseguenze.
Sono giorni, forse e soltanto od instancabili, che martello sullo stesso punto.
Con una consapevolezza che spero "Monti" allo stesso modo.
Non per me personalmente che non ne ho nulla da "guadagnare"... ma per quei quattro gatti che mi leggono (ed i due topi che rosicano... citando in tal caso una battuta recentemente scambiata con una cara "persona" di cui posso pregiarmi della stimata amicizia).
E spero... nonostante abbia affermato, in modo altrettanto schietto e sincero,  un acquisito e personale quanto antitetico "faro illuminante" (per altri magari interpretato quale dogma pseudo religioso oppure simbolo massonico od ancora percorso esoterico od infine... "cerchio nel grano") ossia quello dell'uomo quale "Battaglia Persa".
Pertanto, alla luce di quella consapevolezza, sia ben chiaro che la mia non è una resa.
Diversamente, una presa appunto di coscienza, di fronte ad una mia presunta evidenza!
Evidenza che necessariamente e sinceramente avrei dovuto personalmente "realizzare", in modo conscio, ben prima d'ora!
Questo perché ?
Perché, a mio avviso, a nulla serve parlare, esplicare, analizzare, esaminare, esporre, dimostrare o mostrare, amare od essere (spesso impropriamente mettendosi o lasciandosi a disposizione ?!?!).
E non perché ogni altro ns interlocutore od individuo terzo sarà "tratto a trarne" il suo vantaggio, più semplicemente perché [cercando di parafrasare (nei termini più volgarmente personali che si possano constatare) il buon René Guénon] ciò non dovrebbe meritare la ns "attenzione" .

La ns attenzione, con tutta la personale sincerità, dovrebbe esser tratta dalla e per la ns capacità di esser presenti a noi stessi:
- nel momento in cui si effettuino semplici scelte
- nel momento in cui si avallino determinate scelte
- nel momento in cui si analizzino prestabilite scelte
- nel momento in cui si espongano selezionate scelte
- nel momento in cui si sostengano deliberate scelte
- nel momento in cui si presti ad essere artefici di esautorate scelte
- nel momento in cui si cerchi di vivere di quelle stesse scelte.........
In tutti quei momenti in cui si è richiamati alla realtà della ns identità e pertanto alla ns dignità di esseri umani.
Quali persone, in coerenza, idea, critica e pragmatica.
Quali e soprattutto persone in grado di sostenere il peso della ns intima e propria coscienza nei confronti dell'aberrante ipocrisia. Un'ipocrisia inesorabile, che ignobile alberga nell'alveo di ogni anima: vittima, preda o complice dell'avidità materiale.

Quale miglior "conclusione" si potrebbe auspicare e.o legittimare se non un sincero "mea culca" ed una richiesta di perdono senza se e senza ma ?

Ma questa è un'altra storia e speriamo che qualcuno potrà in futuro raccontarla!

Nel frattempo, nel tentativo di una ricercata ed interposta coerenza, rimetto a Voi, miei esimi ed esigui lettori, il successivo testo dell'intervento parlamentare di Monsieur Napolitano in quel del 1978 (anno tristemente noto anche per ben altre implicazioni su cui magari un giorno "diversamente" riusciremo a riflettere...chissà?). Dell'esimio ed attuale presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, in quel frangente, tutto avremmo potuto dire tranne che fosse un fervente sostenitore del "Ce lo chiede l'Europa".
Eppure, oggi, eccoci qua con tutto il ns bagaglio  di "crisi" volute, esercitate e programmate.
Quel discorso verteva sull'opportunità o meno di una "certa" politica europea.
Sullo SME e sulle novelle politiche monetarie.
Su quello che di lì ed a poco più di due decenni di distanza sarebbe divenuto l'Euro.
Pertanto, sull'opportunità che l'Europa ce lo chiedesse oppure se ne fosse guardata dal farlo in modo così spudorato.
Sul tutto ed il contrario di tutto, alla luce degli odierni fatti che oggi miseramente Noi stessi saremmo portati a considerare.
Poiché... la malcelata, sincera, menzogna dovrebbe, di fronte all'evidenza della più probante concretezza e sensibilità oggettiva, cedere il passo...magari...(?!)... un giorno... alla lealtà di comportamento ed alla umana e sempre discreta valutazione, affinché si possa esser veramente in grado di esser degni, della propria come della vantata od altrui posizione!
Sempre nella speranza utopica che la "posizione" mai più possa farla il potere, il ruolo o l'opportunismo ma semplicemente la bontà d'animo!

Un saluto,
Elmoamf


E' iscritto a parlare l’onorevole Napolitano. Ne ha facoltà.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo tutti consapevoli, credo, del significato e della difficoltà di
questo dibattito. E in gioco una decisione importante, rispetto alla quale i pareri sono discordi, mentre vengono alla luce modi diversi di concepire lo sviluppo della Comunità europea e di intendere la presenza e il ruolo dell’Italia in seno alla Comunità. Ma, se C’è un paese in cui la discussione attorno a questi problemi, attorno ai problemi suscitati dalla proposta di accordo monetario europeo, avrebbe potuto svolgersi in termini del tutto obiettivi, senza essere alterata e deviata da contrapposizioni ideologiche e da manovre politiche, questo paese, onorevoli colleghi, è il nostro. In Italia, infatti,- tra i partiti democratici, tra le forze fondamentali della nostra società e nello spirito pubblico non circolano pregiudizi anti europeistici; non .operano né tradizioni di isolamento, più o meno splendido, dal resto dell’Europa, né presunzioni di grandezza nazionale. Le tendenze nazionalistiche, sfruttate ed esasperate dal fascismo, e quindi travolte nel suo disastro, non sono risorte, neppure come vaghe correnti di opinione, anche grazie alla linea cui si
sono ispirate tutte le forze democratiche italiane. 

Non è meno importante il fatto che, pur muovendo da posizioni diverse, tutte le forze politiche e sociali che si riconoscono nei valori della Costituzione, si siano via via riconosciute anche nei valori dell’europeismo democratico, liberati dalle distorsioni e dagli strumentalismi del periodo della guerra fredda; si siano riconosciute nel difficile sforzo di costruzione di un’Europa comunitaria realmente ancorata a principi di solidarietà, di progresso sociale, di cooperazione internazionale e di pace.

Che in questo sforzo si considerino pienamente impegnati tutta la sinistra e il movimento operaio - come dimostra la loro adesione senza riserve alla scelta dell’elezione diretta del Parlamento europeo - è un fatto che differenzia in non lieve misura la situazione italiana da quella inglese o francese. E un punto di forza per il nostro paese sul piano internazionale, un punto di forza che solo polemiche pretestuose ,ed irresponsabili possono oggi tendere ad oscurare.

Nello stesso tempo, non può non considerarsi una naturale manifestazione di vitalità democratica e di ricchezza politica e culturale la dialettica di posizioni come si esprime - nell'ambito di una comune scelta europeistica - tra diverse valutazioni dell’esperienza comunitaria e diverse concezioni dell’azione da condurre in seno alla Comunità. La discussione attorno al progetto di sistema monetario europeo avrebbe dunque, onorevoli colleghi, potuto svolgersi in Italia in termini del tutto obiettivi. E così è stato, nel complesso, sino ad alcune settimane fa: nonostante le disparità di opinioni, si è discusso a lungo, e a più riprese, nel Parlamento e sulla stampa, tra i rappresentanti dei partiti di maggioranza ed il Governo, tra gli specialisti di ogni tendenza, all'interno del mondo economico e sindacale, entrando nel merito dei problemi, nel concreto delle proposte avanzate e delle loro implicazioni, della trattativa in corso e d’ella linea da seguire in tale trattativa e dei risultati che via via si ottenevano.

Oggi, nella fase finale, sono affiorate e prevalse forzature di varia natura. Su di esse tornerò più avanti. Mi limito ora a rilevare che queste forzature sono venute da una parte sola, cioè da coloro che hanno premuto per l’ingresso immediato dell’Italia nel sistema monetario. Il Presidente del Consiglio ha dato atto, nel suo discorso di ieri mattina che né prima né dopo il vertice di Bruxelles sono state fatte verso il sistema monetario di cui stiamo discutendo eccezioni mosse da riserve europeiste o da contrarietà alla creazione di un sistema monetario come tale. Non si può, invece, negare che le pressioni in senso opposto le la scelta conclusiva siano state viziate da schemi o da calcoli che prescindevano da una valutazione obiettiva dei termini del problema.

Ma mi si permetta, onorevoli colleghi, signor Presidente, di ripartire dalla posizione assunta da noi comunisti di fronte al vertice di Brema, di fronte alle indicazioni scaturite nel luglio scorso da quella riunione dei capi di Governo della CEE. Guardammo allora con interesse ai propositi di rilancio del processo di integrazione e di maggiore solidarietà, per far fronte ad una crisi di portata mondiale, per accelerare do sviluppo delle economie europee, combattere la disoccupazione e, insieme, ridurre l’inflazione. Non negammo l’esigenza di realizzare, a questo fine, anche una maggiore stabilità nei cambi, e non esprimemmo alcuna pregiudiziale
negativa nei confronti dell’idea di un nuovo sistema monetario europeo. Ponemmo invece il problema della relazione tra uno sforzo inteso a conseguire una maggiore stabilità nei rapporti tra le monete e lo sforzo inteso ad avvicinare le situazioni e le politiche economiche e finanziarie dei paesi della Comunità in funzione di obiettivi chiari di crescita, di riequilibrio, di progresso sociale. Ponemmo in questo senso il problema delle condizioni in cui il nuovo sistema monetario europeo avrebbe potuto nascere come strumento valido e vitale, al quale l’Italia avrebbe potuto aderire fin dall'inizio.

E un fatto, signor Presidente del Consiglio, che quindi ci riconoscemmo nelle condizioni formulate dal Governo italiano e illustrate alla Camera dal ministro del tesoro nella seduta del 10 ottobre, e valutammo via via l’andamento del negoziato in rapporto a quelle condizioni. Su di esse sembrarono concordare tutti i partiti della maggioranza; ma, mentre alcuni hanno poi finito per discostarsene nei loro giudizi, è ancora ad esse che noi ci riferiamo nel valutare le conclusioni raggiunte a Bruxelles e la decisione a cui ieri è pervenuto il Presidente del Consiglio.

Consideriamo non seria - mi si consenta di dirlo - la tendenza a liquidare come problema tecnico irrilevante quello di una attenta verifica dei contenuti della risoluzione di Bruxelles del 5 dicembre per valutarne la rispondenza alle concrete esigenze poste da parte italiana. Quello delle garanzie da conseguire affinché il
nuovo sistema monetario possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all’interno della Comunità europea (e non sortire un effetto contrario), contribuire a una maggiore stabilità monetaria e ad un maggiore sviluppo su scala mondiale, è un rilevante problema politico.

Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu innanzitutto quella di dar vita a un sistema realistico e duraturo, in quanto (cito parole e concetti del ministro del tesoro e del governatore della Banca d’Italia): "Un suo insuccesso
comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale, sull'avvenire e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea e sulle condizioni dei singoli paesi". E come condizione perché il nuovo sistema risultasse realistico e duraturo si indicò uno sforzo volto a contemperare le esigenze di rigore che un sistema di cambi deve necessariamente avere con la realtà della Comunità, che presenta situazioni fortemente differenziate; e in modo particolare si sollecitò una flessibilità del sistema tale da "accompagnare senza sussulti il cammino del rientro dell’Italia verso condizioni economiche generali e, più in particolare, verso condizioni di inflazione prossime a quelle dei paesi più forti" Gli interessi della costruzione comunitaria e gli interessi dell’Italia si sono cioè presentati come strettamente intrecciati tra loro. Ma, ciononostante, le condizioni poste da parte italiana sono state in notevole misura disattese, e i rischi paventati e indicati dai nostri negoziatori e da tanti osservatori obiettivi, da tanti studiosi ed esperti, rimangono sostanzialmente in piedi.

Ella, onorevole Andreotti, ha dato invece nel suo discorso di ieri un apprezzamento largamente positivo dei risultati ottenuti, e non ha parlato più dei rischi. Ma l’apprezzamento positivo, punto per punto, strideva, me lo consenta, con il suo stesso giudizio complessivo, secondo cui la riunione di Bruxelles ha solo in parte soddisfatto le aspettative, dando l’impressione che si dimensionassero sia la suggestiva cornice di Brema, sia taluni propositi di concreta solidarietà che erano apparsi realistici nella fase preparatoria.

Inoltre, mentre su alcuni punti è apparsa corretta la valorizzazione, che noi non contestiamo, dei risultati conseguiti (la possibilità per la lira di oscillare nella misura del 6 per cento anziché del 2,25 per cento; le disponibilità di quello che poi diventerà il Fondo monetario europeo; alcuni aspetti del funzionamento dei meccanismi di credito), nella sua esposizione, onorevole Andreotti, non sono stati però presentati nella loro effettiva e cruda realtà i punti più negativi delle conclusioni di Bruxelles. Così, per quel che riguarda gli accordi di cambio in senso stretto, si è teso quasi a far credere che si sia ottenuta una equilibrata distribuzione degli oneri di aggiustamento o, come si dice, una simmetria degli obblighi di intervento,
tra paesi a moneta forte e paesi a moneta debole, in caso di allontanamento dai tassi di cambio iniziali e di avvicinamento al margine estremo di oscillazione consentito. Ma l’ulteriore alterazione nell’ultimo vertice di Bruxelles nella formula relativa a questo aspetto essenziale dell’accordo di cambio, quella sostituzione - che può apparire innocuamente bizantina - dell'avverbio "eccezionalmente" con l’espressione "in presenza di circostanze speciali", è stata solo la conferma di una sostanziale resistenza dei paesi a moneta più forte,
della Repubblica federale di Germania, e in modo particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi ed a sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle monete e delle economie di paesi della Comunità. E' così venuto alla luce un equivoco di fondo, di cui le enunciazioni del consiglio di Brema sembravano promettere lo scioglimento in senso positivo e di cui, invece, l’accordo di Bruxelles ha ribadito la gravità: se cioè il nuovo sistema monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, delle economie europee e dell’economia mondiale, o debba servire a garantire il paese a moneta più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania federale e spingendosi un paese come l’Italia alla deflazione.

E ben strano, mi si consenta, che di questo rischio, così presente nelle dichiarazioni del rappresentante del Governo il 10 ottobre alla Camera e il 26 ottobre al Senato, non si parli più nel momento in cui si propone l’adesione immediata, alle attuali condizioni, dell’Italia al sistema monetario europeo.

Non voglio ripetere le considerazioni già svolte puntualmente dal collega Spaventa sui motivi che giustificano e impongono un particolare sforzo del nostro paese per conseguire un più alto tasso di crescita, e sul rischio che invece i vincoli del sistema monetario, quale è stato congegnato, producano effetti opposti. Ma desidero
sottolineare che nulla ci è stato detto per confutare analisi come quella citata dal collega Spaventa secondo cui, di fronte ad una tendenza alla rapida svalutazione della lira rispetto al marco, che discende dallo scarto attualmente così forte tra tasso di inflazione italiano e tedesco, le regole dello SME ci possano portare ad
intaccare le nostre riserve e a perdere di competitività, ovvero a richiedere di frequente una modifica del cambio, una svalutazione ufficiale e brusca della lira fino a trovarci nella necessità di adottare drastiche
politiche restrittive.

Il rischio è comunque quello di dissipare i risultati conseguiti negli ultimi due anni in materia di attivo della bilancia dei pagamenti e delle riserve, quei risultati di cui anche il cancelliere Schmidt, con un giudizio politicamente significativo, ha nei giorni scorsi messo in luce il valore. Il rischio è quello di veder ristagnare la produzione, gli investimenti e l’occupazione invece di conseguire un più alto tasso di crescita; di vedere allontanarsi, invece di avvicinarsi, la soluzione dei problemi del Mezzogiorno.

Questi rischi erano tanto presenti al Governo e ai suoi rappresentanti nel negoziato per il sistema monetario che essi non solo avevano richiesto garanzie - in materia di accordi di cambio - ben più consistenti di quelle che si sono ottenute, ma avevano posto, come una delle condizioni non scambiabili con altre, quella del trasferimento di risorse e dalla revisione delle politiche comunitarie in funzione dello sviluppo delle economie meno prospere. Si disse che andava così compensata la più rigida disciplina economica, comunque implicita nel sistema monetario, e che occorreva procedere simultaneamente nelle diverse direzioni.

Mi pare che si tentasse di evitare che quella che il Presidente dal Consiglio ha ieri definito "la suggestiva cornice di Brema", restasse solo una cornice e per di più ridimensionata. Da questo punto di vista, le cose sono andate purtroppo nel modo più deludente - non è giusto nascondercelo - per i limiti posti sia all'ammontare dei nuovi prestiti disponibili per l’Italia e l’Irlanda, sia alla misura (non più del 3 per cento) degli abbuoni di interesse, sia all'utilizzazione dei prestiti stessi, con l’esclusione di qualsiasi progetto per lo sviluppo industriale (per quel ci riguarda nel Mezzogiorno) e addirittura di qualsiasi progetto che alteri i termini della "competitività di particolari industrie all'interno degli Stati membri".

Il problema non era per altro solo questo, ma quello del concreto avvio alla revisione e allo sviluppo di determinate politiche comunitarie; anche se ovviamente nessuno si illudeva che tale revisione potesse essere conclusa entro il 4 o il 5 dicembre. Ma contano, a questo proposito, i segni negativi che si sono avuti.

Il primo vi è stato con il rifiuto francese di aumento del fondo regionale; rifiuto che significa molte cose: negazione dell’autorità del Parlamento europeo; negazione, al limite, della necessità di una politica di riequilibrio nell'ambito della comunità, di cui il mezzogiorno d’Italia sia tra i principali beneficiari; tendenza, comunque, della Francia a sottrarsi ad un maggior impegno in questo senso.

L’altro segno negativo è costituito dal fatto che a Brema non si sia riusciti ad avviare seriamente alcun processo di revisione della politica agricola comunitaria; che non si sia preso in esame neppure il memorandum a questo scopo predisposto e preannunciato dal presidente della Commissione Jenkins. Non si sono nemmeno avuti chiarimenti esaurienti rispetto alle preoccupazioni esposte di recente nella Commissione agricoltura del Senato da esponenti di diversi gruppi, del partito repubblicano, della democrazia cristiana, e dallo stesso ministro dell’agricoltura, per quel che riguarda le ripercussioni di un’entrata immediata dell’Italia nello SME sul sistema dei prezzi agricoli, mentre non si sono definiti finora i correttivi di cui a questo proposito si è parlato, e le ipotesi pure ventilate di svalutazione della "lira verde" sollevano intanto seri interrogativi sugli effetti inflazionistici che ne potrebbero derivare.

Il tema della politica agricola comunitaria, onorevoli colleghi, è un tema centrale; e quando si compie il bilancio di questa politica, come di tutta l’esperienza comunitaria, non si deve indulgere a semplificazioni retoriche di stampo idilliaco. Non si può parlare di politica agricola comunitaria solo per ricordarne il fine
dichiarato di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali, e tacere sulle gravissime distorsioni che essa ha prodotto a beneficio dei paesi più ricchi a svantaggio di paesi come l’Italia, alla quale - se si calcola la differenza tra i prezzi dei prodotti CEE importati dall’Italia e quelli vigenti sul mercato internazionale - è stata addossata una tassa che da qualcuno viene calcolata (si tratta di calcoli probabilmente discutibili, ma non possediamo stime ufficiali) in 2 mila miliardi di lire.

Tornado, Signor Presidente, alle conclusioni raggiunte a Bruxelles, non c‘è dubbio che esse autorizzassero largamente la decisione, presa il 5 dicembre dal Presidente del Consiglio, non di aderire entro otto giorni, ma di riservarsi ancora sostanzialmente la scelta dell’adesione immediata e a tutti gli effetti oppure no.

E le valutazioni espresse nel mlerito dei risultati ottenuti dal ministro degli esteri e dal ministro del commercio con l’estero pubblicamente, dal ministro del tesoro in Parlamento, ed in sede tecnica dalla autorità monetaria (senza che questa per altro travalicasse i limiti della propria competenza ed invadesse il campo della autorità politica, senza che si prestasse a strumentalizzazioni né in un senso né nell'altro), queste valutazioni sono a noi apparse tali da giustificare pienamente una scelta che si limitasse ad una dichiarazione di principio favorevole e alla partecipazione a talune delle operazioni previste dalla risoluzione di Bruxelles, e che escludesse l’accettazione dal 1° gennaio dei vincoli di cambio, del meccanismo del tasso di cambio, tanto più in presenza di una analoga decisione della Gran Bretagna, con tutto ciò che questa decisione comportava e comporta. Una scelta che infine esprimesse un impegno positivo e incisivo dell’Italia per l’ulteriore confronto su tutti gli aspetti del nuovo sistema monetario e della politica complessiva di sviluppo della Comunità.

Perché non si è seguita questa strada ? Perché non si sono raccolte le preoccupazioni e gli avvisi di prudenza che venivano da diversi settori della maggioranza e dall'interno dello stesso Governo ?

Queste preoccupazioni nascevano anche dall'esigenza finora non soddisfatta di collocare la creazione di un’area di stabilità monetaria in Europa nel più vasto quadro - ne ha parlato il collega Spaventa - di una ridefinizione dei rapporti con l’area del dollaro e di uno sforzo per giungere ad un nuovo ordine monetario
internazionale e per contribuire ad una accelerazione, non ad un rallentamento, dello sviluppo economico mondiale.

Perché non si sono ascoltate abbastanza nei giorni scorsi queste voci e si è giunti ad una decisione precipitata ed arrischiata ? Onorevoli colleghi, su questo punto noi non possiamo ritenere che si sia fatta sufficiente chiarezza finora e ci si permetterà di contribuire alla ricerca di risposte soddisfacenti.

Parto dalle sollecitazioni e motivazioni davvero più nobili, quelle dei più ardenti fautori dell’unità europea, tra i quali il collega ed amico Altiero Spinelli. Questi amici si sono preoccupati di non contribuire, con una decisione di non ingresso immediato dell’Italia nello SME, a un parziale insuccesso di quello che appare il primo rilevante tentativo di rilancio del processo di integrazione europea dopo anni ed anni di involuzione e di crisi. Ma quello che non ci ha persuaso in tale motivazione è la tendenza ad attribuire ad un tentativo del genere, così come è concepito e congegnato, la virtù di mettere in moto una reale ripresa su basi nuove e solide dell’integrazione europea.

No, onorevoli colleghi, noi siamo dinanzi, ad una risoluzione, quella di Bruxelles, che assume i limiti ristretti della creazione di un meccanismo del tasso di cambio, le cui caratteristiche rischiano per di più di creare gravi problemi ai paesi più deboli che entrino a farne parte. Naturalmente non sottovalutiamo la
importanza degli sforzi rivolti a creare un’area di stabilità monetaria. Ma se è vero che le frequenti fluttuazioni dei cambi costituiscono una causa di instabilità e un fattore negativo per lo sviluppo del commercio intracomunitario (la crisi di questo commercio non può per altro essere ricondotta soltanto alle fluttuazioni
nei cambi), è vero anche che esse sono il riflesso di squilibri profondi all'interno dei singoli paesi, all'interno della Comunità europea e nelle relazioni economiche internazionali.

La verità è che forse - come si è scritto fuori d’Italia - si è finito per mettere il "carro" di un accordo monetario davanti ai "buoi" di un accordo per le economie. Ed è invece proprio su questo terreno, oltre che su quello della revisione del meccanismo dei cambi in quanto tale, che occorreva continuare a premere, a discutere, a negoziare. Ma - ci si chiede - come: stando dentro o stando fuori ?

Francamente di fronte ad una domanda di questo genere noi sentiamo il bisogno di osservare - e mi scuso per l’ovvietà - che il 5 dicembre non si è creata a Bruxelles una nuova Comunità europea al posto della
vecchia. Noi continuiamo, evidentemente, qualunque sia la decisione relativa allo SME, a stare dentro tutte le istituzioni e le sedi di confronto comunitarie; possiamo anche partecipare, pur non aderendo nell'immediato al sistema monetario, a consultazioni specificamente previste dalla risoluzione di Bruxelles in materia di politiche
monetarie. Il documento approvato il 5 dicembre - e questo è un suo aspetto indubbiamente positivo - non scava alcun solco fra chi aderisce subito e chi si riserva di aderire successivamente; né credo che il nostro ingresso immediato avrebbe avuto un effetto traumatico, quasi che dipendesse da ciò che lo SME nascesse, come ha detto ieri l’onorevole Andreotti, a sei invece che ad otto e mezzo (tanto per restare nel gergo monetario, non riesco a capire quale unità di conto abbia adoperato l’onorevole Andreotti per attribuire un peso del due e mezzo all'ingresso immediato dell’Italia nel sistema monetario).

E nostra convinzione che avremmo potuto esercitare una maggiore forza contrattuale mantenendo la nostra riserva, la nostra posizione di non ingresso immediato.

Onorevoli colleghi, in quest’aula si è parlato (vi si è riferito poco fa anche il collega Cicchitto) delle sollecitazioni e delle assicurazioni pervenuteci negli ultimi giorni da governi amici; sembra anche che esse abbiano avuto un notevole peso nella scelta finale del Governo. Per la verità voglio ricordare che anche qualche altra volta abbiamo ricevuto telegrammi. Ricevemmo - non è vero, ministro Marcora ? - un telegramma pieno di assicurazioni dal cancelliere Schmidt anche nel maggio scorso, per invitarci a sciogliere la riserva sul negoziato per i prezzi agricoli e sul "pacchetto" mediterraneo. Quale seguito hanno avuto quelle assicurazioni telegrafiche ?

Anche in questa occasione più dei messaggi a fuochi spenti sarebbe valso l’accoglimento concreto di determinate istanze e proposte.

Queste sollecitazioni, comunque, confermano l’esistenza di un reale e forte interesse degli altri paesi membri della Comunità ad avere l’Italia al più presto presente nel sistema monetario. Si sarebbe, dunque, potuto far leva su questo interesse, non dando la adesione immediata allo SME, per portare avanti un serio negoziato, utilizzando le stesse scadenze previste dalla risoluzione di Bruxelles, in particolare la scadenza della revisione di determinate misure dopo sei mesi, nonché altre occasioni e scadenze, soprattutto quella della annuale trattativa di marzo sui prezzi agricoli, che va trasformata in un ben più ampio ed impegnativo negoziato sulla politica agricola nel suo complesso, partendo da proposte già elaborate in Italia dai partiti, dal Parlamento e dal Governo, per le modifiche da realizzare sia nell'immediato , sia nel medio periodo.

Si tratta, in definitiva, di muoversi in modo conseguente per una trasformazione della Comunità - a cui ci auguriamo possa contribuire anche quell'importante, primo elemento di democratizzazione che è costituito dall'elezione diretta del Parlamento europeo - che punti all'affermarsi di un nuovo modo di guardare allo sviluppo dell’economia europea, non concependo più - siamo d’accordo su questo punto fondamentale con il collega Spinelli - questo sviluppo come consolidamento delle economie più forti e come ulteriore elevamento del livello di benessere nei paesi più ricchi, ma come impegno di espansione verso le regioni più arretrate della stessa Comunità e verso i paesi di quello che veniva definito terzo mondo.

Ma se ci si vuole, onorevoli colleghi, confrontare con questi che sono i problemi di fondo, i problemi delle politiche economiche, del ritmo e della qualità dello sviluppo, bisogna sbarazzarsi di ogni residuo di europeismo retorico e di maniera, dando ben altra organicità, .forza e coerenza alla presenza dell’Italia nella Comunità.

Sappiamo che passa qui una linea discriminante fra diversi modi di concepire e di praticare l'impegno europeista, ma sappiamo anche che su questo punto esistono posizioni convergenti fra diversi partiti; in primo luogo, come hanno dimostrato le vicende di queste settimane e questo dibattito, tra il partito comunista ed il partito socialista, ma non salo tra essi. Nella nostra visione - desidero ribadirlo - tutela degli interessi nazionali e impegno per il rilancio dell'integrazione europea fanno tutt’uno. Nessuno di noi ha commentato il vertice di Bruxelles ponendo i problemi come li ha posti il primo ministro Callaghan ai Comuni, senza essere
per questo accusato di gollismo. "La semplice verità" - ha dichilarato Calllaghan - "è che noi a Bruxelles abbiamo valutato i nostri interessi nazionali esattamente come altri paesi hanno valutato i loro".

Noi non poniamo i problemi in questi termini, proprio perché siamo convinti che l’interesse ,del nostro paese, e specificamente l’interesse del nostro Mezzogiorno, coincida con la causa di uno sviluppo della Comunità su basi di maggior coordinamento e integrazione ddle politiche economiche e in direzione delle regioni più arretrate. Ma quella che non possiamo accettare è una posizione di rinuncia a battersi per la trasformazione della Comunità e dei suoi indirizzi, di sfiducia radicale nel ruolo del nostro paese e di utilizzazione strumentale dei nostri impegni comunitari a fini interni, quali che siano.

Da parte di alcuni esponenti del partito repubblicano si è giunti a sostenere che "l’Italia non dovesse scegliere in questi giorni se appartenere o meno ad un meccanismo valutario o ad un’area di stabilità dei cambi, ma se recidere" - dico recidere - "o meno i suoi legami con i paesi dell’Europa occidentale, sul terreno economico e sul terreno politico".