E' con enorme piacere che presento qui il seguente articolo, redatto da persona che ho imparato ad apprezzare...leggendo quante seriamente aveva da dire.
Soprattutto in materia economica...ma non solo!
Di conseguenza, avendone ricevuto o almeno credo...l'assenso, procederò alla pubblicazione di uno scritto che, personalmente, merita ogni minima ed accorta attenzione.
Ne vale del ns modo d'intendere l'economia come quello d'intendere la vita e le relazioni sociali, interpersonali.
Non può esservi futuro se il ns futuro è concepito come solitudine, isolamento od emarginazione... a qualsiasi livello queste ultime possano intendersi!
Un saluto,
Elmoamf
P.S.: l'articolo è corredato dai relativi commenti, anche personalmente inseriti, questo per rendere anche più chiaro il pensiero dell'autore e di tutti i partecipanti alla lettura nonché analisi dei concetti!
Ecco a Voi di seguito quanto in oggetto richiamato:
MERCOLEDÌ 10 OTTOBRE 2012
LA BANCA CENTRALE PUBBLICA DELL’ARGENTINA E’ UN FARO PER LA DEMOCRAZIA NEL MONDO
Quando l’equipaggio di una nave si trova in mare aperto, nel mezzo di una tempesta, e di una Tempesta Perfettaper giunta, l’unica cosa che vorrebbe disperatamente scorgere all’orizzonte è la luce di un faro. La salvezza, la terraferma. In Argentina, all’estremità sud del paese, poco più a est della Terra del Fuoco, si trova una piccola isola, quasi uno scoglio in verità, dove c’è un antico faro dal nome evocativo: il Faro della Fine del Mondo. Poco più in là c’è l’Antartide, con le sue immense distese di ghiaccio, voltandosi indietro si intravedono invece le sconfinate e rigogliose praterie argentine. E in mezzo il Faro. Un luogo magnifico ai confini del mondo, che non a caso lo scrittore francese di romanzi d’avventura Jules Verne, l’autore di “Ventimila leghe sotto i mari”, ha utilizzato per ambientare uno dei suoi libri meno conosciuti: “Il faro in capo al mondo”. In effetti a partire dal 1991, il faro argentino ha perso il primato di essere quello più a sud del mondo, perché né è stato costruito uno a Capo Horn in Cile, ma rimane sicuramente il monumento più antico e famoso, che oggi più che mai rappresenta un vero spartiacque simbolico di civiltà. Una speranza per tutti i naviganti che transitano da quelle parti e sono sommersi e travolti dalle onde della Tempesta Perfetta globale, senza sapere ancora come venirne fuori e quali strumenti utilizzare per domarla.
In perfetta analogia, l’Argentina guidata dalla presidentessa Cristina Kirchner, così come il Venezuela di Chavez, l’Ecuador di Correa, la Bolivia di Evo Morales, è diventato un faro, una speranza per quei popoli del mondo, dall’Europa alla Cina passando per gli Stati Uniti, che oggi aspirano a ripristinare un regime democratico al servizio dei cittadini e dei diritti umani, dopo essere stati soppressi e repressi dall’occupazione quasi militare dei tecnocrati, dei faccendieri, dei politicanti, degli elefantiaci apparati dirigisti che lavorano alacremente soltanto per tutelare gli interessi delle lobbies finanziarie, dei comitati d’affari, delle corporazioni multinazionali. Un abisso di distanza in termini di cammino evolutivo della civiltà, che è ancora più accentuato dal fatto che la censura della propaganda di regime dilagante in Europa impedisce a noi cittadini di sapere cosa stia accadendo esattamente in Sudamerica, visto che gli organi di informazione su ordine preciso dei loro potenti committenti hanno completamente tagliato fuori dai circuiti della stampa e della televisione le notizie provenienti da quei paesi. Senza andare troppo per il sottile, il continente sudamericano è stato letteralmente cancellato dalle carte geografiche del mondo, perché i cittadini lobotomizzati e teleguidati d’Europa e degli Stati Uniti non devono sapere nulla dei cambiamenti che stanno avvenendo laggiù. I drastici mutamenti di paradigma rispetto al dogmatismo medievale dell’Occidente, con il loro cattivo esempio, potrebbero infatti spezzare di colpo la catena psicologica su cui si fonda gran parte dell’egemonia totalitarista che ci governa: TINA, There Is No Alternative, non c’è nessuna alternativa alla tecnocrazia neoliberista, si fa come dicono loro e basta. E invece, al pari di ogni altra questione che coinvolge la vita umana, l’alternativa c’è, eccome se c’è. E si chiama Argentina.
La storia della crisi e successiva rinascita dell’Argentina è abbastanza nota e per certi versi, soprattutto nelle caratteristiche della fase di declino, molto simile a ciò che sta accedendo oggi nell’eurozona. Con il pretesto di creare maggiore stabilità nei rapporti commerciali con l’estero e in particolare con gli Stati Uniti, nel 1991 il governo Menem decide di ancorare il cambio del peso al dollaro, con una scellerata parità fissa di 1:1 che ovviamente apprezzava troppo la moneta argentina rispetto alla valuta statunitense. Il risultato è stato che per un certo periodo di tempo per gli argentini è stato molto conveniente importare prodotti dall’estero prezzati in dollari e questo eccessivo ricorso alle importazioni ha creato un deficit permanente nella bilancia commerciale, che è stato inizialmente compensato dal notevole afflusso di capitali e investimenti esteri. Sull’onda di questa maggiore fiducia e apertura del governo alle imprese straniere, le multinazionali americane ed europee strapparono facilmente diverse concessioni per gestire i servizi essenziali un tempo pubblici, dagli acquedotti all’energia, dall’industria estrattiva e mineraria alle telecomunicazioni, esportando i profitti in patria, lontano dall’Argentina, e ponendo le basi per un maggiore indebitamento estero del paese. Sia i titoli finanziari privati che quelli pubblici argentini, i famigerati Tango Bonds, venivano piazzati in tutto il mondo assicurando alti rendimenti agli investitori e fornendo un’illusoria parvenza di stabilità economica del paese. Si trattava però di un equilibrio molto precario e sono bastati gli effetti di contagio della crisi delle borse asiatiche del 1997 per mettere in ginocchio il paese e svelare al mondo la reale insostenibilità del suo straordinario sviluppo economico.
I capitali esteri sui quali si fondava il sostanziale equilibrio contabile della bilancia dei pagamenti cominciano afuggire dal paese, gli investitori più accorti vendono in fretta i titoli argentini per limitare le perdite e il governo si vede costretto a bruciare notevoli quantità di riserve di moneta estera per mettere in condizione i debitori di rimborsare i debiti contratti, ad imporre riforme di austerità per rastrellare liquidità dal basso e ad aumentare itassi di interesse a livelli non più credibili, per favorire l’arrivo di nuovi capitali dall’estero. Questo circolo viziosodura fino a dicembre del 2001 quando, sulla spinta delle proteste popolari, il governo decide di dichiararedefault sul debito estero denominato in dollari, che ammontava a circa $95 miliardi, e i suoi maggiori rappresentanti sono costretti a scappare in elicottero dal paese per evitare il linciaggio.
Da quel momento in poi si apre una pagina del tutto nuova nella storia dell’Argentina. Nel maggio 2003, dopo la parentesi della presidenza di Eduardo Duhalde durata due anni, viene eletto a capo del paese Nestor Kirchner, che comincia fin da subito un lungo braccio di ferro con il Fondo Monetario Internazionale per rinegoziare lecondizioni di rimborso del debito: l’Argentina vuole ripagare i debiti ma secondo le sue modalità e i suoi tempi e non accettando passivamente le severe scadenze imposte dai creditori. In secondo luogo, con un piano progressivo di ristrutturazione il governo argentino si riappropria della gestione dei servizi pubblici essenziali, estromettendo le multinazionali, per consentire innanzitutto un maggior controllo sui prezzi di erogazione, e questo atteggiamento contrario agli interessi privati dei grandi colossi internazionali inasprisce i rapporti con il FMI, che delle loro logiche predatorie e parassitarie è il tutore a livello globale. A peggiorare ancora di più la situazione, Kirchner avvia politiche sociali per ridurre la povertà e la disoccupazione, cosa anche questa che fa infuriare il FMI, che proprio sulle ampie sacche di povertà e disoccupazione prodotte dalle sue stesse ricette di austerità crea i presupposti per fornire manovalanza a buon mercato per le multinazionali.
Mentre continua senza sosta il duello frontale a distanza fra governo argentino e FMI, la rapida svalutazione delpeso rispetto al dollaro seguita al default, che si aggira intorno al 200% con un rapporto di cambio ora più realistico e aderente alle esigenze dell’economia argentina di circa 3 pesos per un dollaro, fornisce intanto undoppio beneficio per la bilancia commerciale del paese: da un lato favorisce le esportazioni e dall’altro rende più costose le importazioni, a tutto vantaggio delle produzioni locali. Lentamente l’Argentina riesce a rimettere ordine nei suoi conti disastrati, anche se bisogna subito sottolineare, come già evidenziato in uno splendido articolo pubblicato sul blog Voci dall’Estero, che non è affatto basata sulle esportazioni la grande ripresa economica dell’Argentina, la quale dura inarrestabilmente dal 2° trimestre del 2002 fino ad oggi. Durante ilperiodo che va dal 2002 al 2011, lo stesso FMI certifica una crescita cumulata del PIL argentino del 94%, che equivale esattamente ad una straordinaria media annua del 9,4% (al pari se non più della stessa Cina), mentre il contributo delle esportazioni sul PIL cumulato nella fase più forte di espansione (2002-2008) si limita ad un modesto 7,6%, cioè solo il 12% del totale. Troppo poco per essere un fattore realmente decisivo e determinante. Se esaminiamo il grafico sotto possiamo in effetti notare che le esportazioni sono cresciute in valore, ma in relazione al ritmo travolgente di aumento del PIL l’apporto dell’export è diventato sempre più marginale e decrescente e se consideriamo infine il saldo netto fra export ed import avremo addirittura un risultato negativo (importazioni di poco superiori alle esportazioni).
Ciò significa che la violenta accelerazione del PIL argentino è dovuta evidentemente ad altri fattori e in particolar modo proprio ai due elementi che vengono sempre ignorati nei programmi di “austerità espansiva” (un imbarazzante e assurdo ossimoro che circola impunemente nei messaggi rassicuranti della propaganda asservita, perché come stiamo sperimentando sulla nostra pelle, nel mondo reale non ci può essere mai crescita economica quando si tagliano le spese e si aumentano le tasse) promossi in Europa, negli Stati Uniti e nel mondo dalle orde oscurantiste e dogmatiche di neoliberisti al governo: l’aumento dei consumi e degli investimenti interni (rispettivamente il 45,4% e il 26,4% del totale). Entrambi questi obiettivi sono i più abbordabili da raggiungere per un governo che ha piena disponibilità della sua moneta e di tutte le leve di politica economica, a dimostrazione ancora del fatto che per avvicinare traguardi importanti e ambiziosi spesso bisogna seguire le vie più semplici e dirette, senza complicarsi la vita con gli inutili e pretestuosi tecnicismi inventati di sana piana per confondere le acque e i malsani suggerimenti di cattedratici ampollosi, arroganti, autoreferenziali, corrotti e distanti anni luce dalla realtà della vita quotidiana e dalle esigenze materiali di milioni di individui. Se vuoi aumentare i livelli di spesa, la crescita economica di un paese, devi mettere in condizione cittadini e aziende di spendere e di investire. Chi non capisce questo semplice concetto o è stupido o è stato pagato a sufficienza per far finta di essere stupido.
Ma come si è potuta ottenere in Argentina un’esplosione così travolgente e rapida di tali fattori? Semplice, lo Stato argentino, sotto la guida di Nestor Kirchner prima e della moglie Cristina Fernandez a partire dal 2006, ha ricominciato ad attuare normalissime politiche economiche attive a sostegno della popolazione senza trincerarsi più dietro il vile arretramento imposto dalle cure indigeste del FMI e soci. Un esempio evidente è il programma di inserimento “Jefes de Hogar” (Capi Famiglia), tramite il quale sono stati messi a lavorare nel settore pubblico, in impieghi socialmente utili e spesso part-time, ben 2 milioni di disoccupati in un solo anno(il 13% della forza lavoro attiva), che dall’assenza di mezzi monetari hanno adesso un salario minimo garantito con cui potere soddisfare i bisogni primari del proprio nucleo familiare e programmare gli investimenti futuri. Il governo argentino ha poi direttamente organizzato progetti a livello federale, statale e locale e tra questi: grandi investimenti infrastrutturali e iniziative di riciclaggio, progetti di irrigazione e rinnovamento del suolo, assistenza sanitaria e centri diurni, pasti e rifugi per i senzatetto, biblioteche pubbliche e programmi ricreativi, agricoltura di sussistenza e programmi di assistenza agli anziani, centri contro la violenza in famiglia, e molte altre attività sociali. I posti di lavoro così creati nel settore pubblico non solo hanno prodotto reddito, occupazione, rilancio dei consumi e dell'attività produttiva, ma anche qualificazione, istruzione e formazione per tutti i partecipanti, credenziali queste che possono essere rivendute in futuro anche nel settore privato.
Ma come ha potuto il governo argentino finanziare tutte queste attività? Anche in questo caso la risposta è abbastanza semplice: la banca centrale, il Banco Central de la Republica Argentina, ha rinunciato al dogma inutile e controproducente dell’autonomia e indipendenza e si è messa al servizio del governo argentino, finanziando la sua spesa pubblica tramite emissioni di nuova base monetaria (riserve bancarie elettroniche, banconote, monete metalliche). Analizzando i contributi netti al PIL cumulato nel periodo 2002-2011, avremo così che la spesa pubblica si aggira intorno alla considerevole quota del 35%: una cifra importante ma in verità molto inferiore rispetto per esempio alla spesa pubblica annuale in Italia, che supera spesso il 50% del PIL complessivo della nazione. Tuttavia, essendo stata convogliata verso finalità utili e redditizie e avendo messo soprattutto nuovi mezzi monetari nelle mani di chi per ovvi motivi ha più tendenza a spendere e consumare rispetto alla sterile tesaurizzazione precauzionale dei risparmi, la spesa pubblica argentina ha subito prodotto effetti positivi di espansione economica a tutti i livelli.
Da notare anche che l’Argentina non si è volontariamente ingabbiata in frustranti vincoli di pareggio di bilancio, potendo quindi modulare il regime di tassazione progressiva e indiretta in base a quelle che sono le reali esigenze di contenimento dell’inflazione e mantenimento nel tempo del potere di acquisto del peso. In Italia invece non solo la spesa pubblica è sproporzionata e spesso inefficiente, ma i cittadini e le aziende sono pure gravati da un prelievo fiscale tra i più alti del mondo, che annulla sul nascere qualsiasi tentativo di mettere in atto politiche espansive. Mentre in Argentina si creano soldi dal nulla e questi soldi vengono spesi nell'economia reale, in Italia si prendono in prestito soldi dai mercati finanziari da spendere spesso in modo dissennato e a vantaggio di una ristretta casta di privilegiati e questi soldi più gli interessi devono essere poi prelevati dalle tasche dei comuni cittadini, dei lavoratori e delle aziende, con tutte le nefaste e inesorabili conseguenze che ciò comporta in termini di riduzione dei consumi e degli investimenti. Preso atto di queste circostanze più politiche che strettamente tecniche e della scelta suicida di sottostare ai mercati finanziari, non esiste allora alcun motivo per stupirsi o meravigliarsi se in Argentina l’economia continua a crescere mentre in Italia siamo in profonda recessione. E così strano che scelte tanto distanti fatte a monte dai rispettivi governi si riflettano poi a valle in effetti altrettanto divergenti e contrastanti? Non dovrebbe essere la semplice matematica a suggerirci che sarebbe andata a finire così?
Fra l’altro il sostegno della banca centrale argentina non si limita soltanto al finanziamento dei piani di spesa pubblica del governo, ma anche ai programmi di ristrutturazione dell’intero sistema economico nazionale, avendo l’istituto appoggiato le iniziative di nazionalizzazione del settore pensionistico (niente di eccessivamente anormale o sconvolgente perché anche in Italia o in Germania gli enti di previdenza, l’INPS e il Deutsche Rentenversicherung, sono pubblici e nessuno hai mai gridato allo scandalo, accusandoci di statalismo) e delle maggiori imprese di estrazione petrolifera, come nel caso della YPF che prima era in mano alla spagnola Repsol. Queste operazioni del governo argentino sono state necessarie non solo per garantire ai cittadini l’erogazione dei servizi essenziali e la proprietà pubblica delle risorse strategiche, ma anche e soprattutto per difendersi dall’ostilità dei mercati finanziari e dal mancato afflusso di capitali esteri: se i profitti delle multinazionali straniere della finanza e del petrolio se ne vanno all’estero e contemporaneamente nessuno porta nuovi capitali, è chiaro che in assenza di queste drastiche scelte di riappropriazione a tappe forzate delle primarie risorse finanziarie e naturali, l’Argentina sarebbe stata stretta in breve tempo in una nuova morsa dell’indebitamento estero. A parte che bisogna ancora capire cosa ci sia di tanto immorale e sacrilego (agli occhi dei funzionari del FMI e degli squali di Wall Street naturalmente, non dei nostri) nel garantire ai cittadini di uno stato democratico e civile la continuità di erogazione della pensione, dell’elettricità, del gas, del carburante, visto che le privatizzazioni hanno storicamente arrecato più abusi, inefficienze e rendite di posizione, che reali vantaggi per i consumatori. E poi, non è umanamente più giusto e razionale che i profitti ricavati dalle risorse naturali di un territorio vengano redistribuiti tra i cittadini di quel paese, invece di arricchire i forzieri di pochi soggetti privati e persino stranieri?
Domande davvero ingombranti e improrogabili, a cui l’Argentina ha già risposto con fermezza, mentre i nostri governanti farlocchi e mercenari si ostinano ad abbozzare risposte approssimative e balbettanti, non più accettabili come chiusura definitiva e conclusiva del discorso. Si tratta dunque di quel radicale cambio storico di paradigma di cui abbiamo accennato all’inizio, che l’Argentina sta perseguendo con coraggio e determinazione e ha già messo in crisi parecchie volte le vecchie e sclerotizzate plutocrazie occidentali, che ancora hanno in patria la necessaria forza politica e finanziaria per tenere sotto scacco interi governi, sindacati, mezzi di informazione, opinione pubblica. Ma probabilmente il ribaltamento più interessante e rivoluzionario riguarda appunto lo stesso ruolo della banca centrale, che in Occidente riveste obblighi di tutela degli interessi privati e di stabilità dei prezzi, mentre in Argentina ha più decisamente intrapreso la strada della lotta alla disoccupazione e alla povertà, del sostegno all’economia reale, della stabilità finanziaria nel suo complesso, di cui il contenimento dell’inflazione rappresenta solo un tassello importante ma non prioritario. E i risultati raggiunti sembrano fino ad oggi premiare tutte le scelte fatte dalla banca centrale argentina perché la disoccupazione è scesa dal devastante 54% del 2001 all’8,3% (meno di Italia e Stati Uniti, e nulla in confronto ai livelli occupazionali e ai disagi sociali di Spagna e Grecia), il salario minimo garantito è cresciuto di ben otto volte, il PIL è in continua ascesa, il debito pubblico è diminuito dal 166% al 48%, gli interessi sul debito sono passati dal 21,9% al 6% del bilancio, il tasso di povertà è crollato dal 45% al 14%, con la povertà estrema ben inferiore al 7% (vedi grafico sotto). Dati entusiasmanti che fanno impallidire gli inqualificabili governi del rigore e dell’austerità disseminati in tutta Europa, in cui questi indici di prestazione economica e sociale sono tutti inesorabilmente e drammaticamente in caduta libera.
L’unica vera incognita in questa carrellata di successi di politica economica è il dato sull’inflazione che secondo fonti governative sarebbe intorno al 10% annuo, mentre secondo i calcoli degli analisti del FMI avrebbe già sforato il 25%. Ed è proprio su questa interminabile diatriba riguardo ai tassi di inflazione e di crescita che è natol’acceso scontro al vertice fra le due Cristine (descritto magistralmente dal grande Sergio di Cori Modigliani sul blog Libero Pensiero). La battagliera presidentessa argentina risponde colpo su colpo all’algida e inflessibile direttrice del FMI Christine Lagarde, che proprio in questi giorni ha estratto il primo cartellino giallo nei confronti dell’Argentina in attesa di ricevere dati economici più affidabili entro dicembre, ottenendo in tutta risposta la pronta replica di Cristina Kirchner: "il mio paese non è una squadra di calcio. È un paese sovrano e, come tale, non ha intenzione di accettare una minaccia". La situazione insomma è abbastanza compromessa e surriscaldata, ma in questa contesa cruciale per il destino e il significato stesso della sovranità democraticadi una nazione, l’Argentina per nostra fortuna non intende arretrare di un passo, potendo contare sull’appoggio degli altri paesi sudamericani alleati e facendo da apripista per tutti quegli stati non più sovrani che vorrebbero magari in un prossimo futuro svincolarsi dalla stretta mortale del FMI e dell’Unione Europea (sono la stessa cosa, perché uno è il corollario dell’altra e viceversa), come la Grecia, la Spagna e la stessa Italia. In effetti, numeri alla mano, basterebbe solo mettersi d’accordo su quali beni e servizi considerare all’interno del paniere come base di calcolo dell’inflazione e il discorso sarebbe chiuso univocamente, anche se rimarrebbe ancora aperta la questione dell’aumento fittizio dei prezzi di alcuni prodotti agricoli ed alimentari dovuto alla speculazione finanziaria e alle scommesse sui derivati future.
Fra l’altro, come ha già dimostrato l’ottimo Giovanni Zibordi sul sito Cobraf, si potrebbe procedere anche ad uncalcolo indiretto dell’inflazione tramite il tasso di cambio delle valute nazionali in un regime di cambi flessibili, dato che tale rapporto riflette più o meno i livelli relativi dei prezzi interni ai due paesi presi in esame. A parte infatti le compravendite di moneta che avvengono a titolo puramente speculativo sui mercati valutari, un residente di un paese cambia la sua valuta in una valuta estera solo quando deve comprare dei prodotti da importare da quel dato paese e quindi lo stesso tasso di cambio delle due divise si allineerà in un certo senso al prezzo dei prodotti che verranno scambiati nei flussi incrociati fra i due paesi: più alto sarà il differenziale di inflazione del primo paese rispetto al secondo e maggiore sarà la svalutazione della sua moneta rispetto alla moneta del secondo paese, perché a parità di volumi di merci scambiate sarà più elevata l’offerta di moneta del paese più inflativo rispetto a quella del paese meno inflativo. Utilizzando questo semplice meccanismo, se confrontiamo il valore iniziale di cambio nel 2002 di 3 pesos per 1 dollaro con quello attuale di 4,7 pesos per un 1 dollaro avremo una svalutazione complessiva del peso del 56% rispetto al dollaro, e ricavando nel periodo considerato un’inflazione media negli Stati Uniti pari al 2,5%, avremo che l’inflazione media annua in Argentina in questi ultimi dieci anni sarebbe stata intorno all’8,1%, ben lontana dai picchi del 25% annui stimati dal FMI. Questo è lo stesso motivo per cui oggi possiamo dire con pochi margini di errore che l’uscita dall’euro della Grecia comporterebbe una svalutazione del 70% della nuova dracma nei confronti dell’euro, perché la somma dei suoi differenziali di inflazione rispetto alla media europea porterebbe a questo risultato. Mentre per la medesima ragione, a prescindere dai numeri catastrofici e dagli allarmismi ingiustificati sparsi a caso dalla propaganda per terrorizzare la gente, la svalutazione della lira sarebbe intorno al 20%. I numeri non sbagliano, mentre le voci di popolo sono e rimarranno sempre voci di popolo.
Ma a parte i semplici strumenti analitici dell’economia che porterebbero a smontare la tesi del FMI e tralasciando per il momento il fatto che questi conteggi manterrebbero sempre un certo grado di approssimazione per la solita storia della differenza sostanziale di calcolo dell’inflazione negli Stati Uniti e in Argentina, la faccenda è più prettamente politica, morale, filosofica che tecnica. Quello che l’Argentina sta cercando di dimostrare al mondo intero è che l’inflazione non può essere considerato l’unico parametro di valutazione dello stato di salute e benessere di un paese, perché ne esistono molti altri, primi fra tutti i dati sull’occupazione e la povertà, e su questo versante non ci sono dubbi che l’Argentina sia un paese virtuoso perché sta utilizzando tutti gli strumenti fiscali e monetari a disposizione nel solo interesse del bene del suo popolo. Mentre al contrario, l’Europa con la sua maniacale e ossessiva fissazione sul dogma della bassa inflazione di derivazione monetarista e neoliberista, sta portando alla deriva la stabilità sociale, inasprendo i conflitti ecreando immense sacche inferocite di disoccupati e nuovi poveri.
Per capire meglio questo concetto, sarebbe opportuno rileggere con molta attenzione le parole del giovane economista argentino Ivan Heyn, morto suicida in un albergo a Montevideo a dicembre scorso in circostanze sospette, dopo aver partecipato “guarda caso” ad un turbolento incontro con i funzionari del FMI: “Che cosa me ne importa a me di avere un’inflazione al 3% come avete voi in Europa essendo infelici tutti, se io posso dare felicità alla mia nazione con un’inflazione al 30%? Lo so da me che va abbassata, ho studiato economia anch’io. Lo faremo. Ma lo faremo soltanto quando ci saremo ripresi tutti. Non prima. La felicità ha valore soltanto se può essere condivisa collettivamente, è una teoria economica, questa, e mi meraviglio che lei che viene dal Primo Mondo non lo sappia. La felicità per pochi privilegiati, non è vera felicità, è avidità bulimica. E’ un peccato mortale. Lo sa anche il papa. E noi siamo cattolici” (riferimento tratto sempre dal blog di Sergio di Cori Modigliani, che conosce molto bene come vanno realmente le cose in Argentina avendoci vissuto per parecchi anni). Una dichiarazione molto simile per certi versi agli illuminanti e memorabili discorsi dell’indimenticato presidente partigiano Sandro Pertini, quando diceva che un popolo povero, affamato, poco istruito, privo di giustizia sociale non può essere libero e la libertà è il maggiore valore fondante di una democrazia.
E’ chiaro che in una fase di crescita economica tumultuosa come questa, il dato secco dell’inflazione passa in secondo piano rispetto ai parametri da cui può eventualmente scaturire un’impennata improvvisa dell’inflazione, che malgrado tutti i tentativi diffamatori e lesivi in Argentina non c’è ancora stata: livello di piena occupazione, saturazione della capacità produttiva,politiche salariali troppo espansive, aumento delladomanda aggregata non più corrisposto da un contemporaneo aumento dell’offerta aggregata, mancanza di controllo sui prezzi, squilibri permanenti nelle partite correnti con l’estero. Siccome l’Argentina è ancora ben lontana dal raggiungimento di questi traguardi o fenomeni tipici della fase finale di un ciclo economico, ecco che il problema dell’inflazione per tutti i funzionari del governo e della banca centrale è in realtà un falso problema. E la grintosa governatrice del Banco Central Mercedes Marco del Pont (foto sopra: ogni paese ha le donne di potere che si merita, noi purtroppo abbiamo la Bindi, la Santanchè, la Tarantola e la Fornero) può orgogliosamente dichiarare che approvando ad aprile scorso la nuova Carta Organica, l’istituto sarà legato a doppio filo con le politiche del governo rinunciando alla pretesa di autonomia che non porta a nulla, tranne alla deflazione e recessione perenne. E secondo il nuovo statuto la missione primaria e fondamentale della banca centrale argentina non sarà soltanto “preservare il valore della moneta ma includerà anche lo sviluppo economico con giustizia ed equità sociale, l’occupazione e la stabilità finanziaria”. Un vero schiaffo di sfida nei confronti di tutti i principi antidemocratici e i valori antiumani su cui si è fondata nel tempo la supremazia schiacciante e scriteriata della finanza rispetto alle istanze razionali ed etiche degli stati ancora sovrani di gestire l’economia in modo sostenibile e solidale:
- Lo sviluppo economico non piace alla finanza, perché quando i redditi si espandono, gli affari vanno bene, i debitori pagano i creditori, è difficile mettere in atto strategie di espropriazione di ricchezza ed estrazione di valore dal basso verso l’alto.
- La giustizia e l’equità sociale è una vera bestemmia per la finanza, che ha costruito le sue fortune sulla più diseguale redistribuzione e concentrazione di ricchezze nelle mani di pochi oligarchi che il mondo abbia mai conosciuto.
- L’occupazione non è mai stato un reale obiettivo della finanza, visto che, a parte gli istantanei guadagni speculativi sulle aspettative e sui dati forniti periodicamente dal governo, produce una maggiore spinta al rialzo dei salari dei lavoratori e minori rendimenti e profitti per gli investitori.
- La stabilità finanziaria non è mai stata una condizione propizia per chi vive di rendita e di speculazione, dato che riduce la volatilità dei titoli e la possibilità di fare grandi profitti in poco tempo.
Non ci stupisce quindi tutta questa ostilità nei confronti dell’Argentina, sospinta e sobillata dagli ambienti che contano di Wall Street, della City di Londra, di Berlino, di Parigi, di Hong Kong, di Tokyo. Una carta di intenti di questo tipo avrà fatto sussultare sulla sedia migliaia di manager e dirigenti di grandi gruppi finanziari, che credono ancora per abitudine e convenienza che la banca centrale sia soltanto un ente privato al loro servizio, il cui unico scopo sia quello di fornire quantità illimitate di liquidità a comando e di mantenere nel contempo un alto valore e potere di acquisto degli immensi patrimoni accumulati. Un’istituzione chiusa e relegata al solo settore bancario e finanziario, come un vero e proprio Fortino Militarizzato di Ricchezze, che ha l’obbligo categorico di frenare qualunque assalto della società civile, dello Stato e della cosiddetta economia reale, ogni volta che questi ultimi rivendicano il sacrosanto diritto di avere i mezzi di pagamento necessari per un corretto funzionamento dei flussi commerciali e una migliore redistribuzione delle risorse finanziarie.
Non a caso le riviste patinate più vicine al mondo finanziario hanno subito inserito la governatrice argentina Del Pont nella lista dei 10 peggiori banchieri centrali del mondo, basandosi evidentemente soltanto su preconcetti, pregiudizi o semplice antipatia personale perché in verità dati reali che confermino inconfutabilmente l’incompetenza e inefficienza della funzionaria ancora non ne esistono. La solita accusa meccanica e infondata che l’eccessivo ricorso alla creazione di nuova base monetaria, volgarmente chiamata “stampa di moneta”, porterà prima o dopo all’iperinflazione della Repubblica di Weimar o dello Zimbabwe dimostra invece una totale ignoranza dei meccanismi moderni di circolazione della stessa base monetaria (formata per il 97% da riserve bancarie elettroniche e solo per il restante 3% da banconote e monete metalliche), che è praticamentetutta interna al circuito interbancario, emergendo in superficie soltanto quando le banche concedono prestitiai clienti o i clienti stessi prelevano allo sportello questi soldi virtuali ottenendo in cambio banconote. Solo così le famose banconote, che passando rapidamente di mano in mano farebbero aumentare la velocità di circolazione del denaro e innalzare di conseguenza l’indice dei prezzi al consumo, avrebbero un reale effetto inflativo, mentre in caso contrario l’unico modo in cui un banchiere centrale potrebbe assumersi la diretta responsabilità di aumentare la quantità di moneta circolante e produrre inflazione è quello di lanciare banconote da un elicottero. Con buona pace di tutti gli incalliti e retrogradi monetaristi, neoliberisti, devoti della sacralità dell’autonomia, della bassa inflazione e della rarefazione monetaria, il sistema monetario moderno funziona così e prima o dopo dovranno farsene una ragione. E’ l’inflazione a trainare la maggiore offerta di moneta da parte della banca centrale e non viceversa, così come è sempre l’inflazione ad influenzare in prima battuta la svalutazione della moneta e non viceversa (in seconda e terza battuta rientrano invece gli squilibri delle partite correnti con l’estero e le compravendite di moneta sui mercati valutari).
L’esperienza del Canada, che ha una banca centrale simile a quella argentina autorizzata a supportare direttamente il governo e a partecipare alle aste primarie di collocamento dei titoli di stato (come accadeva in Italia prima del divorzio fra Ministero del Tesoro e Banca d'Italia del 1981), è abbastanza emblematica: malgrado la banca centrale abbia da sempre “stampato” moneta in accordo con il governo, in Canada, dal dopoguerra ad oggi, non abbiamo mai assistito a fenomeni iperinflazionistici. In sistemi invece meno solidali nella collaborazione con i governi e più orientati a foraggiare illimitatamente i circuiti bancari privati, come quello degliStati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, le rispettive banche centrali hanno allagato il mercato interbancario conimmense iniezioni di liquidità, attraverso le cosiddette operazioni di quantitative easing, senza che questo diluvio abbia aumentato di un centesimo di punto percentuale l’inflazione percepita. Una simile circostanza è giustificata dalla semplice considerazione che queste quantità incalcolabili di riserve bancarie elettroniche sono appunto riserve e a parte l'irrisoria percentuale di richieste di conversione in banconote circolanti da parte dei clienti delle banche, il loro destino è già segnato: vengono custodite gelosamente nei conti di deposito dei singoli istituti presso la banca centrale in qualità di asset infinitamente negoziabile e liquido, trasferite senza sosta da un conto all’altro in cambio di titoli, utilizzate per compensare i pagamenti incrociati fra una banca e l’altra, senza mai vedere la luce del sole.
L’unico modo, ripetiamo, per aumentare la massa di moneta circolante, ovvero i nostri depositi bancari e le banconote, è una maggiore attività creditizia delle banche commerciali, che come sappiamo può avvenire solo quando esiste una reale domanda di prestiti del mercato, sono verificate le garanzie fornite e i parametri di rischio del debitore, sono rispettati i requisiti patrimoniali della banca come richiesto dagli accordi bancari internazionali di Basilea. E sappiamo purtroppo per esperienza che quando l’attività creditizia delle banche è fuori controllo (boom), non solo ci sono rischi incombenti di inflazione (magari limitati ad un solo settore, come quello immobiliare), ma anche reali possibilità di nascita di bolle speculative che coinvolgono a cascata tutti gli altri settori, gli altri paesi fino a creare le premesse di interminabili crisi finanziarie globali. Così come sappiamo che quando l’attività creditizia si riduce drasticamente (crunch), la scarsità di moneta circolante che ne deriva può creare disastrosi effetti di deflazione dei prezzi, dei salari e depressione di un’intera economia. Gli enti governativi di vigilanza, in perfetta sintonia con le politiche monetarie di controllo dei tassi di interessi della banca centrale, dovrebbero essere efficienti e tempestivi abbastanza per mantenere un dosaggio equilibrato e stabile dell'attività creditizia, intervenendo direttamente solo in caso di evidenti deviazioni sia nell'uno che nell'altro verso.
L’Argentina quindi, alla faccia di tutti i suoi detrattori, parte avvantaggiata sul versante della prevenzione dell’inflazione (e deflazione) anche per questo motivo: ha un settore bancario molto ridotto e in gran parte nazionalizzato, un’attività creditizia scarsa e frammentaria, un controllo di vigilanza molto preciso e puntuale da parte della sua banca centrale. Con queste premesse, è difficile che ci possano essere nell'immediato aumenti imprevisti di moneta circolante, eccessi di debito privato e quindi eventuali pericoli di inflazione, che non siano direttamente collegabili alla sola spesa pubblica dello stato, ed è forse questo ilmaggiore fattore che ha determinato il successo economico dell’Argentina: non la statalizzazione massiccia, ma la concentrazione dei flussi finanziari all’interno di canali molto esegui, visibili e facilmente controllabili. Al contrario di ciò che accade in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone, non esistono in Argentina grandi gruppi finanziari e gigantesche corporazioni predatorie, fondi pensioni privati, banche ombre (shadow banks), banche d’affari, banche d’investimento specializzate in strumenti derivati, che possono soggiogare lo stato, orientare le scelte politiche e reprimere a loro vantaggio le richieste dell’economia reale sempre più allo sbando. Come dimostrato in un recente studio dal titolo già di per se molto eloquente “Too much finance?”, scritto da tre importanti economisti, tra cui l’italiano Ugo Panizza, per conto dello stesso FMI, non esiste uncollegamento diretto fra le dimensioni del settore finanziario e la crescita economica di un paese, anzi i dati dimostrano che aree con imprese finanziarie molto sviluppate, aggregate e ramificate spesso soffrono di prolungati periodi di recessione, mentre regioni in cui il settore finanziario è trascurabile, limitato e controllato sono protagoniste di altrettanti fasi di espansione economica. Un'evidenza empirica che ancora una volta da ragione alle scelte intraprese dall’Argentina e dovrebbe mettere in guardia tutti i ministeri dell’economia e delle finanze, gli enti di vigilanza e le banche centrali sparse nel mondo.
L’unico serio rischio che corre l’Argentina è quello dell’isolamento, promosso dallo stesso FMI e dal boicottaggio delle nazioni neoliberiste europee, asiatiche, americane, che a lungo termine può compromettere la stabilità dei conti esteri. Ma anche qui la combattività del governo e della banca centrale, ispirata forse dal temperamento delle due donne al comando, non mostra segni di cedimento e in questi ultimi anni l’Argentina ha addirittura raddoppiato le sue riserve monetarie in valuta estera, che saranno utili per difendere o allentare in via preventiva la forza di cambio della valuta nazionale in caso di attacchi speculativi e per evitare ulteriori fughe di capitali all’estero, dovute principalmente ai timori di eccessiva fragilità della divisa nazionale. Considerando l’attuale situazione di equilibrio delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, l’Argentina può dormire ancora sonni tranquilli, anche se prima o dopo parte delle sue riserve valutarie dovranno essere destinate al pagamento delle rate del debito estero congelato alle fasi immediatamente successive la dichiarazione di default del 2001.
Nonostante però tutte le cupe previsioni di crollo imminente, l’ultimo avviso ai naviganti potrebbe essere questo: non abbiate paura, panico, timore di osare, di capire, il Faro argentino rimane sempre lì, invisibile soltanto agli occhi di chi non lo vuole vedere. E un giorno non tanto lontano, se non verremo sospinti dalla tempesta sulle terre gelide dell’Antartide, è possibile che la sua luce intensissima indichi la via agli sparuti naufraghi dell’Occidente e a tutti coloro che sono ancora accecati dai bagliori fatui della propaganda di regime. In fondo, come dicono i Maya, il Giorno della Fine del Mondo si sta avvicinando a grandi passi e per evitare strane sorprese, sarebbe meglio prepararsi per tempo, prendendo spunto da chi è già in salvo e al sicuro.
Commenti all'articolo in originale ed alla data odierna:
11 commenti:
Io tendo sempre a distinguere l'inflazione (intesa come espansione della massa monetaria) dall'aumento dei prezzi.
Non è però vero che sia l'aumento dei prezzi a trainare l'inflazione, come si evince benissimo nello studio per esempio delle grandi "Crisi cicliche di sovraproduzione" dell'epoca industriale fino al 1929.
Fisher, Barnes ed Allais hanno chiarito in maniera esmeplare il processo: quando le prospettive di crescita di un mercato sono buone, le banche inflazionano senza ritegno (in base ai meccanismi ben noti di copertura frazionaria dei depositi) e questo in realtà fa aumentare il debito privato più velocemente del potere d'acquisto generale. Questo perchè l'inflazione tende a spostare una parte del peso del debito da chi lo ha contratto ai consumatori, attraverso la pressione al rialzo sui prezzi che genera (che ovviamente non è causata esclusivamente dalla diluizione del valore dell'unità di conto della moneta).
Indi, prima o poi, si raggiunge un moneto di eccesso d'indebitamento che porta a default a catena, stretta bancaria sul credito e quindi effetti deflattivi notevoli (recessione o stagflazione, dipende).
Questo irrazionale sistema monetario è quello che induce molti a ritenere che il credito debba essere separato dall'emissione di moneta.
Detto questo, la presidenta ha fatto benissimo a fare quello che ha fatto.
Che l'inflazione sia una questione molto complessa, difficile da banalizzare e semplificare, su questo non c'è dubbio, quindi nessuno può permettersi di dire di avere in pugno la verità rivelata e la soluzione di tutti i problemi, ma quantomeno, come hai fatto giustamente notare tu, bisognerebbe innanzitutto mettersi d'accordo sulle definizioni, in modo da evitare a monte incomprensioni e fraintendimenti...
Io intendo con il termine inflazione solo il fenomeno "reale" (non monetario) di aumento tendenziale dei prezzi al consumo, misurato sulla base di un paniere di beni e servizi rappresentativo...l'espansione della massa monetaria per me rimane l'espansione della massa monetaria, anche perchè bisognerebbe spiegare cosa si intende per "massa monetaria": cos'è? La base monetaria creata dalla banca centrale? I depositi creati dalle banche commerciali? I titoli a breve a termine? I derivati?
Capisci bene che sono cose molto differenti...io ho detto che l'inflazione traina l'aumento dell'offerta della base monetaria della banca centrale, non l'offerta di prestiti e di depositi che è sempre pilotata in ultima istanza dalle banche commerciali, che hanno queste sì reale impatto sull'inflazione potendo gestire l'aumento della moneta circolante, che a parità di velocità di circolazione e capacità produttiva, può avere ovviamente un impatto sull'aumento dei prezzi (la teoria quantitativa di Fisher non è tutta da buttare, anzi, ma bisogna solo ragionare meglio sulle ipotesi di partenza e soprattutto chiarire cosa si intenda con "offerta di moneta"), dato che a parità di offerta di beni e servizi ci sarà un corrispondente aumento della domanda facendo lievitare i prezzi (il caso delle bolle immobiliari che fanno aumentare i prezzi delle case, causate dall'eccessiva espansione creditizia delle banche, è il più evidente)...
Quindi ripeto, per me l'inflazione traina l'offerta di base monetaria, e a sua volta l'inflazione fra le sue tante cause può avere anche l'eccesso di offerta di prestiti da parte delle banche commerciali...le banche centrali quindi non hanno alcun controllo e effetto sul contenimento dell'inflazione (a parte le decisioni sui tassi di interesse), mentre le banche commerciali possono essere spesso una causa diretta dell'aumento dell'inflazione...quindi sono quest'ultime che andrebbero controllate e vigilate, al contrario di ciò che si fa oggi imputando alla banca centrale poteri e responsabilità che in realtà non ha, a parte il sostegno illimitato e incondizionato dato alle banche commerciali...ma questo è un altro discorso...
Sulle battaglie di civiltà che sta combattendo la presidente Kirchner, ti consiglio di ascoltare il suo discorso all'ONU (anche se è in lingua argentina, quindi se ci fosse qualche volenteroso madrelingua disposto a tradurlo ci farebbe un grande piacere!!! Perchè è un discorso importante e pieno di contenuti)...
http://www.youtube.com/watch?v=4alp30fpjDs
Il grande errore della teoria quantitativa di Fisher è stato il considerare V (velocità di circolazione della moneta) come una costante, addirittura prevedibile.
Oramai, a distanza di molti anni, sappiamo che come direbbero i miei amici toscani è una bischerata, dato che la medesima dipende dal tasso di occupazione, dalla crescita del PIL reale e dalla propensione marginale al risparmio.
Comunque, io ritengo che il sistema della moneta-debito sia intrinsecamente pernicioso per una caterva di motivi, ma oramai la priorità è liberarci dall'Euro e riprenderci la sovranità monetaria.
Per questo nutro una notevole stima per Putin o per la Presidenta o per Lula: ci indicano degli esempi che dovremmo seguire.
Ho parenti in Argentina che mi confermano che la differenza fra il governo locale e la demagogia spicciola di un Chavez o l'ambientalismo decrescista di un Morales è abissale.
Il problema della nota formula quantitativa di equilibrio MV=PT non è soltanto l'ipotesi infondata (come dici tu la bischerata...) che la velocità di circolazione della moneta sia costante, ma anche la variabile T, il numero di transazioni, che non è affatto detto che sia una costante nel breve periodo, per le stesse ragioni per cui V non è costante...in un periodo di recessione il numero di transazioni diminuisce, mentre in espansione aumenta e poi non è affatto detto che quando aumento l'offerta di moneta (a tutti i livelli, quindi base monetaria+depositi bancari), questa maggiore moneta circolante non metta in moto nuove attività produttive, maggiore offerta di beni e servizi, maggior numero di transazioni T e quindi secondo la relazione di equilibrio P rimarrebbe costante o addirittura tenderebbe a diminuire...in buona sostanza la relazione (che ripeto, nell'assieme rimane valida) è molto più complessa di come volevano farcela passare i monetaristi e i neoliberisti alla Friedman...
Sulla moneta priva di debito all'emissione sfondi una porta aperta perchè per me in questo momento la teoria monetaria che offre maggiori soluzioni in assoluto non è tanto la MMT, ma Positive Money, mentre la MMT potrebbe andare benissimo nel periodo transitorio, come recupero della piena sovranità monetaria dello stato, ma poi essere superata a regime da una riorganizzazione e regolamentazione più capillare del settore bancario, la necessaria distinzione fra banche commerciali e banche d'investimento e il regime di riserva del 100%...ma queste sono trasformazioni che devono avvenire per gradi, mentre innanzitutto bisogna creare una maggiore consapevolezza su questi temi e un vero e proprio movimento culturale che si faccia carico di queste istanze di riforma epocale... sull'esempio magari della stessa Argentina, che è e rimane per adesso l'unico vero laboratorio di sperimentazione di questi improrogabili cambiamenti di paradigma!!!
Anonimo12 ottobre 2012 10:52
Qualcuno per cortesia indichi Piero a Beppe Grillo come ministro dell'economia per il nuovo goveno.
Angelo Meschi
Grazie Angelo per la fiducia, ho cercato più volte di mettermi in contatto e sollecitare i grillini del M5S su questi temi, ma a parte l'entusiasmo sincero e spontaneo degli attivisti che sarebbero pronti a portare avanti le istanze economiche di recupero della sovranità monetaria, non si supera mai il muro di sbarramento che porta a Grillo e alla Casaleggio, i quali stanno purtroppo portando avanti una linea politica ed economica del tutto opposta a quella esposta nei miei articoli (e con ancora maggiore autorevolezza accademica da economisti come Bagnai, Zezza, Brancaccio, Cesaratto, Galloni) o applicata in Argentina: stato ladro, politici corrotti, meno spesa pubblica, uscita dall'euro si, no, forse, sovranità monetaria che cos'è questa sconosciuta...rimanendo poi alla fine impantanati in un vicolo cieco che porta allo snellimento delle istituzioni statali e ad un maggiore potere di indirizzamento e controllo da parte delle istituzioni private, in una sorta di democrazia aperta e partecipativa eterodiretta in cui come sempre alla fine sarebbero le idee e le istanze dei soggetti economicamente più forti quelle a prevalere...niente di nuovo sotto il sole insomma...
Quindi, per quanto io sarei ben lieto di mettermi a collaborare con il M5S, non mi sembra proprio che il M5S, nelle sue alte sfere (Grillo e Casaleggio), sia interessato ad accogliere la mia collaborazione e quella di altre persone che sostengono e promuovono la mia stessa linea di pensiero...almeno fin adesso, poi chissà, Grillo si fa illuminare sulla via di Damasco e ricomincia a ragionare...
Perdonami Piero, intervengo prima di aver finito di leggere l'articolo ma ad uno dei primi passaggi tecnici sulla crisi Argentina, immediatamente è riaffiorata indomita la mia opinione sulle teorie macro economiche ed accademiche. Non starò qui ora ad ammorbarti con la mia pedanteria perché volendo la si può facilmente trovare esposta e pubblicata in rete. Ci terrei diversamente a sottolineare che...il motivo principale per cui nel mio navigare son finito poi qui è proprio grazie alla chiarezza tecnica e senza fronzoli, da te esposta in materia. Non che possa sempre essere in accordo per intero con le tue disamine...nel complesso, ma la capacità d'esposizione senza far ricorso ad ipocrite manovre di raggiro dell'inesperto lettore o dell'ammaestrato interlocutore è quanto di più apprezzabile ci si possa aspettare nel variegato panorama delle dissertazioni in ambito economico. Non basta, infatti, parlare per elaborati schemi, per numeri e statistiche o per quadri e teorie o dottrine presenti o passate. E' necessario dare delle valutazioni che accompagnino al tecnico anche l'umano. Altrimenti, personalmente intendendo, è inutile proseguire ogni ragionamento poiché il senso della vita non giace per me nell'accumulo inutile (di risorse o moneta o quant'altro) ma nella condivisione...di idee, opinioni, esperienze e ...
Lascio a te e a chi volesse, il continuare dopo i puntini!
Un saluto,
Elmoamf
P.S. ora proseguo nella lettura e magari lascerò qualche altro commento un poco più attinente all'oggetto!
Eccomi giunto, entusiasta, al termine dell'articolo.
E non posso che levare l'ipotetico cappello e stringermi in un plauso.
Il contenuto descritto e narrato è quanto di più affine al mio pensiero attivo e propositivo in materia.
Altrettanto ammirevoli i primi scambi di battute tra i commentatori.
Vorrei proporti Piero, ove tu concorde e questo possibile, il permesso di diffonderLo il più possibile.
PromuovendoLo ovunque e pubblicandoLo ove posso, direttamente od indirettamente!
Corredato da eventuali commenti personali che abbiano il solo scopo di non ledere ma esaltarne la dignità dei contenuti.
Per il momento mi limito al solito "cinguettio" informatico.
Credo realmente, però, che le tesi qui esposte meritino una riflessione più diffusa.
Maggiormente allargata ad una platea più ampia, spesso digiuna di determinate considerazioni: economiche ed esistenziali come quelle esposte dal "defunto" Ivan Heyn!
A suo tempo mi interrogai sull'anomalo suicidio!
Infine e giusto per un inciso di ordine tecnico sulle dinamiche inflazionistiche...esprimo brevemente il mio pensiero.
Il tutto per me va ricondotto sulle finalità dello strumento: inteso come bene fine a se stesso o come strumento d'intermediazione.
Le dinamiche inflattive sono determinate principalmente, sempre a mio modesto parere, dal differenziale sulle capacità di spesa da un lato e sulla riserva di beni dall'altro.
Per meglio lasciarmi intendere: se la capacità di spesa (sempre intesa in termini di massa monetaria "convenzionale") è superiore alla quantità dei beni in commercio...
Sono possibili due strade: o la mia moneta vale di meno oppure i parametri di scambio monetario dei beni sono più elevati.
La questione giace tutta, per me, nello scambio di beni o servizi, l'unica vera leva per la diffusione del benessere e soddisfazione comune.
Il succo del discorso giace appunto nell'utilizzo convenzionale della moneta come strumento ed unità di scambio tra individui che offrono appunto beni o servizi diversi.
E' nel concetto attivo di società che giace la crescita.
Ognuno ha le sue peculiarità e.o potenzialità e le condivide e le scambia con altri individui.
La "summa" di tali scambi dovrebbe portare alla crescita da entrambe le parti.
La moneta è solo una convenzione per facilitare tale scambio, non altro.
Nel momento in cui, diversamente, la moneta assume un diverso ruolo e diviene essa stessa un bene...
Beh ecco che qui insorge l'accumulo, la speculazione, l'arroganza e la fallacia di ogni teoria economica.
Chiedo venia del vigore e della passione nell'esposizione.
E di eventuali pressappochismi riscontrabili nella personale esposizione che eventualmente, alcuno maggiormente tecnico rispetto alla mia persona, vorrà o potrà sollevare in contraddizione costruttiva.
Di nuovo un saluto,
Elmoamf
Non avevo dubbi che alla fine ci saremmo ritrovati, perchè la mia idea di economia, come scienza sociale non esatta ma discrezionale, è molto simile a quella tua...mettere un qualsiasi vincolo tecnico quantitativo a monte dell'azione economica (inflazione, pareggio di bilancio, debito pubblico) significa contraddire e stravolgere le stesse basi e finalità su cui si fonda il pensiero economico: in certe situazioni e in certi determinati momenti un'inflazione alta può essere un bene mentre in altri un male, stessa cosa dicasi per i deficit di bilancio, i dati contabili nazionali e di scambio con l'estero, la svalutazione etc...
Quindi un vero soggetto attivo in materia di politica economica dovrebbe utilizzare discrezionalmente gli strumenti fiscali e monetari a disposizione per raggiungere l'obiettivo principale della sua azione generale: la piena e soddisfacente occupazione per tutti e la tutela del bene comune...che sono due cose, il fattore individuale e quello collettivo, non in contraddizione, perchè se la combinazione fra stato e mercato risulta di tipo collaborativo e non competitivo, il fatto che ognuno abbia un lavoro adeguato alle sue aspirazioni e competenze, che gli consenta di soddisfare i suoi bisogni primari, di vivere dignitosamente in armonia con l'ambiente, crescere culturalmente, arricchirsi nello scambio con gli altri, renderà l'individuo maggiormente disposto a rispettare e a tutelare il bene comune...mentre l'abbandono, la disperazione, la disoccupazione, l'inedia crea indifferenza, pressappochismo e rabbia...quindi i risvolti sociali dell'economia non vanno mai trascurati, perchè come diceva Heyn cosa vale avere un'inflazione bassa se poi le persone sono infelici e disperate? Oppure cosa vale la democrazia se il popolo è affamato, povero, arrabbiato? Ci può essere mai democrazia e libertà in queste condizioni???
Quindi l'economia, per quanto abbia bisogno di appoggiarsi ad una solida base teorica, numerica da cui ricavare le sue analisi preventive e consuntive, non deve mai allontanarsi dai suoi obiettivi prioritari e sociali, perchè se no diventa un'altra cosa, una dissertazione vuota di numeri e tecnicismi, che crea distanza fra i governanti e i governati, astio, repulsione, rabbia repressa, ribellione...credo che il tuo modo di intendere la faccenda, dal punto di vista di ribaltamento culturale di paradigma, sia quello più corretto, anche se non bisogna mai allontanarsi troppo dai dati, dai grafici, dai numeri, dalle tabelle, perchè se no si perde di vista la realtà concreta e l'economia diventa una mera branca della filosofia, della politica, della psicologia...per farla breve, bisogna avere sempre un occhio al cuore, all'anima delle persone e l'altro al portafoglio, per consentirgli quantomeno di mettere insieme il pranzo con la cena, di programmare il futuro, crescere i propri figli...
Infine ti ringrazio per l'opera di divulgazione e diffusione, perchè questo è il momento storico esatto in cui dobbiamo continuare a battere il ferro e creare il terreno per i prossimi cambiamenti che per forza di cose ci saranno...se saremo stati bravi in quest'opera culturale di educazione e diffusione della consapevolezza e della conoscenza, non c'è alcun motivo di temere che questi cambiamenti siano per forza caotici, violenti e non pacifici e tranquillamente governabili...oggi più che mai, con la fine delle ideologie di massa, tutto dipende da noi, dalla nostra volontà individuale e da come veramente vogliamo il nostro futuro di comunità, di popolo, di esseri umani...
Anonimo 12 ottobre 2012 14:22
Grande Piero, sempre piu' approfondito e comprensibile. dal canto mio vorrei proporvi un video che dovrebbe essere visto da piu' persone possibili, per svegliare, ancora di piu', chi forse dorme ancora.
http://www.youtube.com/watch?v=7gSRg_zoBgA
Piero grazie ancora per il tuo ottimo ed innarrestabile procedere, per svegliare le menti di tutti usando un linguaggio non eccessivamente forbito.
Spero di poter dare o almeno spero un aiuto anch'io, con questo piccolo gesto.
Un saluto
leonardo IL_CECCHE
Conoscono questo video e, personalmente ringrazio per il ricordo, quel che più mi preme sottolineare è però che di questo contributo (io od altri..) ne fossimo stati in grado di renderne edotte le masse... ossia che ne sia diffusa direttamente od indirettamente la sostanza a chi generalmente si frequenta o con cui generalmente si abbia la facoltà o la fortuna d'interloquire.
La genericità come la generosità del ns incidere sul prossimo spesso si misura sulla ns capacità di essere autorevoli.
Pertanto io mi chiedo, quanti di noi si siano mai posti questo problema!?
L'autorevolezza è tutto...è alla base del problema!
Se un arroganza si finge autorevole e s'impone all'opinione pubblica, non avrà contrapposizione di sorta.
Viceversa se un assiduo e comune incedere sarà in grado di dimostrarne il contrario... ad ognuno di noi sarà lasciata la possibilità di assumere un autorevolezza (non semplicemente riconosciuta od efficace) ... ma sostanziale, fatta di sincerità di comportamenti e di generosità appunto d'intenti.
La pratica migliore nel diffondere la conoscenza e la conseguente dignità della persona, sta nel non cedere alle pressioni esterne di qual si voglia natura ma premunirsi e premurarsi dalle coercizioni altrui che inevitabilmente si tendono ad imporre.
Le analisi economiche, a parer mio, sono tra queste...principalmente tra queste!
Non può esservi crescita economica fine a se stessa se ciò non si sposa con l'emancipazione della persona.
Un saluto,
Elmoamf
Nessun commento:
Posta un commento