sabato 5 gennaio 2013

Foucault E Le Nuove Forme Del Potere

Il Caffé Filosofico
Foucault E Le Nuove Forme Del Potere
dal canale YouTube: Belva64SE


Direttamente dalla didascalia YouTube:

Centrale è in Michel Foucault la questione del potere: sul potere la sua riflessione segna una svolta, una rottura operata nel segno di Nietzsche, del quale F. fa suo il metodo genealogico, "critico-distruttivo". Da maestro del sospetto (1), F. smaschera, smonta, decostruisce la tradizionale idea di potere. Concependo, quindi, la filosofia "non come discorso sul mondo ma come lavoro di scavo che indaga i discorsi sul mondo"(Segatori), F., con straordinaria potenza analitica, smonta la concezione moderna del potere, quella istituzionale e giuridica che si è imposta a partire da Hobbes, ne dimostra il carattere ideologico e ne prende le distanze perché, "ciò di cui abbiamo bisogno - dice in "Microfisica del potere" - è una filosofia politica che non sia costruita intorno al problema della sovranità, dunque della legge e dell'interdizione. Bisogna tagliare la testa al re (2)". Con lo sguardo sovversivo del genealogista, dunque, F. ribalta la prospettiva dalla quale guardare al potere, sostituisce cioè la "prospettiva a volo d'uccello", propria dei filosofi che pretendono di dare, dall'alto, una visione globale della sovranità, con la "prospettiva della rana", che, da una posizione decentrata, deangolata, segue la vita reale nelle sue piccolezze, nelle sue apparentemente irrilevanti casualità. È un'analisi dal basso, che vuol portare alla luce ciò che si nasconde sotto la superficie dei fenomeni, che esamina non il potere sovrano che promana dall'alto e si esercita verso il basso ma i micropoteri che sono diffusi e in atto a livello del quotidiano, gli effetti che il potere genera nella società, nelle forme della cultura e del sapere.
Fra sapere e potere il nesso è profondo e strettissimo: l'analisi dal basso, come già Nietzsche aveva visto, mostra che non c'è verità che non sia coinvolta in un rapporto di forza, che sapere e scienza sono non solo strumento ed effetto ma esse stesse forme di dominio, microsistemi di potere. Sapere e potere si condizionano reciprocamente e l'uomo è preso dentro il loro circolo: è, dice F., oggetto prodotto ed inquadrato in un'episteme (3). L'uomo si illude, quindi, quando si ritiene soggetto sovrano dei propri atti cognitivi e linguistici, padrone assoluto di sé, signore della storia di cui crede di conoscere il senso e il fine, mentre questa, in realtà, non è il risultato delle azioni coscienti dell'uomo.
A partire dalla riflessione nietzschiana e dallo strutturalismo (4), F. matura una concezione antistoricistica e antiumanistica, che nega la costituzione autonoma del soggetto. Quella di uomo come soggetto trascendentale, essere razionale fondato e fondante e cioè criterio di giudizio dell'esperienza, del sapere, della verità, è un'idea di recente invenzione, è un prodotto dell'Illuminismo e di Kant. Un'invenzione, dice F., nel solco di Nietzsche, forse già dissolta. È un a priori che, in realtà, è storico e quindi a priori non è; è inquanto forma storica, transitoria, nata lungo i concatenamenti della storia e destinata a mutare con essi. Quel soggetto è in realtà un oggetto; quel soggetto è, quindi, morto: l'uomo deve riconoscersi qual è, non più autonomo, artefice del suo destino, né fondamento della conoscenza.
Sono proprio le nuove forme del sapere, come la linguistica, la psicoanalisi, la etologia ad aver decentrato l'uomo e ad avere portato alla luce le leggi inconsce che presiedono al costituirsi del linguaggio, dei suoi desideri, delle sue azioni.
Il soggetto, ritenuto fondamento sicuro, è invece da sempre penetrato da relazioni di potere che lo fanno essere quello che è, che lo plasmano nei pensieri e nei comportamenti, nei desideri, nel corpo, nei bisogni; quel soggetto è prodotto dai saperi che con esso nascono e dalle pratiche disciplinari che gli fissano una identità. Quell'invenzione recente che è il soggetto kantiano, creativo in quanto trascendentale ma oggetto in quanto assoggettato alle pratiche del sapere-potere, è, proprio per questo, forse già morto. Se ancora non lo è, la sua fine, per F., è auspicabile, perché è la fine di un tipo di individualità che le forme del sapere e del potere politico hanno imposto per secoli.
E' in"Sorvegliare e punire"(1975) e in "La volontà di sapere"(1976), che F. fa un'analisi del sapere e del potere, indagando sulle procedure che hanno prodotto e assoggettato l'individuo. In "Sorvegliare e punire" costruisce la storia delle moderne pratiche di potere punitive dimostrando che il potere non si limita a reprimere ma, disciplinando, produce. Il modello ideale del potere disciplinare è il Panopticon di Bentham (5), che si fonda sull'equazione vedere-potere.




Le riflessioni di Stefano Rodotà


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